venerdì 9 aprile 2010

Su Figli di Vincenzo D'Alessio


“G.C.F. Guarini”, Montoro Inferiore 2009, pp. 72, € 5,00.

recensione di Domenico Cipriano

Figli, questo il titolo emblematico dell’ultima scelta di poesie dell’irpino Vincenzo D’Alessio.  C’è una vicenda personale che segna il poeta, la prematura scomparsa del figlio Antonio, bravo musicista, creativo sensibile e giovane attivo nell’associazionismo culturale. Ma figli sono anche i nuovi vinti del meridione d’Italia, la nuova generazione che si sradica nuovamente dalla terra d’origine per cercare vita altrove e gli ultimi dati sull’entroterra campano sono allarmanti, con la ferita dell’emigrazione sempre aperta. E c’è anche un altro dato che registra, oramai già da tempo nella sua poesia, Vincenzo D’Alessio: è il flusso di ritorno ridotto all’osso, quasi polverizzato, in cui i figli del primo flusso migratorio non tornano per cercare le proprie radici, quanto per diventare sempre più semplici visitatori di passaggio, con l’animo di chi si è realizzato ed ha vita completamente altrove.
Una raccolta ricca di dediche, ad operatori culturali che vivono all’estero operandosi per divulgare la poesia italiana, come Daniela e la compagnia di Radio Alma, o ad amici di sempre, come Paolino e Michelangelo. Ma lo spunto della dedica è solo per rimarcare temi sociali, tesi sempre a rafforzare l’indignazione per la difficoltà della propria terra di offrire un futuro ai suoi figli, pur restando viva la speranza: «Lascia che la terra dove dormono/ anime sincere nella notte/ apra le porte dell’onore/ al futuro che nascerà» (p.13).
Il legame che occorre per continuare, il rapporto generazionale spezzato per chi non riesce a realizzarsi per generare nuova vita, è richiamato in modo intenso: «In ogni casa si piange un vivo/ chiamato a morire prima che gli anni/ avessero dato figli e sentito/ nel proprio nome chiamarsi padre» (p.14). Ma rischia anche la ripetizione (considerata la vasta produzione dell’autore) il dualismo Nord/Sud che si ripropone in alcuni versi: «Le genti del Sud/ hanno un cuore che/ perdono al Nord nella/ macchina del benessere» (p.17); come il lamento soffocante di chi resta: «Noi poveri uomini sconfitti di libertà».
Emotivamente forti, intime, ma con l’abilità di ritrovare nell’intimità la forza civile sono invece le poesie che parlano più direttamente del figlio Antonio: «Dove sono le mani/ di mio figlio seppellite/ dentro madre terra/ traditi da tossici residui» (ai contadini, p.27). Sono disseminati dappertutto gli oggetti e le immagini che racchiudono il ricordo: «tuo padre ti cerca/ nelle acque del cielo/ nelle corde infinite/ di un contrabbasso antico» (p.30), anche nei volti degli amici più sinceri e vicini: «va il nostro grazie mentre/ fai risalire dal cuore il dramma/ e lo scomponi in favole» (a Massimo, p. 31). Le ultime poesie segnano la speranza, sempre rimarcata da questo autore che da oltre un trentennio si occupa di poesia in Irpinia, e le parole “eterno”, “infinito”, “pace”, sono disseminate nei versi per ricordarci in ogni istante di non smarrire il percorso verso la serenità: «Vivi in noi/ speranza che calmi/ tempeste di ogni tempo» (p.32). Fede e speranza sottolineate anche da Emilia Dente nell’introduzione: «Nella trama sottile dei versi un nodo coriaceo ferma il veloce fluttuare dei pensieri, siamo impotenti contro la sorte anche se la fede consola i morti » (p. 9).
Ampia l’appendice, che ripropone le poesie del 1996 apparse nel libricino dal titolo La mia terra che, con Elementi (2003), restano sicuramente le raccolte di D’Alessio più significative come canto d’amore e dolore per la terra irpina.


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