recensione di Marcello Tosi
Dove il vero si coagula di Caterina Camporesi (Raffaelli editore) è
testo poetico che si offre, come dice la frase di Octavio Paz posta a
introdurre la raccolta, come “il transito fra un silenzio e l’altro /
fra il voler dire e il tacere che fonde volere e dire”.
Un discorso
veggente sulla poesia che si fa “porto ai sé nascenti”, cartografia
appassionata di possibili mondi poetici, in cui entrare per scardinare
serrature di mondi, subire gli assalti di memorie, scendere lungo
sciamanici pendii che conducono ad abissi estatici.
Un grembo di
parole per rigenerarsi come in un’acqua lustrale, acqua di battesimo,
che corre lungo vene aurorali, giogaie inneggianti al cielo, attraverso “cunicoli stratificati di inquiete presenze”.
Angoli
d’anima che si schiudono per dare forma alla parola innamorata, a trame
ed armonie che nascono da profondità di suono, che sono come venti che
sibilano antichi, e fanno riemergere antichi mondi lungo traiettorie a
spirale, fatte di corsi e ricorsi. Il compito è rimarginare nessi lungo i
ponti precari della parola: “alla base del mio atto poetico –
dice l’autrice – c’è sempre un domanda di comprensione, scambio,
incontro, fusione con il lettore, lavoro a lungo sul testo anche per
raggiungere una forma di comunicabilità soddisfacente”.
Sono mappe, atlanti dell’anima che rimodellando forme, aiutano “a
scavare incertezze scovando certezze”. Si fa radar la mente che
registra moti lunghi come calanchi circolari, derive oniriche, ed è
assalita “dall’attesa di poter dare forma al possibile”,
conscia che è dall’assenza che nasce il senso (“se non ora… mai?”). Una embriogenesi d’inedite sapienze che si ricompongono,
si amalgamano come arcane presenze: “diventa segno in tempo ciò
che ancora è… essere il tutto nel nulla che ci circorda”.
Per la poetessa soglianese, tra psicologia e poesia, essere poeta
significa soprattutto, fare risuonare dietro le parole la parola
primordiale, rianimata dal processo creativo. La poesia ha la
possibilità, come l'inconscio, di “dire l’indicibile”. È
solo immergendosi in una mitologia inconscia che il poeta può
raggiungere una pienezza di senso che vada oltre la singolarità, sino a
coinvolgere l'intera umanità. Allorquando l'inconscio diventa
esperienza, sposandosi con la coscienza del tempo, l'atto creativo
rivela qualcosa dell'epoca in cui si manifesta. Ogni parola che nasce è
un'apertura all'ignoto. La scrittura mette in scena il noto e l'ignoto.
Verità sepolte danno pertanto la capacità di individuare quel ritmo del
suono poetico che eterna il senso. Per scelta oculata “l’io
nomade brama erranza”. Schiudere la porta alla parola, al lampo
che la esplora, è come ritornare nel giardino dei Getsemani ad intonare
salmi, mentre si attende l’ora della resurrezione.
[v. anche farapoesia.blogspot.com/2011/09/dove-il-vero-si-coagula-videointervista.html
farapoesia.blogspot.com/2011/04/barberi-squarotti-su-dove-il-vero-si.html
farapoesia.blogspot.com/2011/06/dove-il-vero-si-coagula-intervista-su.html
farapoesia.blogspot.com/2011/07/su-dove-il-vero-si-coagula-di-caterina.html
farapoesia.blogspot.com/2011/03/su-dove-il-vero-si-coagula-di-caterina_12.html
farapoesia.blogspot.com/2011/05/su-dove-il-vero-si-coagula-di-caterina_09.html ]
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