Antonietta Gnerre, Francesco Accattoli, Matteo Fantuzzi, Rossella Renzi
e Sebastiano Adernò per la sezione poesia
sono lieti di premiare i seguenti autori
I. Una farfalla in volo, Michela Zanarella (Roma)
Nata a Cittadella, Padova, il 01-07-1980. Inizia a scrivere poesie nel 2004, e la sua poesia è ora tradotta in inglese, francese, spagnolo, arabo. Ha pubblicato quattro raccolte di poesia ed una raccolta di racconti. Ha ottenuto diversi riconoscimenti nazionali ed internazionali. Scrive recensioni ed interviste per diversi giornali on line. michelazanarella.splinder.com
“L'intimità si fa paesaggio. La farfalla ritorna baco per meglio aderire ai suoi affetti.” (Sebastiano Adernò)
“Temi privati però trattati con delicatezza. poesia personale però con un minimo di dignità.” (Matteo Fantuzzi)
“È una scrittura di forte stampo femminile, per i temi trattati e per il modo, che a tratti rivela una data originalità. Qui si mescola la materia alla non-materia, il ‘grembo’ con l’’azzurro’ (due elementi molto presenti) arrivando a concepire versi che sembrano fatti della sostanza dei sogni, tra il concreto e l’ineffabile. Così, il colore si mischia alla materia, il tutto con sapienza necessaria, riuscendo a plasmare ‘profili di luce’ che si confondono col cielo. C’è attenzione alla metrica – dove il verso di riferimento è per lo più l’endecasillabo – e alla scelta della parola-suono. La raccolta contiene un messaggio chiaro e preciso: una richiesta di ascolto, gesto raro di questi tempi, ma necessario prima di tutto alla poesia. Forse il suo limite è che tende a ripetersi, nelle parole e nelle immagini e nella ricerca introspettiva.” (Rossella Renzi)
L' AMORE CHE HO PER TE (a mia madre)
Hai addosso il dolce di montagna,
esserti figlia m'investe di cielo
e resina.
Madre, quasi un timore
accarezzarti la mente,
scoprire in silenzio
il tuo ieri.
Mi appoggio in segreto
al tuo giudizio,
la mia pelle si appaga
della tua somiglianza.
Credimi, l'amore che ho per te
esiste e contiene
calore e altro.
L' amore che ho per te
è nodo in gola
al mio andare fragile.
CONCEPISCO ESTASI SENZA RITORNO
Concepisco estasi senza ritorno,
manie instabili di femminilità,
umanità inesperte alla vita.
Le mie labbra graffiano imperfezioni
di un grembo azzurro,
spogliano continuità d'orizzonti,
lanciano limpidi solchi d'aria
in asfalti di luce.
Sono le solitudini a gremire
di buie frontiere
le astratte sculture della mente.
Sfamo il destino di materne trasparenze,
taccio
e attendo polline di nuvola
ad affollare di complicità
un sussulto di ciglia e avvenire.
BOSCO VIRTUALE (a zia Giampiera)
Bosco virtuale è questo silenzio
che rassegnato possiede
disperata assenza.
Tra macchie di ortica
e fiati di montagna
hanno timore le mie radici
di risvegliare scarpate
e galoppi di rugiade.
Solo una croce celebra
i ritmi del tuo vapore,
impone muta purezza
alle tue ampiezze materne.
Assorbo il transitare
di lacrime in polvere,
tocco solitudini di platano
e al cielo restituisco
il profilo di luce
che sognavi.
II. ex aequo Cieli di-versi, Laura Corraducci (Pesaro)
Nata a Pesaro nel 1974 dove vive, insegna inglese nella scuola. Ha pubblicato nel 2007 una prima raccolta di poesie con Ed. Del Leone (collana di poesia diretta da Paolo Ruffilli) dal titolo Lux Renova. Suoi editi e inediti sono apparsi su antologie e diversi blog di poesia.
“Lo scontro, l'impatto con l'altro che non si risolve. Questi versi si sostengono su una forte dialettica del sentire.” (Sebastiano Adernò)
“La necessità di fissare i frammenti del proprio vissuto, descrivendoli sino all’ennesima potenzialità, si caratterizza per un uso espressionistico del linguaggio, nel tentativo di offrire una consistenza materica all’oggetto dedalico del proprio sentire.” (Francesco Accattoli)
“È un’opera varia, sapiente, che affronta molti e diversi temi. Ricercati ed efficaci il ritmo e la metrica. Le immagini sono assai vivide, decise, a tratti dolorose o quasi terrificanti. È una scrittura carnale, o meglio bestiale. Scava nell’istinto dell’uomo, in quello che era prima, nell’autentico che si fa poesia. Come se la pulsione naturale –spesso tormentata, che sfugge la ragione- dettasse la poesia: in questa essa trova una forma, una sua ragione per uscire allo scoperto, lì sulla pagina, tra il bianco e il silenzio.” (Rossella Renzi)
a Fr.
Per te non cadrà una parola
dalle mie dita
disseterò il ricordo con
lo stesso silenzio di colpe
che sempre ti vidi
montare sulle mani
nutrirò la mente dell'ottimismo
cieco dei tuoi libri
arriverò a sentire la mia
anima guastata rigarmi
ogni notte il palmo delle
mani e pregherò il tuo
orgoglio di accettare questo
premio all'eterna gara di
svuotarti con le dita il
sangue mio dal cuore
***
Nella mia vita ho passato le ore
a pensare a come sarebbe stato
se avessi smesso a tratti di pensare
avessi preso scarpe gonna e ombrello
lasciando appesi alla noia intrecciata
del mio letto pezzetti appuntiti di coscienza
e corde sbiadite di paura
***
Non è facile discutere con te
la fronte avanza con lo scatto
del dio giusto
il mento incide l’aria
le parole scivolano piano
dai tuoi denti me le
metti in bocca delicata e
soave come un gatto la
lingua del giudizio mi rotola
in gola ruvida e bagnata
mentre soffoco penso
alle porte lasciate spalancate
alle chiavi posate sulle mani
a te altera come una dea
che entri ed esci
dalle stanze della mente appendendo
alle pareti il tuo profumo di vittoria
II. ex aequo L’ostello di via Pallore, Andrea Parato (Riccione)
Nato a Rimini nel 1979. Studioso del mondo della comunicazione, ha pubblicato articoli, saggi e raccolte poetiche: Da luoghi intravisti (opera vincitrice del concorso Pubblica con noi 2004), Il nostro esilio quotidiano (in Farapoesia, Fara 2005), La terapia del dolore (in Specchio poetico, Fara 2007), Nello spazio della luce (ne Lo spirito della poesia, Fara 2008), P(r)o(fe)ti: una voce nel deserto (in Poeti profeti?, Fara 2009), Una parola ci salverà? Per una ipotesi di incarnazione testuale (in Salvezza e impegno, Fara 2010).
“La funzionalità dell’architettura scelta come impianto formale risiede nel sostegno che essa offre al percorso di riflessione sugli effetti – e i lasciti – dello scorrere del tempo, vissuto non già come trascendente, ma in quanto condizione imprescindibile per l’uomo, in una prospettiva laica che ritrova nella quotidianità, tutta terrena, le medesime sofferte posture dell’iconografia sacra e che riflette sul senso di reiezione e di riscatto, ritmando, attraverso l’uso sapiente della punteggiatura, la modulazione del tragico.” (Francesco Accattoli)
“C'è un'idea di opera programmatica, e premio quella perché in 20 sillogi è l'unica che lo fa.” (Matteo Fantuzzi)
Piano terra, stanza 1
Al quadrivio del paese
sul ciglio della strada
ricordi la celletta di Maria?
Ci andavamo nel mese di maggio,
e tua madre portava sempre fiori recisi
e boccioli di rosa appena dischiusi.
Sgranavano il rosario le anziane
nel buoi di candela, come antica grotta
o tana sicura dalle panche lustre
di anni e di cera.
E la sera aspettavamo fuori la fine
delle litanie nel cortile dove le ultime ombre
si allungavano e scherzavamo oltre il tramonto
e il tempo e il presente.
Scherzavamo, ingenui, ignorando che le strade della vita
son più di quattro: la tua è troppo lontana per me, per ora,
e nessuno porta più fiori alla cella.
Piano terra, stanza 2
Maria va incontro a Elisabetta
ma nessuno sussulta di gioia
poiché lei non porta un bimbo in grembo:
lo ha perduto un mese fa
a causa delle percosse del marito
quando stanco di donne e di liquore
sfoga la sua insoddisfazione
sulla sola cosa bella che la vita
gli ha posto a fianco.
Piano terra, stanza 3
Nudo come te,
steso sul letto a croce
neppure un lenzuolo a coprirti
tormentato con un tubo in vena,
sarà questo il domani di tutti noi,
sguardo al cielo e braccia spalancate?
La speranza sembra sfuggita
pure dalla tua bocca sempre aperta ferita
e secco è l'alito che dava dolci parole.
Ma oltre i tuoi occhi fissi
sento e spero che sei,
dimmi ti prego, ecce homo,
dove o, almeno, perché?
“C'è un'idea di opera programmatica, e premio quella perché in 20 sillogi è l'unica che lo fa.” (Matteo Fantuzzi)
Piano terra, stanza 1
Al quadrivio del paese
sul ciglio della strada
ricordi la celletta di Maria?
Ci andavamo nel mese di maggio,
e tua madre portava sempre fiori recisi
e boccioli di rosa appena dischiusi.
Sgranavano il rosario le anziane
nel buoi di candela, come antica grotta
o tana sicura dalle panche lustre
di anni e di cera.
E la sera aspettavamo fuori la fine
delle litanie nel cortile dove le ultime ombre
si allungavano e scherzavamo oltre il tramonto
e il tempo e il presente.
Scherzavamo, ingenui, ignorando che le strade della vita
son più di quattro: la tua è troppo lontana per me, per ora,
e nessuno porta più fiori alla cella.
Piano terra, stanza 2
Maria va incontro a Elisabetta
ma nessuno sussulta di gioia
poiché lei non porta un bimbo in grembo:
lo ha perduto un mese fa
a causa delle percosse del marito
quando stanco di donne e di liquore
sfoga la sua insoddisfazione
sulla sola cosa bella che la vita
gli ha posto a fianco.
Piano terra, stanza 3
Nudo come te,
steso sul letto a croce
neppure un lenzuolo a coprirti
tormentato con un tubo in vena,
sarà questo il domani di tutti noi,
sguardo al cielo e braccia spalancate?
La speranza sembra sfuggita
pure dalla tua bocca sempre aperta ferita
e secco è l'alito che dava dolci parole.
Ma oltre i tuoi occhi fissi
sento e spero che sei,
dimmi ti prego, ecce homo,
dove o, almeno, perché?
III. La solitudine dell’iceberg, Vincenzo D’Alessio (Montoro Inferiore)
Sono nato sessantuno anni fa in Irpinia, una regione della Campania, con il desiderio di amare la Poesia fino agli ultimi giorni dell’esistenza. Sto cercando, con non poche difficoltà, di seguirla ora che, più forte e seducente, si profila la riva dell’abbandono. Ho scritto, oltre alle poesie, racconti, teatro, saggi di natura storica, archeologica e agiografica, critica letteraria e critica d’Arte. Ho il vizio della lettura, e quello di cucinare buoni cibi. Ho suonato per molti anni diversi strumenti, in diverse formazioni musicali, preferendo l’organo. Ho viaggiato poco, fisicamente, molto con la fantasia.
Scritto di mio pugno, per Fara Editore.
Vincenzo D’Alessio
Montoro Inferiore, 8 febbraio 2010
“Mi è bastato uno sguardo per comprendere la bellezza di questa poesia raccolta ne La solitudine dell’iceberg. Una scelta poetica con un suono musicale ben disegnato, che alterna temi e cadenze, echi e riprese colte. Una poesia, con una oscillazione particolare, che gira attorno alla vita con assonanze ricche di fusioni lessicali. Un verso circolare che indaga lo scorrere del tempo: «quando non sarò con voi / recitate i versi al vento / li trasporti ai sordi / alle cime innevate di settembre/ affidateli agli uccelli». Sta proprio in questo desiderio di volare il sogno di raggiungere e superare i limiti imposti dal tempo e dalla storia. Il peso vero di questa parola porta il peso dei frutti migliori sulle pagine del tempo. Una poesia raffinata che viene prendendo corpo dall’amore, dalle cose che imperlano le terre del Sud. Così questo canto nel suo dire concreto ha in sé qualcosa di nuovo, la voce di un Poeta, che accoglie nel suo alveo il mirabile viaggio della parola per testimoniare ancora una volta l’impegno di un dire, che ha radici profonde.” (Antonietta Gnerre)
I
Noi siamo la terra
che grida dalle sue radici
tormento infaticabile
cemento calato nelle viti
Siamo soli a sollevare nel vento
il richiamo al falco pellegrino.
Siamo soli a chiedere perdono
alla memoria ferita.
II
A te che sei andato via
grido: non tornare!
in questa terra che credi amica
non cercare in fondo al cuore
il respiro di madre antica.
Cercati una ragione per cantare.
Troppe notti hai digiunato
troppe lacrime versate
alzati, pianta i chiodi
della tua croce sull’altare!
Non tornare a spendere denaro
stentato nelle officine
cerca nella nuova terra
il tuo destino, lascia ai salici
la corsa verso il mare.
III
Tu che mi ascolti
oltre i tempi amari
guarda come ho scritto
questa storia
apri le mani ai santi
che non tornano, sveglia
l’aratro sospeso al palo.
Torna al solco della memoria
semina grano, vigila la zappa
raccogli l’amore nei figli
dona l’onore del consiglio.
Scritto di mio pugno, per Fara Editore.
Vincenzo D’Alessio
Montoro Inferiore, 8 febbraio 2010
“Mi è bastato uno sguardo per comprendere la bellezza di questa poesia raccolta ne La solitudine dell’iceberg. Una scelta poetica con un suono musicale ben disegnato, che alterna temi e cadenze, echi e riprese colte. Una poesia, con una oscillazione particolare, che gira attorno alla vita con assonanze ricche di fusioni lessicali. Un verso circolare che indaga lo scorrere del tempo: «quando non sarò con voi / recitate i versi al vento / li trasporti ai sordi / alle cime innevate di settembre/ affidateli agli uccelli». Sta proprio in questo desiderio di volare il sogno di raggiungere e superare i limiti imposti dal tempo e dalla storia. Il peso vero di questa parola porta il peso dei frutti migliori sulle pagine del tempo. Una poesia raffinata che viene prendendo corpo dall’amore, dalle cose che imperlano le terre del Sud. Così questo canto nel suo dire concreto ha in sé qualcosa di nuovo, la voce di un Poeta, che accoglie nel suo alveo il mirabile viaggio della parola per testimoniare ancora una volta l’impegno di un dire, che ha radici profonde.” (Antonietta Gnerre)
I
Noi siamo la terra
che grida dalle sue radici
tormento infaticabile
cemento calato nelle viti
Siamo soli a sollevare nel vento
il richiamo al falco pellegrino.
Siamo soli a chiedere perdono
alla memoria ferita.
II
A te che sei andato via
grido: non tornare!
in questa terra che credi amica
non cercare in fondo al cuore
il respiro di madre antica.
Cercati una ragione per cantare.
Troppe notti hai digiunato
troppe lacrime versate
alzati, pianta i chiodi
della tua croce sull’altare!
Non tornare a spendere denaro
stentato nelle officine
cerca nella nuova terra
il tuo destino, lascia ai salici
la corsa verso il mare.
III
Tu che mi ascolti
oltre i tempi amari
guarda come ho scritto
questa storia
apri le mani ai santi
che non tornano, sveglia
l’aratro sospeso al palo.
Torna al solco della memoria
semina grano, vigila la zappa
raccogli l’amore nei figli
dona l’onore del consiglio.
IV. ex aequo De profundis, Narda Fattori (Gatteo)
Nata e residente a Gatteo (FC), conduce laboratori di poesia, di narrativa e di letteratura tout court presso scuole superiori e con adulti . Fa parte di giurie di Concorsi nazionali di poesia e di narrativa. Ha pubblicato 6 volumi di poesie: Se Amor parla (L’Autore Libri, FI), E curo nel giardino la gramigna, L’una e i falò, Terra di nessuno, Verso Occidente (Fara, 2004); Cronache disadorne (2007), Il verso del moto (2009). È presente con una silloge di 10 poesie nei volumi antologici VOCE DONNA 1997, 1998, 1999, nell’antologia Santarcangelo della poesia, nell’antologia FaraPoesia con la silloge A che punto è la notte? Sue opere sono presenti in varie raccolte antologiche, riviste, cataloghi d’arte, insieme a recensioni delle sue opere. Cura prefazioni, recensioni, presentazioni.
“De Profundis è una plaquette racchiusa da un equilibrio misuratissimo. I testi poetici viaggiano in direzione di una teopoesia illuminante che disloca la parola in un luogo privilegiato: che non calcola e non conta. Un luogo, che è il centro di una preghiera, come colloquio stabile e proficuo con Dio. Il punto della contemplazione più alta- «Sotto la Tua croce ho bevuto / l’aceto che ti spettava / sul Tuo costato ho versato / il pianto del mondo» – un canto che rivela qualcosa di profondo, perché ha la forza d'animo di inoltrarsi in territori non curati dalla poesia moderna. De Profundis è una raccolta matura che si libra con un'attraente musicalità. Con una ricerca, che spinge, ad allontanare le debolezze e i timori dall’uomo dei nostri tempi. Un cantare in versi l'amore di Dio. (Antonietta Gnerre)
“Scrittura marcatamente religiosa, sapiente, studiata, efficace. Molto misurata: non c’è una parola di più. Qui la poesia è come preghiera, chiede silenzio, tensione, un filo verso il sacro. Molta attenzione agli schemi metrici, che spesso sono fissi. Il verso è asciutto e deciso. È una parola che invoca, che implora che si rivolge al Tu (Signore) con fierezza. La raccolta è bilanciata e coerente.” (Rossella Renzi)
Hai chiamato- Signore –
e non sono venuti
hai la voce roca
sono venuti i piagati
a Te si chiede e s’implora
il Tuo sangue sparso
a stille di pettirosso
che ha coperto trapassato
l’arco tondo della Terra
in un volo senza nido
senza semi senza pane.
Hai chiamato – Signore – e intorno
si è allargato il deserto
in un’alternativa di campi coltivati.
***
È rannicchiato sulla sabbia bianca
con ciottolame intorno
l’uomo tecnologicamente armato
rivola un’arteriola riga la sabbia
gli saranno dati l’onore delle armi
forse una medaglia.
A Te la sua vita un dono
della nostra incapacità d’amore.
Prendilo con Te poi schiacciaci
come formiche guerriere.
***
Dove il cielo s’è strappato ?
Quando? Dov’eri – Signore –
noi bambini dalle unghie ad artiglio
abbiamo leso per sempre
per sempre per sempre
l’armonia che più non fu
per una solitudine aspra e cattiva
con una compagnia di guitti?
Non si fanno più trombette di latta
barchette di carta zufoli di canna
refoli folli follia a zufolar follia
i mali nel cervello che s’aggriccia
oh fratello e non mi riconosci.
IV. ex aequo Eserciziario di Metafisica per principianti,
Alessandro Salvi (Rovigno, Croazia)
Prologo
Il biglietto del nomade è di sola
andata, penso, mentre
mi trascino per le strade del fascino
e – nel frattempo – stanco
pianto una tenda nel bel mezzo del
deserto.
Diserto i passi appena fatti e fiuto
l'attimo che precede l'avverarsi
di un dato fatto ignoto a definirsi
o meno.
Insomma
mi barcameno tra l'osceno nulla
e il tutto cui anelo.
*
Non c'è problema, non ti preoccupare,
se senti odor di zolfo mica vuol
dir si tratti dell'inferno, e che diavolo!
… forse qualcuno ha sfregato un fiammifero?
Questi giorni ingialliti, tutti uguali
che tra le dita vedi sbriciolarsi
come antichi papiri – arsi – egizi,
disseminati d'inutili indizi,
più che aiutarci a trovare la via
(quella retta, s'intende) stan lì a dirci:
“no, scusi… non sono di queste parti…
… provi a chiedere a qualcun'altro… 'derci!”.
Verrà la bile nera, e una poesia
che non sarà in grado neanche d'amarti.
*
Lenti mi inseguono due fari spenti,
li sento come un migliaio di occhi
i quali poi mi attendono agli incroci
ma non ci faccio caso e guardo avanti.
Se vedo tutto intorno a me gridare
nel mio verso si spezza la tua fede,
eppure séguito e m'ostino a fare
sempre lo stesso errore. Chissà se
ha senso, dopotutto, tutto questo
folle disperdersi in mille frammenti:
nell'eterno granelli di momenti,
schegge di luce nel buio più pesto…
Ma il senso è sempre accanto! al nostro fianco
è tutto quel che abbiamo… tutto quanto.
Alessandro Salvi nasce nel 1976 a Pola (Croazia) ma da sempre vive a Rovigno (Croazia). Nel 2008 ha dato alle stampe il volume di versi Piovono formiche carnivore e altre inezie (Aletti), nel 2011 per la En Avant! Produzioni la plaquette I fori nel mare. Sue poesie sono state tradotte in croato, sloveno e macedone.
“Struttura decente, buona analisi, momenti privati e si vede che qualcosa ha letto nella sua vita.” (Matteo Fantuzzi)
Prologo
Il biglietto del nomade è di sola
andata, penso, mentre
mi trascino per le strade del fascino
e – nel frattempo – stanco
pianto una tenda nel bel mezzo del
deserto.
Diserto i passi appena fatti e fiuto
l'attimo che precede l'avverarsi
di un dato fatto ignoto a definirsi
o meno.
Insomma
mi barcameno tra l'osceno nulla
e il tutto cui anelo.
*
Non c'è problema, non ti preoccupare,
se senti odor di zolfo mica vuol
dir si tratti dell'inferno, e che diavolo!
… forse qualcuno ha sfregato un fiammifero?
Questi giorni ingialliti, tutti uguali
che tra le dita vedi sbriciolarsi
come antichi papiri – arsi – egizi,
disseminati d'inutili indizi,
più che aiutarci a trovare la via
(quella retta, s'intende) stan lì a dirci:
“no, scusi… non sono di queste parti…
… provi a chiedere a qualcun'altro… 'derci!”.
Verrà la bile nera, e una poesia
che non sarà in grado neanche d'amarti.
*
Lenti mi inseguono due fari spenti,
li sento come un migliaio di occhi
i quali poi mi attendono agli incroci
ma non ci faccio caso e guardo avanti.
Se vedo tutto intorno a me gridare
nel mio verso si spezza la tua fede,
eppure séguito e m'ostino a fare
sempre lo stesso errore. Chissà se
ha senso, dopotutto, tutto questo
folle disperdersi in mille frammenti:
nell'eterno granelli di momenti,
schegge di luce nel buio più pesto…
Ma il senso è sempre accanto! al nostro fianco
è tutto quel che abbiamo… tutto quanto.
Opere segnalate per l’inserimento di un estratto
con commento dei giurati nel blog farapoesia
Emigrantes di Anontella Giacon, Perugia
Antonella Giacon è nata a Padova e risiede a Perugia dove lavora come insegnante e formatrice in scrittura creativa e didattica della poesia nella scuola elementare e media. Laureata in Pedagogia, è tra i soci fondatori dell'associazione poetica "Il Merendacolo". Da 13 anni tiene corsi di scrittura creativai. Nel 1994 ha pubblicato con Fara il libro di poesia Sottopressione. Nel 1996 il suo romanzo Fatata fonte è risultato finalista per gli inediti al Premio Assisi. Varie sue poesie in dialetto veneto sono state pubblicate su riviste, tra le quali «Tratti» e «Diverse Lingue».Nel dicembre 2001 ha pubblicato il suo ultimo libro di poesia Pegno d'amore (ed. Corsare, Perugia).Per Effatà di Torino nel 2005 esce Piccoli alberi, piccole albere, che propone a insegnanti della scuola primaria di primo e secondo grado un percorso di scritttura creativa e danzamovimentoterapia in collaborazione con l'esperta Elisabetta Forghieri. Nel 2007 esce per Era Nuova di Perugia Un modo nuovo di insegnare a leggere e a scrivere-la scuola elementare di Chiugiana nel decennio 1970-1980. Ultimamente si interessa delle possibili interazioni tra scrittura, teatro, fotografia, musica e movimento espressivo, con la partecipazione a letture pubbliche, performance, spettacoli teatrali, di cui ha condotto anche la regia.
“La rapidità del verso, asciutto e ritmato, icastico e preciso nel recupero della memoria, contribuisce all’intensità della riflessione sulla condizione dell’exul e della sua ansia di sanare i dolori del distacco, mediante il ricorso alle memorie e alla lingua dei padri, fino a percepire il momento in cui il luogo altro si annulla nel paesaggio del proprio corpo.” (Francesco Accattoli)
C'è un carro
un cane
una strada
nelle mie ossa
cenere calda
e brace
Che nel mio petto
è impresso
il violino ed il tamburo
un falò di sterpi
battito delle mani
occhi riversi
Perché non nella terra
ma nell'aria
sono
le mie radici
la mia voce si spinge in lontananze
che risveglino l'eco
di quei passi
che i miei vecchi coprirono
ritmando
goccia a goccia
ogni gemma del mio sangue
Prendo ora un sasso
e provo a richiamarvi
lo batto e lo ribatto
che il bussare vi desti
e sia il tracciato
della vena pulsante
simulacro
LusΩors (Bagliori) di Renato Sclaunich, Bolzano
Renato Sclaunich, nato a Gorizia nel 1967, è originario di Villesse, dal 1996 vive a Bolzano e altrove. È laureato in Pedagogia e fa l'insegnante. Nel 1997 viene seganlato al Genova International Poetry Festival, successivamente alla Biennale di Venezia-Isola della Poesia curata da Marco Nereo Rotelli. Nel 2009 gli viene assegnato il premio Bosco dei Poeti. Sue poesie sono inserite in diverse antologie.
“Si ricavano, dalla raccolta LusOrs, squarci lirici di assoluta immediatezza. Fioriture, di tinte, che trascinano il respiro in una struttura poetica apparentemente meccanica. Il deciso effetto grafico scortica gli spazi bianchi della vita. Una poesie sottile, asciutta, intensa, efficace, che bacia la carta sollecitando pensieri e sensi. Queste liriche hanno il suono comune di una norma fortemente icastica. Un fondo meditativo che sale in superficie coagulando una parola dettata dalla coscienza: «La pinna / è pronta / a virare / a ritroso». Un pensiero che volteggia, tra necessità e tensioni, con una controparte visiva ed immediata.” (Antonietta Gnerre)
Brezza.
Sibilo delicato
soffio avido di sole.
Chiasso.
Ardita gioventù,
mucchio di stracci strappati.
Segni.
Carne livida che ti fissa.
Voce che non mente.
Oracolo.
Il cielo è gonfio.
Odore di tutto.
Improvvisi.
Brilla nell'aria
un tintinnio
di sonagli.
Lo spaventapasseri
sbuffa
sotto il giogo
delle cornacchie.
Epigramma.
Ho sentito
Goccia dopo goccia
Uno schianto
Infuriarsi
E percuotermi (iii)
A me
Voracemente.
Con voracità.
Goccia dopo goccia,
ho sentito
le mie labbra
)p) p ) p)i a n g e r e.
Colpo estremo di Giorgio Massi, Ascoli Piceno
Maturità classica, laurea in giurisprudenza. Master di secondo livello. Aspirante romanziere, con alcune esperienze nel mondo della poesia. Autore di brevi racconti non pubblicati. Appassionato di letteratura, filosofia, arte. Ha preso parte ad alcune iniziative editoriali. Libero professionista nel campo della comunicazione.
“La forza della parola svestita dal discorso manifesta la volontà di imprimere, di preparare un colpo. Non basta dire, meglio rovesciare.” (Sebastiano Adernò)
CASA
Gran bella casa
vestita di guerra
truccata a meraviglia
in un corridoio di virgole
e stati d’anima.
Gran bella casa
profumata di gemme
assorta
in un lento camminare
di code di gatti e
vasi a cancello.
Gran bella casa
con infissi d’infanzia
su pareti
sporche d’oblio.
IN-DE-FINITO
Parole convulse
svaniscono in
liturgie straniere
dal colore blu intenso…
che non è di mare,
né di lago,
né d’oceano,
né di sguardo
di cielo,
né di sangue
di nobile,
ma solo
dell’indefinito.
INFERNO UMANO
Fulmini furtivi
tra sfere di cuoio,
tonfi assoluti
di corpi lontani,
fuochi di lumen
in volte notturne,
ininterrottamente
spasmi d’irreale
trapassano
nell’inferno
umano.
2 commenti:
Molto belli alcuni testi..mi colpisce la fgorza carnale dei versi di Laura Corraducci, autrice che non conoscevo..la verticalità delle immagini è a tratti molto intensa, complimenti per il buon livello dei vincitori.
Carlo G.
Nulla di nuovo ma la fantasia non è morta
GIulia B.
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