![]() |
| Foto nel testo di Alessandro Accordini |
Ho imparato l’imperfezione del quadrifoglio
Giovanni Andreoli, Absorbeat
di Giovanni Fierro su Fare voci dicembre 2025
Scrive il giusto Dante Zamperini quando, nella prefazione ad Absorbeat di Giovanni Andreoli, dice “Appena ci si immerge in queste pagine, si avverte un intenso patrimonio affettivo”.
Perché la poesia di Andreoli è questo riconoscere la particolarità del vivere e la verità del suo mistero, tra la necessità dell’invenzione (“Nasceranno dei bambini.// A loro basteranno due coccinelle/ per fare il mondo a puntini”) e il nutrimento della percezione (“È inarrestabile il rullo del mattino,/ inutile,/ come l’ultimo desiderio”).
Il quotidiano in queste pagine è luogo di svelamento, di vicinanza a sé stessi, dove la propria esistenza è coniugata al presente, con l’infinito attorno e dentro, in quell’intreccio che solo con l’intensità del ricordo può essere radice e provenienza, “Grava l’ombra di Sisifo/ proprio dove deragliano/ i miei vecchi trenini Lima”.
Tutto Absorbeat è questo assorbire l’atmosfera in cui ognuno è immerso, nella propria unicità, il suo farsi corpo, in quel quando dove “Finalmente si sanguina in pace” e “Il sangue soprattutto/ non ha più la spuma/ della prima vendemmia”. Ma è sangue che non porta con sé dolore, anzi, è testimonianza di corpo che vive, si riconosce e chiede di essere persona, perché “Le ombre/ non resistono a lungo/ con il battito al polso”.
La scrittura di Giovanni Andreoli è anche lo scegliere quale sguardo usare, per costruire una prospettiva, utile a riconoscere le immagini di cui si può avere bisogno, quelle che devono durare.
Perché poi in queste pagine tutto è anche paesaggio, che si fa spirituale, che rinuncia ad ogni protezione per essere più vero, respiro di cui si sente il bisogno: “La piccola grondaia/ sgocciola ancora/ all’altezza del cuore.// Succede sempre/ quando vedo le lucciole sfinite/ dal buio della valle”.
Sono poesie su cui ritornare queste, a cui affidare un volere bene che è sempre più necessario, dove si può trovare il coraggio, “Io che progetto Dio, la salute”, e il giusto momento per fare del silenzio un qualcosa di perfetto, “Una pioggia sottile sottile/ nella luce dei fari”.

Dal libro:
Rosso superiore
È sufficiente che
le due metà del cuore
pulsino intatte
che al bar evaporino
dagli impermeabili tristi
le vicissitudini domestiche.
Non si smette mai di cadere,
è meglio godere
nell’occhio del ciclone
con un rosso superiore.
Si sa che i turisti sono curiosi,
amano solo gli spettri.
Una foto ricordo.
*
Esperienza
Ho imparato
l’imperfezione del quadrifoglio,
che il cielo acconsente o dimentica,
un debole continuo dolore
che non mi rende giustizia.
Intanto arrotolo tramonti,
racconto mille bugie capovolte.
Il sangue soprattutto
non ha più la spuma
della prima vendemmia.
*
Al balcone
I miei battiti calmi da collina
tre sigarette e un po’ di vino.
La piccola grondaia
sgocciola ancora
all’altezza del cuore.
Succede sempre
quando vedo le lucciole sfinite
dal buio della valle.
*
La capriola
Che pratiche leggere l’esistenza.
Il futuro
è una data scolpita.
Sconosciuta.
Quanti cuori calpestiamo
per sopravvivere felici.
Io che progetto Dio, la salute.
Io che non vedo mai
la tua tenera capriola
nel mio piccolo orto.
L’autore:
Giovanni Andreoli è nato a Bussolengo (VR) nel 1962 e vive a Sant’Ambrogio di Volpicella. Operatore per disabili, ama fare lunghe passeggiate in natura. Presente nell’antologia Olimpia di Montegrotto Terme. Pubblicazioni: Il giardino della terra insieme a Remo Xumerle (2003).(Giovanni Andreoli, Absorbeat, pp. 71, 10 euro, Fara 2024)

Nessun commento:
Posta un commento