Simone Di Biasio, Partita. Penelope, monologo in versi, testo greco a fronte (tr. di Evangelia Polymou), prefazione di Alessia Pizzi, illustrazioni e copertina di Stefania Romagna, FusibiliaLibri 2016
nota di lettura di AR
È la storia di una mancanza: la partita si gioca non tanto con il destino, quanto con le scelte che ci riguardano (quelle che facciamo e quelle che subiamo). Odisseo ritorna e deve fare i conti con il fatto che Penelope è partita. Il loro letto, da lui stesso intagliato nell'olivo e nel quale era stato concepito Telemaco, è ironicamente vuoto. Il testo si apre con Voce (presumibilmente un fuori campo di Penolope, un biglietto sonoro a Nessuno): «Lascio la terra dell'ulivo / grande casa che accolse le mie pene / lo spazio che mi fu uomo, compagno e destino / (…) / Mi riprendo il mare e il tempo, / la vastità mi attende oltre la gabbia» (p. 33). Ulisse è rintronato, questo abbandono lo spiazza ma lo porta a fare in qualche modo un esame di coscienza: «il viaggio indicasti a me lanciando ogni giorno, / un grido un filo la voce come tela / io tuo burattino apprivo golfi come le tue cosce / ammaravo nelle insenature del tuo petto / (…)» (p. 37); «mai avrei potuto sentirti più vicina / come sfiorando la pelle del mare» (p. 39); «e scusa, scusa ma non potevo sapere che / tessere non era atto, ma elenco di cocci / chiamata a raccolta delle sparizioni» (p. 43).
Si fa spazio in lui una nostalgia della fedeltà di Penolope: «affinché da quell'ulivo si generasse un bosco / un bosco fitto dentro il nostro letto (…)» (p. 45); «perché il possesso è un'assenza / poiché niente è nostro, amore…» (p. 47); «quali ginocchia si scioglieranno ancora: / quali ginocchia si sceglieranno ancora?» (p. 49); «tu ascoltasti in silenzio inginocchiata / questa foltissima storia dell'assenza / (…) // così non ho per andare / sono albero solo io, adesso, storto / eppure ho scelto ancora la tua terra» (p. 51); «ma io aspetto qui la tua assenza / aspetto su questo sradicato ulivo la tua essenza / dove le ansie che ti davano il fianco hanno disegnato la / posizione del mio contorno, del mio ritorno» (p. 53).
Il monologo si conclude con una Voce (questa volta un fuori campo attribuile allo stesso Odisseo) : «“Hai lasciato le tue cose, di là, anche i miei messaggi / (…) / vent'anni sono una carriera di navigatrice solitaria / (…) / non posso dirti se la gravità sia una forza o l'isolalmento / o se quest'isola mente che siamo mai esisiti”.» (p. 55)
Una chiusa che rimette tutto in gioco e ci consegna alla responsabilità dell'esistenza in cui il desiderio di conoscere è una tensione fra noto e ignoto, fra il legno del talamo e quello mobile della nave, fra andare e restare.
Questi versi sono perfetti per una radiovisione, per la ricchezza di immagini antiche e nuove, per il ritmo marino del racconto di Ulisse. Il testo è accompagnato da illustrazioni davvero splendide ed “emozionanti” di Stefania Romagna.
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