lunedì 28 novembre 2022

Poesie inedite di Marco Melillo

 


 

Amo il riso in ogni ruga calpestata

chiedo un viso ad ogni donna amata

anche se triste, piego l'anima al lavoro

di qualsiasi nostalgia pur d'esser vero.

 

“Quattro donne”

#

“Maria”

 

Così conosco il tuo nome, Maria

so la fretta dei tuoi rami bianchi

ma al mondo che importa?

Seduta qui sulle scale

sei la vita murmure con gli occhi chiusi

che divide il tempo.

La mascherata salita degli anni

si ferma nei nostri saluti 

nel raro parlare acquietarci, 

uguali per la visibile sponda

che inarca la schiena dei gatti

levati nei capelli al sole.

Piccoli spazi di sopra e di sotto

racconti, non dormi più nella stanza

minuscola col suo soppalco

di fiori e detriti, nemmeno il letto

dove salutavi la vita cingendola

di altri orizzonti, malgrado i muri

vicini da metterci il naso

se passa un gran vento

quando muore l'alba 

negli occhi puliti.

Così ti parlo, Maria, dei perduti

senza dire nulla. 

Come ritratto o stagione ci fermano

ancora in un angolo i sogni.

Per altre vite, come non fosse dipesa

dal vento, dagli occhi chiusi

da parole mute la parete avita

dei giorni.

Ora sei nonna ora madre

ora figlia di ciò che volevi.

Sempre venivo qui per imparare.

 

#

"Bianca"

 

Ha perso quasi ogni cosa.

Venne da me per racconti

non nati per stupire il mondo

e per necessità ne faceva.

Erano gli occhi cristallo

a guidare quei cocci di vita.

Erano gli umani prima di lei

gli animali, l'arca del sogno

svampita sui piedi di sabbia.

 

Nemmeno allora imparai

che chi sbanda ha un aspetto

regale e felino. Ma ci tornai 

prima che fosse nuda la porta,

prima che gli occhi partissero

per altri volti, per altre rotte immortali.

 

#

 

“Teresa”

 

Destra o sinistra? Come si fa 

a non guardarsi in entrambe le mani 

Teresa, quando la sera ti mettono 

il gioco del mondo nelle rose bianche

come ne piovesse rugiada, quando 

saluti e ringrazi per l'ultimo turno

di nostra signora delle porcherie.

Forse qualcuno si è assolto, guarda

dall'alto come sei seduta e se fingi

di restare in terra o t'involi, 

voltato l'angolo della segreta agonia.

C'è chi la chiama fiducia, Gesù, 

provvidenza, memoria. Però la storia

è accozzaglia di fato, transenne

piuttosto, steccati da dove guardano

immobili i mostri.

Però chi t'abita? Chi sei davvero?

Mandate a dire al padrone che manca 

un po' di fantasia, mandate a dire

all'amore che è perso: ci digeriscono 

nuvole di nostalgia.

E a cuor leggero ti abito anch'io 

per un poco, fino alla lettera che 

sto scrivendo e mi brucia la rosa.

 

#

“Guendalina”

 

Sopra il passo scuro delle arcate

contro un muro sta il cadavere

del tempo. Passano gironi 

e strette icone tutte in circolo

in attesa di verifiche

di una contraddizione.

L'acqua lava il fuoco della casa

caccia i topi dalle tane

dove fanno un mezzo albergo

la tua fame, la famiglia inoperosa

di pensieri stretti al collo 

le scommesse di chi paga

tempi d'oro. 

Ma non vengono a cercarti 

i loro denti, neanche i santi

ti rimettono la stoffa dove intride

di parole la tua guardia

Guendalina, mezza cucitura

sul portale di cemento, mezza cruna

dove passano veloci gli armamenti

e il tempo stringe e l'aria tace

su di te come a una donna di cartone.

 

#

“Quattro donne”, quattro esistenze che raccolgono la molteplicità del sentire e dell’intendere la vita, quattro persone che hanno in comune una condizione di solitudine, ma non solo. “Maria” è protagonista e insieme ostaggio della propria vecchiaia. Vive buona parte del giorno fino all’uscio della sera fuori il proprio basso, tipico immobile napoletano da vicolo, da vita confinante più con gli esseri terrestri che coi cieli: ma chi vive così guarda in fuori e spesso all’insù, e con questo gesto porta fuori dall’apparente vissuto di carcerazione la propria vitalità mnemonica e – ovviamente – la propria nostalgia, sperando e desiderando che qualcuno si fermi ad ascoltare i suoi racconti.

Bianca vive la propria condizione di solitudine accudendo il proprio unico figlio senza il supporto di un’altra figura genitoriale: un marito totalmente assente salvo che per episodi di violenza psicologica e maschilismo. Suo unico impegno sembra essere dotare mensilmente la piccola famiglia di denaro, certamente meno di ciò che occorre a delle esistenze dignitose, soprattutto quando c’è in causa la crescita di un minore. In lei la solitudine si fa dramma emblematico di un tempo di strafottenza, superficialità generalizzata che apre squarci enormi sulla marginalità, per chi la sa e la voglia vedere.

Teresa chiede le elemosine all’uscita di un supermercato. Sta lì tutte le sere fino alla chiusura e oltre, quando cioè qualcuno dei dipendenti le porta un po’ di cibo invenduto, possibilmente caldo, che lei consuma senza spostarsi, recandosi poi in un dormitorio per la notte. La citazione iniziale è legata all’atto caritatevole: “la destra non veda ciò che fa la sinistra” anche se non è vissuto come mera carità cristiana, ma come estensione di un disagio relativo al vissuto quotidiano ed alla percezione di esclusione sociale e, appunto, marginalità.

Guendalina vive in una catapecchia, viene in chiesa ad accendere ceri al santo e alla madonna. Il “cadavere del tempo” è un continuum di vita che passa indenne ai malanni della sua povertà e della sua solitudine, mentre l’umanità ha altro cui pensare, a quanto pare. La massima dignità del suo contegno spinge per contrasto a pensare che qualcuno stia scommettendo sulla sua capacità di sopravvivere, in un gioco sadico che contrappone i benestanti come giusti e i poveri come ingiusti o “sbagliati”, unici responsabili cioè della propria condizione. Sullo sfondo passa una guerra, camminano e volano gli armamenti. Guendalina è una invisibile, una “donna di cartone”.

Come poesie da leggere congiuntamente, il piccolo gruppo di “Quattro donne” fa capo ad un lavoro iniziato nel 2019 dal titolo “La guerra delle campane” i cui testi sono ancora del tutto inediti (salvo i pochi pubblicati sulla rivista InVerso poesia, appunto, nel 2019) e dovrebbero costituire insieme ad altri l’ossatura del mio prossimo lavoro portato a termine.

 

Sono nato a Napoli nel 1979. Ho trascorso infanzia e adolescenza a Torre Annunziata, dove grazie a diversi amici ho preso parte dal 2008 alla realizzazione di un caffè letterario. Ho fatto brevi esperienze teatrali e cinematografiche. Ho scritto per diverse webzine culturali. Oltre alla letteratura grandi passioni sono la musica (soprattutto) e il cinema. Ho fatto radio per diversi anni. Nel 2010 è uscito “Luce”, una raccolta di poesie con la prefazione di Marina Bisogno, per una casa editrice romana, ma il testo è introvabile e indisponibile (non fu mai firmato un vero contratto editoriale). Nel 2021 è uscito il mio primo vero libro di poesia, mai pensato come raccolta ma appunto come libro con una propria architettura; infatti, “Nuova Canzone Felice” è strutturato in 4 sezioni integrate ma diverse anche per scelte linguistiche precise, oltre che per unità tematiche. La prefazione è dell’illustre Professor Enzo Rega, grande critico letterario ed autore egli stesso, di racconti e di poesie. Il testo è uscito per Marco Saya (Milano) nella collana “sottotraccia” diretta da Antonio Bux. Negli anni ho scritto diversi racconti, alcuni di essi sono stati rappresentati in brevi pièce teatrali, altri sono comparsi su testate locali o giornali cartacei. Miei versi sono presenti su varie testate online. Mi hanno attribuito il premio “L’Iguana-Anna Maria Ortese” (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici) sia per le poesie inedite nel 2017, sia nel 2022 come libro edito per “Nuova Canzone Felice”. Sono stato tra i vincitori sempre per gli inediti al Premio Città di Conza della Campania nel 2019 e nel 2022: una bella realtà che mi ha consentito di conoscere e allevare amicizie autentiche tra poeti, e non è poco. Tuttavia, non ho quasi mai preso parte a premi letterari. Sono stato pubblicato – tra le altre riviste cartacee – su “Poeti e Poesia” diretto da Elio Pecora e proprio di questi giorni su Anasyrma (Disvelare edizioni), a cura di Vincenzo Notaro con nota critica di Enzo Rega. Amo tradurre i poeti di lingua inglese, soprattutto americani viventi: sto lavorando ad un progetto che include alcune delle mie traduzioni già da quasi 4 anni. I testi qui presentati fanno parte di un nucleo centrale nel nuovo lavoro, dal titolo “La guerra delle campane”, cui sto lavorando dal 2019.

 

 

 

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