mercoledì 19 novembre 2014

Su Il mio Delta e dintorni di Colomba Di Pasquale

recensione di Vincenzo D'Alessio


La raccolta poetica di Colomba Di Pasquale che reca come titolo Il mio Delta e dintorni  (Fara 2014) è stata collocata dall’editore nella Collana: “Il filo dei versi”. Divisa in due tempi armonici si avvale della prefazione della poetessa Vivian Lamarque. L’epigrafe “A Lilia” richiama l’ultima composizione a pagina 64 compresa nel secondo tempo “Dintorni” dove l’anafora posta nei capoversi ripete “Sei” per allontanare il dolore dellallontanamento della persona cara.
La prima parte della raccolta, dedicata interamente all’armonia che regna tra chi scrive e l’esistenza quotidiana delle creature nel “Delta” del fiume più grande della nostra penisola “Il Po”, ha la partitura completa della poetica della Nostra racchiusa nella poesia eponima Il mio Delta a pag. 16. Nei versi la poeta avvalendosi dell’anafora “sono”, con la complicità del verso lungo privo di rima, imbarca il lettore sulle onde dell’immenso corso d’acqua alla ricerca incessante dell’ Infinito.
Quest’Ode è una vera e propria Ode alla Natura, Madre benefica e terrificante, con la quale la Nostra si confronta. Tornano alla mente del lettore i bellissimi versi del poeta latino Tito Lucrezio Caro nel Poema De Rerum Natura che: “con la sensibilità e deliziosa intimità della sua contemplazione della natura per assurgere poi subito dopo a una solennità e impetuosità quasi biblica” (L’Infinito, I , 968-983; 998-1007). La composizione alterna i nomi degli abitatori del Delta nei quali la poeta si immedesima e riconosce. La ricerca di una vita leggera, di una quotidianità che si affida alla superficie delle acque e non al suo fondo melmoso: “
(…) uno svasso, / cullo il mio piccolo nel nido di erbe palustri / che alimento ora dopo ora / nella mia lenta navigazione” (pag. 16).
Vibra in tutta la raccolta l’invocazione al lettore ad amare i luoghi, gli esseri viventi lasciandoli nel ciclo naturale delle stagioni, negli istinti che da millenni governano il loro migrare perché breve è l’esistenza tra il sorgere degli astri: “(…) sono la farfalla con le ore contate / che si gode l’ultimo e il primo sole della mia / rapida vita” (pag. 18). La metafora combacia bene con il mosaico dell’Officina Coriariorum di Pompei dove nel mosaico addossato ad una parete compariva un teschio umano in campo azzurro, sormontato da una squadra con archipendolo, una farfalla (l’anima) e una ruota (Nemesis) simbolo dell’instabilità dell’esistenza e del destino mutevole degli uomini.
In questa calma ancestrale del suo Delta, Colomba Di Pasquale, è alla ricerca dell’Infinito, proprio come Lucrezio, e nella sua metempsicosi faunistica scrive: “(…) e sono la garzetta stanca lungo la palizzata / del fosso; / riprendo fiato, / il volo che mi attende non so quanto lungo sarà / attraverso il canneto di palude che c’è in me / fino ad arrivare al mare aperto che sono sempre io” (pag.0 18). Tema tanto caro alla poeta che si ritrova in quasi tutte le poesie: “(…) La vita alfine è una corsa / più o meno lenta verso la fine” (pag. 27).

La seconda parte della raccolta denominata “Dintorni” racconta dei viaggi, delle emozioni, delle piccole gioie, delle perdite e anela alla serenità di questi argini del suo Delta che formano un limite e un porto alla sovranità di una Natura che in ogni istante pone fine ed inizio all’armonia del creato: “(…) Temo sempre perdere per sempre / questi ricordi misti a piccoli morti. / Perché non tornano quei giorni splendenti, / così innamorati della vita. / non tornano ?” (pag. 60). L’enjambement porta il lettore per mano all’interrogativo che l’Umanità insegue dal momento in cui ha preso consapevolezza della sua Storia.
 

La prima parte della raccolta resta saldamente legata ai luoghi che il grande fiume Po attraversa e dei quali ha segnato la storia nel bene e nella distruzione: risaie, campi arati, orti, piccole città, grandi megalopoli. Viene alla mente il poeta Mario Luzi che nella stupenda plaquette Dal fondo delle campagne armonicamente indica la vita che questa nostra terra dovrebbe avere, proprio come lo desidera Colomba Di Pasquale: “(…) È tutto il mio viaggio / per questa terra lavorata palmo / a palmo, di padre in figlio, perché fosse un orto”. Purtroppo questo invito è rimasto inascoltato da millenni e l’armonia che regna nel Delta è stata dilaniata dalle opere dell’uomo che fa pagare il prezzo della vita ai propri simili.

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