martedì 17 maggio 2011

Su Basse verticali di Stefano Leoni

Kolibris edizioni, 2010

recensione di Vincenzo D'Alessio

Avevo letto le poesie di Stefano Leoni, per la prima volta nel 2008, nell’antologia poetica Il silenzio della poesia (FaraEditore, Rimini, 2008), raccolte sotto il titolo di “Parole non parlate”. Seguivano, questa prima raccolta di poesie, due pagine di esame sul “perché scrivi?”. Alla domanda il Nostro rispondeva con diverse argomentazioni. Quella che ho trovato vera, sincera, toccante è questa: “Questo è il silenzio che prediligo. Il silenzio che parla, che muove i muscoli, che apre il cuore, che grida se mi è permesso l’ossimoro. Un silenzio che appiana, che esclude l’inutile, l’effimero e che prepara a vivere.” (pag. 172)
Il desiderio espresso in quelle parole l’ho ritrovato versato, con tutta la sua forza creativa, nei versi di questa nuova raccolta che reca il titolo Basse verticali. Già nella prima raccolta, compresa nell’antologia citata, c’erano versi che annunciavano questo nuovo avvenimento:
“(…) io pure un’ombra verticale, diafana
sorte in questa direzione, e nessuna,
nessuna luce o fiamma a dissipare.” (op. citata, pag.166)
La poetica del Nostro autore è complessa, e policroma, come un mosaico. Ricca di ossimori, a cominciare dal titolo stesso della raccolta, e si snoda lungo una strada che ci appare nuova nella ricerca e invece è legata saldamente alla grande poesia del Novecento italiano. Nel leggere la prima poesia di questa raccolta, nel verso “detto come si dice di pane” (A tratti impoetico, pag. 13) ho risentito i versi del poeta Alfonso Gatto della poesia All’alba: “E dirla noi vorremmo mare pane / la donna sfatta che ci prese all’alba / dentro il suo petto e ci nutrì di sonno” (Poesie, Mondadori, 1974).
Più avanti, nella poesia a pag. 30:

L’officina è un particolare addensato
un frammento addizionale
piega le gambe e le vene ingrossate,
corrode il tempo di un sorriso

è riemersa nella mia mente nei versi di Sandro Penna: “La mano casta e odorosa di ferro / baciavo… E poi dall’officina un grido / lungo veniva a rapirmi la mano.” (Garzanti, 1979) Quanta ricerca c’è nei versi di Leoni? Una instancabile fonte di rinnovamento; che nella introduzione a questa raccolta Chiara De Luca esplicita in queste parole:” La poesia è per Leoni il regno della contraddizione, della spesso ironica coabitazione dell’io con le proprie fragilità e debolezze, nell’incertezza e nell’interrogativo retorico che circonda l’origine dell’umano, sia essa da situarsi nelle stelle o in “un paio di ghiandole eccitate”;(pag.6)
Allora ascoltiamolo il poeta dire di sé e della sua instacabile ricerca:

(…)
la mia bruciante piccolezza
tra i visi del sabato mattina, a far la spesa
la luminosa bellezza dell’imperfetto
il culo grosso, i graffi sulle mani,
l’appartenenza
a un mondo di basse verticali (pag. 27)

Il quotidiano parla nei versi. Le cose, le mura della casa, sono lo svolgersi dell’Io poetico narrante a confronto con noi, umanità in ascolto: “Il condominio accudisce le esistenze” (pag. 49). C’è la svolta del tempo: da tempo che scorre, a tempo che resiste agli stravolgimenti dell’uomo. Il versificare accoglie la violenza delle cose umane, in un abbraccio terapeutico affidato alla parola. L’atto dello scrivere ingloba le violenze del mondo e afferma l’Amore come “carne e campagna” (pag.49). Stefano Leoni è poeta vero: fa sgorgare in chi legge la necessità di porsi in ascolto della musica che regge l’Infinito divenire:

(…)
Mi piace stare nudo fra i muri
accontentarmi di immaginare una ferita
che faccia luce e interrompa la pelle,
che inumidisca le guance, e stringa
in un abbraccio. (pag.49)

Questa raccolta ha in sé il dolore e la gioia dell’uomo. L’equilibrio tra versi del Novecento e poesia di inizio secolo. Nell’incertezza della domanda c’è nel poeta, e in noi, l’emergenza di un viaggio interiore cercato da milioni di anni. Affiderei questa stupenda raccolta di versi ai giovani studenti degli istituti scolastici perché sono essi il futuro che parla, di stagione in stagione, e gli sventurati “uomini” dei vari secoli non sanno ascoltare perché presi dalla “bassa necessità” in cui navigano.

Sono i versi come questi che si fanno strada nella mente, negli alveoli polmonari e nelle mani di chi ama il cambiamento, come rinnovamento del sangue e delle ferite di luce:

(…)
chissà se vengo dalle stelle
o da un paio di ghiandole eccitate
uno sbuffo di chimica male interpretato
(…)
e mi sono consegnato
a questa meravigliosa terra
a questa palla in bilico
c’è da chiedersi perché ci siamo dati appuntamento
proprio qui
io e qualcun altro (pag.16)

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