Recensione di Anna Maria Tamburini
Già il primo libro dichiara le modalità di indagine di questa scrittura che scava nel sotterraneo per leggere gli accadimenti deducendone analogie – recalcitrante ostinata / simile ad una donna / timida ed esigente … Solamente a colui, che / alacremente con pazienza / e bramosia attende, / sempre all’erta, / il fatale momento, / sveli il tuo mistero (Verità, p. 24) – e contrasti. Contrasto è il titolo di un componimento: All’orizzonte / con la luminosità / più chiara // appare / improvviso // ciò che / voleva / restare oscuro // Vi ritrovo /ad ogni angolo // Se non vi trovo / vi creo (pp. 17-18). Sono versi che racchiudono l’esigenza, identica oggi, di partecipare all’opera della creazione grazie a una parola che, imprevista, si rivela.
Nella pregiata ed elegante collana Elleffe della Marsilio curata da Cesare Ruffato la silloge Duende recepiva gran parte della pregressa poesia includendo in chiusura una terza e ultima nuova sezione dedicata all’amato prematuramente scomparso. Anche il nuovo, Continuiamo a fare anima, sintetizzava bene questo itinerario conoscitivo elaborando il passato rivolti al prodigio dell’amore / che trasforma in vita il nulla (p. 96) e noi come sempre al tutto allacciati (p. 95). Anche allora, sulla bocca del mistero (p. 97) se ne poteva dedurre che fili d’illusione illuminano crepe di vita (p. 102).
I simboli della propria formazione psicanalitica si inscrivono in una geografia vicina e lontana che appartiene ai luoghi di una mobile residenza, tra la Romagna, la Garfagnana, Roma e il Salento, e a quelli del viaggio; e questi diventano ambiti privilegiati di conoscenza per territori che si dilatano tra lo spazio – ascese elicoidali / danno forma al possibile (p. 28) – e la parola – nel sottosuolo del suono / viso scomposto in sorriso / riconvoca visioni in sguardi // occhi adagiati in superficie / sprofondano in dirupi di vero (p. 74) –: la raccolta ci rimanda l’incontro con la Bolivia e le sue voci. Di Octavio Paz, l’epigrafe posta ad apertura della raccolta . Crepe, solchi e nodi, cavità, anfratti ventri che si offrono a nascite … e ogni testo – dalla seconda pubblicazione a oggi – inizia al minuscolo sintonizzandosi con questo sotterraneo, o invisibile – si vorrebbe aggiungere – più intimo del visibile. Anche la fiaba e il mito ne rimandano i segni.
Dall’ultima raccolta, Dove il vero si coagula, leggiamo persino: tesoro luminoso l’illusione / fiamma di gioia immaginativa / abbacina cavità di speranza // nell’avvento di un’illusione / nell’illusione di un evento / al bene volge l’anelito. L’autrice si dispone, infatti, fiduciosamente allo scavo della parola, ancora e di più oggi, senza temere nemmeno l’illusione, esattamente come un tempo quando nelle Poesie di una psicologa scriveva : Se non vi trovo / vi creo. Pericoloso, invero, e al tempo stesso, atto di fiducia. Giocando sulle potenzialità della parola si generano i versi lungo una pista di ricerca che nella organizzazione dei suoni, per accenti assonanze consonanze omofonie rime interne, cerca un significato, il messaggio di una realtà che a tratti si manifesta in sinestesie per associazione di figure e movimenti:
si coagula in gola la parola
ormeggiata nella neve
chiaroveggenze gocciolano semenze
su frastuono di tuoni streganti
acque lustrali rischiarano anfratti
su fondo nero di pozzi riaperti (p. 21).
Infine la luminescenza del componimento eponimo:
in cunicoli dove il vero si coagula
si stratificano sequenze
la luce dello spirito perfora palpebre
staziona in dilatate pupille
angoli d’anima si schiudono
al duplicarsi di luminanti perle (p. 22)
[v. anche farapoesia.blogspot.it/2011/10/su-dove-il-vero-si-coagula-di-caterina.html]
e le altre recensioni ivi linkate]
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