venerdì 8 dicembre 2023

“Siamo le ossa di un cranio/ in cui risuona il cosmo.”

Alessandro Ramberti, Enchiridion celeste, FaraEditore, 2022

Adele Desideri su Senecio, 6 ottobre 2023


Il termine “enchiridion” - derivante “dal tardo latino enchiridĭon e dal greco antico encheirídion” - indica un piccolo, ma completo manuale dedicato a una specifica materia. Famoso è l’Enchiridion di Epitteto, composto dal suo allievo Arriano, nel quale si invita ogni filosofo a distinguere quanto dipende dall’uomo e quanto dall’uomo non dipende, al fine di raggiungere la felicità - nel contesto odierno è preferibile sostituire il vocabolo “felicità” con il pacato vocabolo “serenità”.

Ramberti scrive un Enchiridion celeste, ovvero un “piccolo”, eppure intenso, trattato - prevalentemente in terzine - per mostrare al lettore la propria visione del cammino “verso il cielo”, inteso come una progressiva immersione nella dimensione della fede, che dalla figura di Cristo fa scaturire semi di pace e, appunto, di serenità.

Già nell’esergo - “Ogni esperienza è un cambiamento, ogni cambiamento è una perdita, ogni perdita è sempre la rivelazione di ciò che non può essere perduto, cioè del nostro essenziale” - vi è la prima “stazione” di questo percorso celestiale: la vita umana consiste anche in una serie di perdite - relazionali, affettive, di salute fisica e psicologica, economiche - che possono aiutare l’individuo - nell’acuto dolore, nell’esasperato lutto - a tenere ben stretto a sé il residuo essenziale. 

E di essenziale vi è innanzitutto la speranza, che pure nelle disastrose avventure esistenziali bisogna tentare di non smarrire: “Nel mezzo fra la stasi/ per noi rassicurante/ e il moto che ci inquieta// eppure necessario/ al nostro ricercare/ un senso al noi e al tu// ci è chiesto un equilibrio -/ fidiamoci dell’angelo/ il nostro aggancio al dopo.//”. 

Ma chi è l’angelo salvifico che ci permette di allungare lo sguardo verso il futuro? L’Angelo Custode, per alcuni, per altri la persona defunta e cara che sentiamo vicina - il cui ricordo ci illumina nel comprendere il significato delle asperità e delle gioie vissute - per altri ancora rappresenta il coraggio, o l’intuizione, o la solidarietà elargita e ricevuta. 


La seconda stazione consiste nel dubbio intrinseco all’atteggiamento euristico: “Incorniciare dubbi/ è mettere in tensione/ la tela della vita// se essa è floscia e priva/ di domande si adagia/ su cocci di certezze.//”. 

Si potrebbe dire: “Dubito ergo sum”, parafrasando il cartesiano: “Cogito ergo sum”. 

Solo ponendosi, infatti, le più profonde domande di senso - e solo dandosi risposte aperte a ulteriori, nuove domande - si evitano le varie forme di ideologia, ovvero quei pensieri che muovono da ragionamenti prettamente logici - non saggi - e procedono poi alla conseguente, ineludibile prassi, senza valutare le criticità dei primi e la tenuta morale della seconda.

La percezione delle proprie ferite, delle proprie debolezze, è fondamentale. Non per suscitare sentimenti di colpa derivanti da una concezione amartiologica del Cristianesimo, ma per prendere atto dei medicamenti che possono essere assunti nel personale processo di individuazione: “Ognuno ha il suo percorso/ (i suoi scivolamenti/ o anche le cadute// nelle acque più insidiose)/ le sue isole a volte/ grandi come deserti// in cui però c’è sempre/ modo di fare incontri/ che sono levatrici// del sé per darlo agli altri/ di levigarsi assieme/ e sì - trasfigurarsi.//”.

È l’amore, dunque, l’ancora di salvezza, l’ancora che tiene in equilibrio - tra i marosi sferzanti il quotidiano - la barca nella quale resistiamo insieme a quanti condividono con noi questa nostra oscura epoca: “L’amore quando è dato/ può esser rigettato// ma sempre spande e nutre/ non lascia scorie e sana/ chi l’offre e chi l’accoglie.//”. L’amore risplende. L’amore risana. L’amore trasfigura.


Infine Ramberti si appella alla grazia - il dono precipuo dello Spirito Santo, che ci rende intimi con Cristo, capaci di chiedere e ricevere il perdono per le nostre umili manchevolezze, e ci permette di trasformare ciò che è negativo in positività etica e spirituale: “La grazia è fantasiosa:/ sorprende il non credente/ risveglia chi si adagia// manda la notte oscura/ consola chi si affida/ insegna l’umiltà// incide taglia cuce/ fa terapia col nostro/ lato in ombra (…)/ (…)/ (…) calma allora il fiato// considera il tuo poco/ lascialo andare fuori/ di te dal tuo recinto// trasforma il desiderio/ di potenza e di gloria/ violento e divisivo// in moltiplicazione/ aperta ed inclusiva -/ diventerai la tessera// preziosa di un mosaico/ il tuo bagliore scampolo/ già qui di eternità.//”.


Talora, però, si vacilla, come Gesù sulla Croce, non si coglie il perché di tanta sofferenza, di tanta affollata solitudine. 

E se anche Gesù, poco prima di morire, ha gridato: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni? - Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34), allora Ramberti, con una tonalità che richiama il libro biblico delle Lamentazioni, supplice interroga: “Ci siete? C’è qualcuno che può darmi/ un segno di presenza di sostegno?/ Vi prego diamo un’anima al futuro.//”.

Questa è, per Ramberti, l’antitetica via che - pur restando noi sulla terra - ci conduce “verso il cielo”: “Siamo le ossa di un cranio/ in cui risuona il cosmo.//”. Possiamo - noi, fatti di carne e di spirito - vivere ciascun momento dell’esistenza in armonia con il cosmo - il Creato e il suo Creatore. Possiamo scorgere nel volto di ogni uomo il volto di Cristo, restituire dedizione a chi ci delude o ci offende, ascoltare chi ha necessità di raccontarsi, abitare l’attimo alla luce apparentemente tremula dell’eternità, “può essere un inizio/ un dire sono qui.//”.

Così scrive Chiara Lubich: “Ecco la grande attrattiva del tempo moderno:/ penetrare nella più alta contemplazione,/ rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo./ Vorrei dire di più: perdersi nella folla/ per informarla del divino/come si inzuppa/ un frusto di pane nel vino./ Vorrei dire di più:/ fatti partecipi dei disegni di Dio/ sull’umanità/ segnare sulla folla ricami di luce/ e, nel contempo, dividere col prossimo/ l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie.//”.


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