lunedì 23 maggio 2016

Su un trittico inedito di Giuseppe Vetromile

Vincenzo D’Alessio


L’ennesima salita

Quando lui morì c’era ancora un attimo di luce sul tavolo di cucina
lento a ritirarsi oltre l’oceano infinito
del mondo qualunque ed appiattito

sembrava     il pallido sole     non voler più estinguersi
dietro i monti asciutti e distaccati
così     come per scusarsi di quella morte inopinata
che era entrata di soppiatto a disordinare
il regolare fluire delle cose
nel corso di anni regolari

e il tempo pure sembrò annichilirsi      sospendersi
tra un tic e un tac del vecchio orologio bianco
appeso accanto al lunario scolorito

Eppure sentimmo il vento respirare più disteso
e i profumi e gli aromi e tutte le forme del cielo
entrarci fino al centro del ventre: serenità
che placava ogni grido di tempesta

così pure il silenzio           e il vortice dell’intero pianeta
che continuava il suo giro ineluttabile
attorno ai confini del creato

sanciva la fine e l’inizio       concentrici

ed io dall’abisso ricominciavo l’ennesima salita
con un minimo abbrivio di speranza



Le cose stanno nel cassetto


Le cose stanno nel cassetto senza nessuna fretta di scomparire
stanno inerti aggiustate per bene ognuna nell'incavo
del suo spazio secolare
in attesa di una mano che le raccolga un'ultima volta
prima di andare

io lo so
perché quando le cose nel cassetto se ne vanno
vuol dire che tu sei diventato ombra di sbieco
attraverso la casa
e non agiti più le tende non scorgi la vita
giù nel parco chiassoso

le cose si riprendono la tua anima e vibrano
di ricordi
s'apre per esempio un guscio vecchio di noce
e suona improvviso il carillon
senza corda
eppure suona!
oppure tintinna un ciondoletto d'argento
come disturbato da un pizzico magico
e il quadernetto del rosario si sfalda
recita da solo avemarie

le cose stanno così
in silenzio e ferme come sassi nel cassetto
poi si riprendono la vita
quando tu esci una volta di casa
per non tornarci mai più



Si torna sempre qui

E poi non serve la borsa della spesa nell'umano mercato
delle cianfrusaglie
dei talismani che esorcizzano inutilmente
la chiusura del confine
oltre il pensiero barricato in fondo al cuore

ho provato per un momento a decadere nel cielo
farmi volo veggente oltre il tempo e lo strato
terreno dei miei piedi
- il salto inopinato fuori dalla finestra -
cercando giorni illuminati dalle parole dei poeti

non ho trovato alcuna scienza
e i tratti di inchiostro rifluiscono indeterminati
su un foglio che è ampio tutta una vita

quindi non serve il bagaglio delle parole
né dei gridi né dei silenzi

e si torna sempre qui
sul medesimo punto d'equinozio
a risolvere un problema che non esiste

o che nessuno ci ha dato da risolvere

si torna sempre qui
con la faccia sconfitta dalla terra

e in ogni parola il mistero si fa
più fondo

***


I poeti sono la voce dell’Umanità che cammina nel Tempo.

La Poesia rappresenta la più forte evoluzione del suono, della parola, della scrittura, che hanno accompagnato la Civiltà degli uomini fino ai giorni nostri. Capita così che un poema di duemila anni fa che racconta le vicende tra mare e guerre di Odisseo giunga ai nostri sensi intatto a sommuovere i sentimenti dell’uomo di oggi universalmente tecnologico.

Da almeno quarant’anni, Giuseppe Vetromile, raccoglie consensi nei concorsi nazionali, giungendo ai primi posti, con la sua poetica affabulatrice partita dalla visionaria realtà meridionale per giungere alla liricità del solipsismo di questo Ventunesimo secolo nel quale le cose, umanizzate, scandiscono il tempo degli uomini. La sua poetica si è evoluta nel tempo.

Il trittico composto dalle tre poesie: L’ennesima salita, Le cose stanno nel cassetto e Si ritorna sempre qui, ha vinto il primo premio alla tredicesima edizione del Premio Nazionale Città di Forlì 2016.

La disamina attenta del circostante investito dagli eventi naturali, giornalieri, trasmette al lettore la caduta dei sentimenti ,quella energia che per secoli ha sostenuto il dialogo generazionale. La perdita di umanità, causata dall’industrializzazione e dallo scientismo spinti al massimo, hanno compresso l’uomo decretando la morte della bellezza e degli Dei. L’uomo non ha alcuna necessità del metafisico, del divino, ha essenzialmente fame del tecnologico, delle cose inventate che lo accudiscono.

L’uomo muore, le cose inventate restano a parlare nel silenzio. Una volta le immagini, i racconti, i monumenti erano realizzati per tramandare la Civiltà umana, erano infusi di un’ anima recondita che si risvegliava al contatto con la sensibilità dei secoli che attraversava. Oggi anche le immagini, ammalate di velocità, hanno perso di intensità scadendo nel baratro dell’inutile consumo.

“Le cose stanno nel cassetto senza nessuna fretta di scomparire” scrive il Nostro declamando la triste sorte che spetta all’ uomo di oggi divenuto “ombra di sbieco”. In questa trasmissione energetica le cose posseggono l’anima del possessore scomparso e vibrano di quell’unica forza protesa ad annodare il passato con l’irraggiungibile presente: i ricordi. La trasmissione dei pensieri lega, attraverso gli oggetti, la persona scomparsa a coloro che restano.

L’esercizio poetico di Vetromile è mirabile, proteso a svelare l’oscurità dell’abisso che continuamente si avverte ad ogni morte : “(…) ho provato per un momento a de cadere nel cielo / farmi volo veggente oltre il tempo e lo strato / terreno dei miei piedi / - il salto inopinato fuori dalla finestra - / cercando giorni illuminati dalle parole dei poeti / non ho trovato alcuna scienza / e i tratti di inchiostro rifluiscono indeterminati / su un foglio che è ampio tutta una vita”.

“Si torna sempre qui” è il titolo di questi ultimi versi citati, la ricerca che nell’anima del poeta, dell’uomo, si fa scintilla primitiva di luce, quel raggio di sole di quasimodiana memoria, proteso a svelare a noi che il dono della poesia tormenta il poeta ma sazia l’umanità che a questa fonte si disseta.

L’anafora presente nella poesia “Le cose stanno nel cassetto”, l’identità dell’io narrante, riporta alla mente i versi della poesia Non chiederci la parola di Eugenio MONTALE, il quale tenta il lettore chiedendogli di soffermarsi nell’incanto di quelle storte sillabe che lo sostengono nel dialogo senza tempo: kairos , il tempo giusto mentre tutto accade che in Vetromile si leggono così: “(…) il vortice dell’intero pianeta / che continuava il suo giro ineluttabile / attorno ai confini del creato / sanciva la fine e l’inizio concentrici.”

L’io scrive, racconta agli uomini quel tempo delle cose che sfugge, velocissimo, più delle immagini trasmesse dagli smartphone o dai satelliti che pendono sulle teste dei comuni mortali incoscienti.

La destinazione ancestrale della scomparsa terrena degli esseri umani sembra svanire in “(…) quell’oceano infinito / del mondo qualunque ed appiattito”. I versi di questa triade felice la riportano allo stato di grazia che non ha più radici nella Fede monoteistica che ha accompagnato l’uomo da millenni soggiogandolo alla paura del peccato e della pena ma destinandolo alla trasmissione dell’energia vitale negli oggetti che lo ricorderanno, che sopravvivono all’urto violento del Tempo.

“(…) ed io dall’abisso ricominciavo l’ennesima salita / con un minimo abbrivo di speranza”, questi versi che chiudono la poesia “L’ennesima salita” richiamano il fervore della foscoliana “dea speranza” questa volta, però, munita di quella forza iniziale che determina il movimento del distacco della nave dalla riva per intraprendere il viaggio. Viaggio che ogni essere vivente deve intraprendere (télos) per ritrovarsi nell’energia cosmica dell’Essere.

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