domenica 15 maggio 2016

Giovanna Iorio: La neve è altrove

in AA.VV., 2016. La luminosità dell’ombra, Fara Editore
recensione di Vincenzo D'Alessio

http://farapoesia.blogspot.it/2016/03/vincitori-del-concorso-pubblica-con-noi.html
La poetessa italo irlandese Giovanna Iorio ha partecipato al concorso Pubblica con noi 2016, indetto dalla Casa Editrice Fara di Rimini, diretta da Alessandro Ramberti con la  raccolta La neve è altrove: venticinque corpi poetici intrisi di grande padronanza linguistica, di filosofica cosmogonia dell’universo interiore.
I continui studi sulla Letteratura Irlandese, e in modo particolare sulla poesia delle poete di quella terra, tradotte in perfetta armonia, come Eavan Bolland, Medbh McGuckian e diverse altre incluse nell’Antologia Dopo lungo silenzio (Moby Dick 1997), permettono  di leggere oggi i versi della Nostra intrisi di una luminosità intensissima, proprio come la neve che si rivela alla luce del sole.

La neve, che permane nella raccolta rivelandosi dolorosamente calda, muove dalla scomparsa dell’affetto paterno rappresentato dapprima in una rosa, poi nella voce: quest’ultima unico contatto tra gli esseri viventi: “Io non so se sia /  benedetto il giorno / ma vivo della notte è il sonno / in cui ritorna / in carne ossa la voce  / a benedirmi.” (pag. 172).
La poesia è un dialogo in versi raccontato all’infinito: non ha tempo, non ha età, si dispiega in mille ordini naturali che salvano l’Umanità dalla fine dell’esistenza. Questo stato d’animo alimenta la poetica di Giovanna Iorio, non solo in questa raccolta ma da diversi anni, di modo che la sua poesia diviene universale perché vive in tutti gli elementi naturali e anche  nelle cose che circondano l’io poetico.

Il primo elemento narrativo, la neve, è la forza  che racconta, che riverbera negli animali che vivono la stagione invernale con le  loro abitudini: “ (…) da qualche parte le volpi attraversano /  pagine bianche – Oh, voi che affondate / le zampe in questo silenzio /  tornate.” (pag. 166); “(…) Allora le volpi uscivano dalle tane / in cerca dei nostri occhi come se fosse questo vedersi / improvviso l’unico cibo.” (pag. 168); “Ho bisogno di ricordare / i giorni fermi sotto la neve / le parole sbriciolate nel becco degli uccelli / l’aria piena d’ali / i rami spezzati dal peso del bianco / cadevano senza fare rumore come segnali muti.” (pag. 168).
L’energia creativa riversa nella Natura durerà per sempre come le pagine bianche segnate dai versi della poesia eterna. Viene alla mente il bellissimo film La bambina e la volpe  del regista Luc Jacquet del 2007, dove la neve svolge il ruolo di  contatto tra due esseri viventi e il circostante.
La neve è metafora della purezza, della maturazione dei germogli che ricopre, della rinascita delle sorgenti sotterranee, del lungo sonno che precede il risveglio.
La neve è anche fonte di silenzio inglobante, quella forza che spinge la Nostra ad avvicinarsi filosoficamente al pensiero di Friedrich Hölderlin e di Hans Magnus Enzensberger: l’altrove come topos del viaggio senza fine, desiderato e continuo, nonostante l’energia del perturbante che avvicina l’umanità alle sponde del mare dove naufragano le esistenze.
La ricerca dell’altrove è  nella poeta l’energia dei viaggi che ha vissuto e che riporta nella prima poesia di questa raccolta: “Mi agito a volte come una sfera di vetro / due mani mi scuotono e mi nevica dentro.” (pag. 165).

La palla di vetro, fragile e forte allo stesso tempo come l’esistenza, viene agitata da due mani: esse rappresentano le vicende che legano la poeta all’Umanità intera, mani creative che imprimono energia vitale e danno l’avvio alla ricerca della poesia come senso di liberazione dell’io che comunica il suo “dentro” al Mondo.

Dalla ricerca dell’altrove, e dalla certezza che questo topos esiste proprio perché cercato in ogni essere vivente e nelle cose, scaturisce l’intensa vena poetica della Nostra: “Mi piacciono le mani / quando non afferrano niente / quando se ne stanno ferme e il tempo / mi attraversa le dita come fossero rami / e il vento la vita.” (pag. 165).
Dare un ordine alla propria esistenza in questo momento in cui la neve copre, come una lieve lastra tombale, l’affetto concreto che ha dato origine al corpo della poeta ed ora lei ne è la continuità rivelata: “Ho bisogno di ricordare” (pag. 168);  “Vorrei saper stare davanti al bianco del muro/  come se fosse di neve.” (pag. 169); “(…) Io mi ricordo dei petali aperti / di una rosa invernale / e foglie tormentate dal gelo” (pag. 171); “È ora di ficcarsi in un ricordo / come in una sfera di vetro” (pag. 173).
Bellissime sono le risorse personali dettate in poesia dalla conoscenza del lungo passato contadino della sua verde terra, l’Irpinia:  l’impastare e cuocere il pane in casa; lasciare l’acqua sul fuoco che bolle mentre aspetta che venga calata la pasta;  il fuoco gratificante del focolare che accoglie le scarpe sporche di neve e i vestiti evaporavano l’acqua dei fiocchi di neve; il rumore dei piatti sul tavolo; la magnificenza del calore domestico.

L’universo poetico di Giovanna Iorio muove da qui e non potrebbe essere diversamente se la sua scrittura annovera oltre alla grande poesia i più bei racconti per tutte le età: caldi come la neve raccolta all’aperto e immersa  in un bicchiere nel succo di limone e nel poco zucchero tanto da farne l’antico gelato che piaceva ai nostri antenati. Tutto ha un senso. Ogni forma poetica assume un profumo così lieve, però, che confonde il dolore del freddo con il calore delle labbra.
La bocca  racconta in versi l’antico dolore del distacco dall’affetto paterno divinizzandolo come una promessa: la memoria non muore ma migra nel tempo del fare (poiesis): “E io ti strappavo l’ultima promessa / dalle mani fredde – stringevano / i grani di un rosario di rosa” (pag. 172); “(…) poi un cero per far tornare a casa un padre / come se la notte non fosse / il mare aperto la paura che sa /  trasformare un suono in voce / (…) quello che torna non è mai uguale / e bussa alla porta una mano / che non sa cosa è venuta a cercare /  infrange il vetro d’aria / dentro ha il suono di antiche parole.” (pag. 173).
La poesia della Nostra è fondamentalmente affidata al verso libero; a svariate figure retoriche  come l’anafora , la metonimia, l’umanizzazione degli oggetti, le similitudini; in alcuni punti la rima baciata; le assonanze; la disposizione libera dei versi anche nella lezione della divisione sillabica del corpo poetico a pag.170 ( “Questa gabbia di ”).
La Giuria del concorso ha recepito appieno la grandezza di questa poeta come annunciano le parole del componente Lorenzo Mari che scrive a tal proposito: “Nevica tra le parole, in questa raccolta, dove la neve è immagine costante, emergendo a tratti – fuori da ogni luogo comune – come una presenza che può essere anche inquietante.” 

Spetta ora all’editore  pubblicare la presente raccolta  come singolo volumetto per raggiungere una maggiore diffusione per le generazioni di questo  millennio.

Montoro, 14 maggio 2016

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