recensione di Vincenzo D'Alessio
I continui studi sulla Letteratura
Irlandese, e in modo particolare sulla poesia delle poete di quella terra,
tradotte in perfetta armonia, come Eavan Bolland, Medbh McGuckian e diverse
altre incluse nell’Antologia Dopo lungo silenzio (Moby Dick 1997),
permettono di leggere oggi i versi
della Nostra intrisi di una luminosità intensissima, proprio come la neve che
si rivela alla luce del sole.
La neve, che permane nella raccolta
rivelandosi dolorosamente calda, muove dalla scomparsa dell’affetto paterno
rappresentato dapprima in una rosa, poi nella voce: quest’ultima unico contatto
tra gli esseri viventi: “Io non so se sia / benedetto il giorno / ma vivo della
notte è il sonno / in cui ritorna / in carne ossa la voce / a benedirmi.” (pag. 172).
La poesia è un dialogo in versi
raccontato all’infinito: non ha tempo, non ha età, si dispiega in mille ordini
naturali che salvano l’Umanità dalla fine dell’esistenza. Questo stato d’animo
alimenta la poetica di Giovanna Iorio, non solo in questa raccolta ma da diversi
anni, di modo che la sua poesia diviene
universale perché vive in tutti gli elementi naturali e anche nelle cose che circondano l’io poetico.
Il primo elemento narrativo, la neve, è
la forza che racconta, che riverbera
negli animali che vivono la stagione invernale con le loro abitudini: “ (…) da qualche parte le volpi
attraversano / pagine bianche –
Oh, voi che affondate / le zampe
in questo silenzio / tornate.”
(pag. 166); “(…) Allora le volpi
uscivano dalle tane / in cerca dei
nostri occhi come se fosse questo vedersi / improvviso l’unico cibo.” (pag. 168); “Ho bisogno di ricordare / i giorni fermi sotto la neve / le parole sbriciolate nel becco degli
uccelli / l’aria piena d’ali / i
rami spezzati dal peso del bianco /
cadevano senza fare rumore come segnali muti.” (pag. 168).
L’energia creativa riversa nella Natura
durerà per sempre come le pagine bianche segnate dai versi della poesia eterna.
Viene alla mente il bellissimo film La bambina e la volpe del regista Luc Jacquet del 2007, dove
la neve svolge il ruolo di contatto tra due esseri viventi e il circostante.
La neve è metafora della purezza, della
maturazione dei germogli che ricopre, della rinascita delle sorgenti
sotterranee, del lungo sonno che precede il risveglio.
La neve è anche fonte di silenzio
inglobante, quella forza che spinge la Nostra ad avvicinarsi filosoficamente
al pensiero di Friedrich Hölderlin e di Hans Magnus Enzensberger: l’altrove
come topos del viaggio senza fine, desiderato e continuo, nonostante l’energia
del perturbante che avvicina l’umanità alle sponde del mare dove naufragano le
esistenze.
La ricerca dell’altrove è nella poeta l’energia dei viaggi che ha
vissuto e che riporta nella prima poesia di questa raccolta: “Mi agito a volte come una sfera di
vetro / due mani mi scuotono e mi
nevica dentro.” (pag. 165).
La palla di vetro, fragile e forte allo
stesso tempo come l’esistenza, viene agitata da due mani: esse rappresentano le
vicende che legano la poeta all’Umanità intera, mani creative che imprimono
energia vitale e danno l’avvio alla ricerca della poesia come senso di
liberazione dell’io che comunica il suo “dentro” al Mondo.
Dalla ricerca dell’altrove, e dalla
certezza che questo topos esiste proprio perché cercato in ogni essere vivente
e nelle cose, scaturisce l’intensa vena poetica della Nostra: “Mi piacciono le mani / quando non afferrano niente / quando se ne stanno ferme e il tempo / mi attraversa le dita come fossero rami
/ e il vento la vita.”
(pag. 165).
Dare un ordine alla propria esistenza in
questo momento in cui la neve copre, come una lieve lastra tombale, l’affetto
concreto che ha dato origine al corpo della poeta ed ora lei ne è la continuità
rivelata: “Ho bisogno di ricordare” (pag. 168); “Vorrei saper stare davanti al bianco
del muro/ come se fosse di neve.”
(pag. 169); “(…) Io mi ricordo dei
petali aperti / di una rosa
invernale / e foglie tormentate dal gelo” (pag. 171); “È ora di ficcarsi in un ricordo /
come in una sfera di vetro” (pag. 173).
Bellissime sono le risorse personali
dettate in poesia dalla conoscenza del lungo passato contadino della sua verde
terra, l’Irpinia: l’impastare e
cuocere il pane in casa; lasciare l’acqua sul fuoco che bolle mentre aspetta
che venga calata la pasta; il
fuoco gratificante del focolare che accoglie le scarpe sporche di neve e i
vestiti evaporavano l’acqua dei fiocchi di neve; il rumore dei piatti sul
tavolo; la magnificenza del calore domestico.
L’universo poetico di Giovanna Iorio
muove da qui e non potrebbe essere diversamente se la sua scrittura annovera
oltre alla grande poesia i più bei racconti per tutte le età: caldi come la
neve raccolta all’aperto e immersa
in un bicchiere nel succo di limone e nel poco zucchero tanto da farne
l’antico gelato che piaceva ai nostri antenati. Tutto ha un senso. Ogni forma
poetica assume un profumo così lieve, però, che confonde il dolore del freddo
con il calore delle labbra.
La bocca racconta in versi l’antico dolore del distacco dall’affetto
paterno divinizzandolo come una promessa: la memoria non muore ma migra nel
tempo del fare (poiesis): “E io ti strappavo l’ultima promessa
/ dalle mani fredde – stringevano
/ i grani di un rosario di rosa” (pag. 172); “(…) poi un cero per far
tornare a casa un padre / come se
la notte non fosse / il mare
aperto la paura che sa /
trasformare un suono in voce / (…) quello che torna non è mai uguale / e
bussa alla porta una mano / che
non sa cosa è venuta a cercare /
infrange il vetro d’aria /
dentro ha il suono di antiche parole.” (pag. 173).
La poesia della Nostra è fondamentalmente
affidata al verso libero; a svariate figure retoriche come l’anafora , la metonimia, l’umanizzazione degli
oggetti, le similitudini; in alcuni punti la rima baciata; le assonanze; la
disposizione libera dei versi anche nella lezione della divisione sillabica del
corpo poetico a pag.170 ( “Questa gabbia di ”).
La Giuria del concorso ha recepito
appieno la grandezza di questa poeta come annunciano le parole del componente
Lorenzo Mari che scrive a tal proposito: “Nevica tra le parole, in questa
raccolta, dove la neve è immagine costante, emergendo a tratti – fuori da ogni
luogo comune – come una presenza che può essere anche inquietante.”
Spetta ora all’editore pubblicare la presente raccolta come singolo volumetto per raggiungere
una maggiore diffusione per le generazioni di questo millennio.
Montoro, 14 maggio 2016
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