Daìta Martinez, nell’ora dell’aurora, peQuod 2023, collana Portosepolto a cura di Luca Pizzolitto
recensione di AR
Il messaggio che mi ha colpito con maggiore intensità in questo libro cosparso di fluenti endecasillabi, a cominciare dall’incipit “rosato è ora l’ovale dell’aurora”, con rima interna “ora … aurora” e il primo accento in terza sillaba su “òra” con sinalefe -o è o-, è quello che estraggo da p. 16 (da cui proviene anche il titolo di questa recensione che lo precede immediatamente): “con la voce che si direbbe farsi arco e firmamento nel mattino eterno sul viso di mio padre”. Una definizione di sapore biblico che può applicarsi senz’altro all’essenza della buona (ovvero bella e vera) poesia. La parola poetica dovrebbe infatti essere generativa e in quanto tale superare il tempo (“mattino eterno”), stendersi come un arco (cf. Gen 9,13) fra cielo e terra, separare come un firmamento le acque sotto il cielo da quelle che stanno sopra (cfr. Gen 1,6). La poesia è dunque separazione e connessione, senso sensibile e senso spirituale, voce che naviga il silenzio, filo d’oro che può cucire ferite, medicare relazioni, rapportarci all’alto e agli altri con l’energia della musica. Difesa della nostra umanità e nostalgia del divino, scudo al diluvio e trasparente cupola per accedere allo spazio smisurato delle stelle che non cessa di farci innamorare e di stupirci con “l’infinito bagliore nel viso del nome” (p. 17, il Nome è per gli ebrei Dio) e “s’addormenta la bocca della luna sulla / spalla dell‘aurora un tremito ha lieve il / mattino dalla guancia del silenzio orla / il tempo e il suo mistero com’è di Dio il / roseto nascosto nel nido della pioggia” (p. 50).
L’opera di Daìta è pure intessuta di echi liturgici e riferimenti all’architettura sacra: “entrare piano e pianissimo innamorare il canto dell’ora (…) resa sua l’attesa sull’altare della donna ascesa” (p. 18); “il profano rosone del mattino” (p. 21); “vestiti nel canto di una madre” (p. 23); “s’accuccia il mondo una preghiera agli angeli” (p. 25); “gradino per gradino suola [neologismo verbale suggestivo] l’infedele”(p. 30); “ferisce il tempo sulla croce del / suo tempo come una preghiera” (p. 33); “dove la chiesa incontrata per / caso ha il suono morbido dei sogni e” (p. 47); “si sente l’eco di una campana” (p. 49); “fioritura del sacro corpo nella voce” (p. 53).
Una raccolta di fasi aurorali, di bocche, di incisioni e ferite, di pioggia e di sole, di fiati/ciati e affetti custoditi e ribollenti (“il bacio innamorato / di una figlia che tiene lui tra le ciglia”, p. 51), di inguini dischiusi e carezze (“siamo carezza battente / il niente di un’ora sospesa”, p. 36), di legami amorosi inquietanti (l’inquietudine è forse il propellente più necessario alla poesia, alla preghiera, la misura del nostro metterci a nudo nei panni di altri). Il congedo, gli ultimi versi che ci lascia Daìta sono pure, crediamo, espressione profonda del desiderio insito in ogni poeta che danza con lacerata gioia “nello stupore del / discorso mai detto a te introvabile amato / uomo che d’ogni me già sai la ferita vita” (p. 55).
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