Alberto Mori, Minimi Vitali, FaraEditore 2018
recensione di Vincenzo D’Alessio
Nella collana Vademecum, ventiduesimo volume, della Casa Editrice Fara di Rimini, è stata pubblicata la raccolta Minimi Vitali del poeta Alberto Mori.
Sei sezioni compongono la raccolta: “Trasparenza”, “Suono”, “ Movimento”, “Gesto” , “Ombre Luce” e “Persone”. Apre la raccolta l’esergo ripreso dai versi del Nobel Eugenio Montale: “La vita che dà barlumi / quella che sola tu scorgi” (Il balcone).
I segni di vita visibili nella realtà sono gli oggetti, il paesaggio, le persone, inserite nel contesto ideale della versatilità acuminata alla ricerca dell’immanente in ogni sua forma.
In poche parole il Nostro è il minatore che trae dalle viscere del sottosuolo i diamanti grezzi, pietre dure e poco trasparenti, trasformandoli in poliedriche facce luminose, allo stesso modo trasforma i suoi versi agli occhi del lettore.
Continua ricerca come sete di conoscenza, inesauribile attraverso oggetti, suoni, profumi, sensazioni nella Natura, pur di raggiungere l’identità segreta dell’esistenza: la Poesia: “Libera idea omogenea tornata a vedere / Luce piena sul diaframma / Aperto da cielo ed aria.” (pag. 13).
Potremmo avvicinare la ricerca che il poeta applica ai suoi versi alla ricerca che la corrente futurista proponeva ai suoi lettori agli inizi del XX secolo.
Mori si avvicina alla parte culturale del movimento che proponeva l’interesse verso le scoperte scientifiche e la loro applicazione in favore dell’Umanità e rifiutava il passato che non consentiva l’affermazione delle nuove idee.
Nella raccolta del Nostro gli oggetti sono padroni del percorso poetico e l’uomo affiora di tanto in tanto da protagonista: “Il piede assesta cavalletto d’appoggio / I guanti sfilati piano / I colombi tubano / contrappunto / nel chiacchiericcio appena intrecciato” (pag. 29).
La ricerca delle opposizioni “contrappunto” tra oggetti ed avvenimenti si avvicina alla poetica di William Stabile: Contrappunti e tre poesie creole (FaraEditore 2008) e l’inventiva, il ritmo impresso ai versi, percorrono le strade innovative della poesia del XXI secolo.
La fede nell’Arte, principio primo per superare le insidie del Tempo, si legge nei versi che chiudono la raccolta: ancora una volta la scrittura racchiusa in quello oggetto che noi chiamiamo libro: “Tutto ancora per poco… / ma così è scritto / anche quando nessuno vede / quello che non è più” (pag. 61).
Percorsi minimi di luce/calore: finché siamo vivi, lavoriamo, ci confrontiamo con il circostante, con esseri umani venuti da altre realtà. Poi la rotazione terrestre, mai ferma, trasforma le forme in memoria, penombre: “Il cantiere delle parole arabe / Giubbotti già impolverati / durante il caffè mattutino / Uno sguardo solo si solleva / Pensa alla vita com’è / Che è così e non è” (pag. 55).
Chiude il volume la sincera postfazione affidata a Lucia Grassiccia.
L’impegno autentico spetta al lettore che intraprende il viaggio tra questi versi.
Sei sezioni compongono la raccolta: “Trasparenza”, “Suono”, “ Movimento”, “Gesto” , “Ombre Luce” e “Persone”. Apre la raccolta l’esergo ripreso dai versi del Nobel Eugenio Montale: “La vita che dà barlumi / quella che sola tu scorgi” (Il balcone).
I segni di vita visibili nella realtà sono gli oggetti, il paesaggio, le persone, inserite nel contesto ideale della versatilità acuminata alla ricerca dell’immanente in ogni sua forma.
In poche parole il Nostro è il minatore che trae dalle viscere del sottosuolo i diamanti grezzi, pietre dure e poco trasparenti, trasformandoli in poliedriche facce luminose, allo stesso modo trasforma i suoi versi agli occhi del lettore.
Continua ricerca come sete di conoscenza, inesauribile attraverso oggetti, suoni, profumi, sensazioni nella Natura, pur di raggiungere l’identità segreta dell’esistenza: la Poesia: “Libera idea omogenea tornata a vedere / Luce piena sul diaframma / Aperto da cielo ed aria.” (pag. 13).
Potremmo avvicinare la ricerca che il poeta applica ai suoi versi alla ricerca che la corrente futurista proponeva ai suoi lettori agli inizi del XX secolo.
Mori si avvicina alla parte culturale del movimento che proponeva l’interesse verso le scoperte scientifiche e la loro applicazione in favore dell’Umanità e rifiutava il passato che non consentiva l’affermazione delle nuove idee.
Nella raccolta del Nostro gli oggetti sono padroni del percorso poetico e l’uomo affiora di tanto in tanto da protagonista: “Il piede assesta cavalletto d’appoggio / I guanti sfilati piano / I colombi tubano / contrappunto / nel chiacchiericcio appena intrecciato” (pag. 29).
La ricerca delle opposizioni “contrappunto” tra oggetti ed avvenimenti si avvicina alla poetica di William Stabile: Contrappunti e tre poesie creole (FaraEditore 2008) e l’inventiva, il ritmo impresso ai versi, percorrono le strade innovative della poesia del XXI secolo.
La fede nell’Arte, principio primo per superare le insidie del Tempo, si legge nei versi che chiudono la raccolta: ancora una volta la scrittura racchiusa in quello oggetto che noi chiamiamo libro: “Tutto ancora per poco… / ma così è scritto / anche quando nessuno vede / quello che non è più” (pag. 61).
Percorsi minimi di luce/calore: finché siamo vivi, lavoriamo, ci confrontiamo con il circostante, con esseri umani venuti da altre realtà. Poi la rotazione terrestre, mai ferma, trasforma le forme in memoria, penombre: “Il cantiere delle parole arabe / Giubbotti già impolverati / durante il caffè mattutino / Uno sguardo solo si solleva / Pensa alla vita com’è / Che è così e non è” (pag. 55).
Chiude il volume la sincera postfazione affidata a Lucia Grassiccia.
L’impegno autentico spetta al lettore che intraprende il viaggio tra questi versi.
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