recensione di Vincenzo Capodiferro
ABSORBEAT DI GIOVANNI ANDREOLI
Non c’è fantasia,
manca l’allegria,
ne approfittano gli animali.
Milioni di cani e gatti ruffiani,
ogni sera cenano
pasti gourmet tre stelle.
Poesia nostalgica. Manca quell’ungarettiana “allegria” che si assapora proprio nei momenti più difficili. Ci sono prove nella vita, il lutto del poeta rimanda alla dipartita del padre: «Le vecchie mormoravano:/ L’è na, l’è na…/ Ugualmente il traffico/ attraversava la stanza».
Poche parole, misurate, meditate, sofferte, fotogrammi sintetici dell’esistenza, scattati da una vecchia macchina fotografica, ancora a rullino: così possiamo definire questi versi semi-ermetici, semilavorati, del poeta veronese Giovanni Andreoli, i quali lasciano spazio a profonde riflessioni. Si diceva appunto “schegge di vita su un foglio”. L’anima non è già un foglio bianco, contiene le predisposizioni originarie, primitive, genetiche alla vita.
Questa poesia trae ad esempio la “banalità del male” quotidiano: la mancanza di allegria, soprattutto nel dolore, nel dramma della vita. Io dicevo ad un convegno con due parole, per esprimere lo stesso concetto che Giovanni vuol far trasparire: «Cani! Gatti! Biciclette! Ho detto tutto!».
Seduto sulla panchina
la vita mette allegria.
Penso in modo razionale, sereno.
Però non capisco, quando mi alzo…
La vita mette allegria, serenità, in quei pochi momenti in cui siede, la mente è lucida, calma, in quiete. Come capire la “quiete”, “dopo la tempesta?”. È diversa da quella prima della tempesta.
ABSORBEAT
Io senza Dio
sono solo la mia voce.
Un dettaglio, dispari o pari…
Parla della solitudine esistenziale dell’uomo come genere, non sempre come singolo: il singolo davanti a Dio di Kierkegaard! Solo nella dimensione umana la singolarità è superiore alla specie. Annota Alessandro Ramberti nella postfazione: «Sì, queste poesie ci spingono fuori dalla nostra zona di conforto, un po’ ci urtano perché tutti ci avvinghiamo alle nostre (false) sicurezze, a ciò che conosciamo, alle vie di fuga immediate… mentre quel che conta è riconoscersi bisognosi gli uni degli altri. Prendendo atto dei nostri limiti, delle nostre cadute, dei nostri sbagli… significa rientrare in noi stessi e rendersi disponibili all’intervento dell’amore, della grazia. San Francesco insegna».
La poesia di Giovanni Andreoli è preghiera. Riprende l’Absorbeat, attribuito a Francesco.
Rapisca, ti prego, o Signore…
Giovanni Andreoli è nato a Bussolengo (VR) nel 1962 e vive a Sant’Ambrogio di Volpicella. Operatore per disabili, ama fare lunghe passeggiate in natura. Presente nell’antologia “Olympia” di Montegrotto Terme. Pubblicazioni: Il giardino della terra insieme a Remo Xumerle (2003).
Vincenzo Capodiferro
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