Vincitori sez. Poesia (v. anche la sez. Racconto e l'attestato dei vincitori) del concorso Pubblica con noi 2009
I classificato
Economia di Domenico Lombardini (Genova)
Domenico Lombardini (Albenga, 1980) si è laureato in scienze biologiche nel 2006. Dopo la laurea si è sposato con Stefania e si occupato di traduzioni tecnico-scientifiche. Ora è dottorando di ricerca in neuroscienze all'università di Genova e traduttore free-lance.
Incipit della raccolta
inguaribile strabismo dell’osservazione – puntare
un dito frangendo uno schermo acqueo che riverbera
in onde concentriche i tocchi; così osservare
modifica l’oggetto, senza una possibile oggettività
*
non è questo il migliore dei mondi, diceva
– è forse il peggiore; l’altro ascoltava
e fissava la granulazione salivare sul labbro, non capiva
*
mi sono adagiato su un comodo reticolo,
e ho accettato senza riserve la consistenza
finita del corpo; poi ho creato nel mio addome
un’apertura, uno speco verminoso. venne un medico,
mi disse: è normale – non passerà.
*
ho pietà della mia coazione a ripetere
atteggiamenti-pensieri-stati mentali.
ho pietà della mia pietà.
*
la nostalgia è un rimedio a cui troppi indulgono. la fiducia
nel futuro è d’altronde necessaria, o meglio, strategica:
struggle for life (l’urgenza del tempo presente è vomitevole)
*
un sogno: torso atterra, nudo, cazzo eretto, infitto.
poi la pelvi muoversi, lo sperma uscire
e intridere la terra - non volevo. una voce alta mi gridava: bravo.
*
i figli crescono alla luce delle vetrine
[principio del piacere indicativo]
scandali di un mondo in rovina.
vedi un muro, l’intonaco nuovo: no, solo crepe, fili di ferro
sporgenti, ossa da corpi sfatti.
*
l’aria non si fa abbracciare, con schiocco
le mie braccia chiudono circonvoluzioni
ridicole. solo ora mi accorgo: a loro basta
questo, la vìa sicura, il corso illuminato, il nodo
urbano del consumo, l’ingurgitamento;
il mondo è fango.
(…)
Motivazioni
(Alessandra Conte)
La raccolta sembra esprimere la volontà di andare oltre allo sfogo personale nella ricerca della poesia, di trovarne il sangue e l’essenza là dove apparentemente sembra non esserci neppure un corpo. Evidenzia un percorso complesso in cammino verso una voce definita, che sa evitare le banalità anche quando abbisogna di dolcezza.
(Carmine De Falco)
Economia è un lavoro compatto e maturo, un’autoscoperta della fisicità corporale e tecnologica, satura di immagini e di stratificazioni, con improvvise rivelazioni, che restituiscono l’elemento materico dell’esperienza. Una materialità ora accettata e forzata dal poeta, ora rifiutata. Eppure la raccolta è fortemente “sociale”, e l’esplorazione fisica è del tutto immersa nell’esplorazione del “consorzio umano” – come testimonia il mix di codici linguistici – fino a toccare, soprattutto nella seconda parte, accenti fortemente “civili”, e civile per eccellenza è Pasolini, poeta citato dall’autore, sempre più punto di riferimento di molti dei lavori poetici di questi ultimi anni. Sentimento chiave in Economia è la pietà, fortemente legato al senso di fisicità che domina tutta l’opera, bisogno di salvezza dal tempo (“conteggio di morti, abitudine a consumarci”) rassicurante abbraccio dei cari, tra speranza e angoscia, con un accento modernamente crepuscolare.
(Lara Lucaccioni)
L’autore è capace, anche nelle poesie più brevi, di fotografare uno stato, uno stare, un divenire crudele delle cose, una rabbia intima e spietata allo stesso tempo, probabilmente senza possibilità di riscatto, intrecciando in maniera interessante e originale un linguaggio dal registro alto a termini del quotidiano con virate perfino nel volgare.
(Federico Italiano)
Precisi filtri semantici, meccanismi ben oliati nell’assetto sintattico e un pizzico di polvere, di materia spuria, gramigna verbale qua e là, sono gli ingredienti che fanno di questa poesia una lettura godibile e degna di nota. Peccato per la tensione ironica che sottende un po’ tutti i testi: è buona e necessaria, spesso però decade in facile – sebbene confezionato con stilemi raffinati – umorismo.
(Francesco Accattoli)
Un linguaggio potente e segnato da insistiti tecnicismi, veste meditata, curata per mascherare un senso di inadeguatezza nei confronti del consorzio umano. E la realtà è ingannevole, decadente, d'uno squallore che di tanto in tanto cede il passo al paradossale e al grottesco. Non vi è risoluzione se non nella nudità della persona. La versificazione segue l'urgenza dell'atto giudicante, dalle sententiae – rapidi cenni di riflessione – a liriche più classicamente pensate sino a liberi monologhi, puntuali nel tracciare istantanei microcosmi.
(Matteo Zattoni)
Poesia del linguaggio, lingua che anticipa le immagini e diviene essa stessa simbolo mediante l’uso del neologismo, la molteplicità dei registri. Ma la ricerca linguistica non è fine a se stessa, non vuole stupire, non solo. Al contrario è uno studio funzionale al gioco dei punti di vista, serve a rappresentare le molteplici sfaccettature dell’esistere come nel “ciclo dell’immaturità”. La concentrazione di senso, talvolta appena in eccesso, sa anche sciogliersi in felici esclamazioni che appaiono come eruzioni di pura vis comunicativa.
Francesca, 28 anni, romana. Una laurea con lode in storia del cinema , il desiderio di raccontare storie. attraverso immagini o poesie o racconti. comunque indignata, naturalmente inquieta.
Incipit della raccolta
‘E caddi come corpo morto cade’
Andavo adagio e zoppa
alla scoperta del mio Inferno
Credevo che ricerca significasse Verità
invece mio malgrado
svelata ho preso forma
quando t’ho visto in chiaro
sensuale uomo, carogna.
Strisciavi come randagio e
mi hai caricato a forza
Caronte della mente, senza
pace, senza sosta.
È questo il mio destino,
eterno contrappasso di
anima a metà.
Nell’elegia delle tue bugie
c’è il mio elisir di Verità.
Diplopia
Il simile conosce il simile
eppure soffro, perché so
che aspetto ha amore
Meno per meno più
Non tiriamoci indietro dalle lame
Lasciami prendere la mira
e pensami stesa al muro
impaurita da una forza che può umiliarmi,
– bambina ferita –
o infliggermi la colpa di desiderarti ancora
Lasciami prendere la mira,
mentre mi pensi con le spalle al muro
per finirmi
– femmina di carne –
nella sconfinata anestesia del mio sentire.
Lasciami prendere la mira.
Ché con le spalle al muro
mentre col mio silenzio di fuoco
ti implorerò Finiscimi
lancerò il mio ultimo gesto di pietà nel tuo occhio sinistro.
Da cui lacrimeranno gocce
della fine
Motivazioni
(Lara Lucaccioni)
L’opera appare coerente e stratificata nei modi di un canzoniere ad un tu sempre presente e destinatario privilegiato; l’autrice riesce ad amalgamare perfettamente il suo vissuto privato con immagini originali e peculiari, a volte anche piacevolmente ingenue e naif. L’autrice è capace anche di illuminazioni che spesso virano nel campo dell’ironia.
(Francesco Accattoli)
Una poesia che diventa desiderio carnale di rivelazione, diagramma esistenziale che traccia uno scenario di relazione, in forme ritmicamente attente e controllate, modulate secondo un'ampia varietà di tonalità espressive. Il dolore della non appartenenza si palesa in una declinazione ampia, a volte si completa e si sana, a volte lascia il segno sul corpo; e con lui l'inganno, che si estende ad ogni occasione d'incontro, fuori.
(Alessandra Conte)
L’autrice svela un resoconto d’amore del tutto femminile, e nel farlo mostra di scansare le zuccherosità che il tema potrebbe portare. Il pregio sta nell’abilità di snodare la materia in alcune immagini chiare e non scontate, che si costituiscono catalogo di ricordi, a delineare la fisionomia dell’amore finito.
(Antonietta Gnerre)
L’amore scorre sulla pelle di queste poesie, come frutto di un’attenta ricerca: “Il simile conosce il simile/ eppure soffro, perché so/ che aspetto ha amare”. Il rimpianto della felicità assoluta riemerge dai ricordi. La mano del cuore che accompagna il suo aquilone nel vento sa che può di nuovo non averlo più. Il messaggio di questa poesia è semplice: bisogna credere fino all’estremità perché “La poesia è desiderio carnale di rivelazione”. Sono questi vigilati eppure così visibili riflessi a dare fisionomia caratteristica alla virtù delle immagini in queste opere – “Niente si irrompe mentre scivolo nel mare” – senza ritorni e riprese il mare ci culla e ci distrae da tutte le altre cose.
(Carmine De Falco)
L’uscio racconta di un amore finito, scandaglia con un’analisi spietata, talvolta cinica, rapporti erotici, colpa e desiderio, menzogna, innocenza, scissione tra corpo (sacrificato) e mente. Di per sé l’argomento non è originale, ma la forza de L’uscio è nella compattezza che si dipana lungo tutta la raccolta, la capacità di penetrare a fondo nell’interiorità, e di restituire sic et simpliciter le diagnosi in itinere di un “malamore”. Peccato solo che l’autore calchi spesso la mano e si perda in superflui maledettismi. Molti i riferimenti letterari, in particolare alla Medea, rivisitata e capovolta, nella compartecipazione alla colpa. Ne L’uscio, in definitiva, la relazione amorosa è ridotta a uno scambio corporeo, l’atto sessuale diviene l’unico futile strumento di conoscenza, di cui restano avanzi posticci e un’esistenza in bilico tra una vita dimezzata dall’assenza dell’altro e l’impossibilità di unirsi completamente.
“Mi chiamo Fausto Toccaceli, sono nato a Cagli (PU) il 14 settembre 1955. Diplomato all’Istituto Commerciale di Cagli. Ho ricoperto il ruolo di ragioniere presso il locale Comune dal 1978 al 2000; sono andato in pensione all’età di 44 anni per gravi motivi di salute; ora vivo in Addis Abeba, dove mia moglie insegna presso la locale Scuola Italiana dall’anno 2008, con un contratto fino all’anno 2012. Torno in Italia solo nel periodo estivo, vacanze scolastiche. Dopo il pensionamento quelli che erano solo hobby, oggi sono diventati un lavoro (nel senso che vi dedico molto del mio tempo): lettura e scrittura. È la prima volta (un po’ per curiosità, confrontarsi con altri scrittori, un po’ per vanità) che partecipo ad un concorso letterario; ho sempre scritto per me e per i miei amici, soprattutto dopo che mi sono trasferito in Africa; un modo per comunicare e per far capire agli altri quello che sto vivendo – esperienza incantevole – . In riferimento a ciò, allego uno scritto, redatto poco tempo dopo il mio arrivo in Addis.”
Incipit della raccolta
Addis Abeba 1
Mi sento uno scricciolo nel suo nido
In questa città confusa e colorata.
Il tuono rumoreggia senza abbaglio
Ma è la pioggia la compagna del momento
È la pioggia a schiudere le fessure dei pensieri
Senza più confini sotto questo cielo immenso
Dove la luce in ogni modo trapassa e regna
Dove il sogno non è abbastanza
E le carezze hanno il sapore
di un domani prossimo a venire.
Addis 2
Com’è cordiale la vita
Nel mentre di un febbraio
Che sa di maggio inoltrato
E concede odori mai immaginati.
Com’è fedele la vita
Nei suoi spigoli mai espressi
Nelle sue giocose voglie
Che sanno di mulino diroccato.
Mentre le ultime ombre scappano
Il sangue scorre e non si ferma
È caldo dentro di me
Trasuda la gioia nello scorrere dei pensieri
Che sanno di ruggine dorata.
È festa nel silenzio dell’aurora
Dove l’ombra è un semplice ricordo
E i fiori traballano
Dove lo sguardo è assente ma tutto circonda
E il richiamo di un aiuto è subito ascoltato.
Accovacciato nell’angolo espio le mie colpe
Che mai verranno perdonate.
Quando da ovest il sorgere del sole
Accecherà l’invidia e il rancore
Tutto procederà a ritroso
E la giustizia sarà l’ultima a morire.
Addis 3
Vermigli garofani occhieggiano
Sotto un battito d’ali
Ancora fiori e corolle aperte
Germogli che odorano di terra
Terra che ha il sapore di un colore
Che non conosco.
Il sogno si avvera
E la pioggia cade come sempre.
Chiedo al mendico:
– Quanto, ancora ho da aspettare?
Lui mi risponde:
– Hai già atteso abbastanza
Corri e non voltarti,
Tutto è già stato, tutto ha da venire.
Motivazioni
(Matteo Zattoni)
Immagini nitide di un altrove, scolpito attraverso colori di paesaggi e di piante, e rituale alternanza ora di voci, ora di profondi silenzi. Il verso musicale accompagna nel trapasso verso una dimensione “altra”, primigenia, in cui il rapporto tra l’uomo e la natura non è ancora giunto al grado di compromissione tipico delle società occidentali. Ciò che colpisce nelle poesie di Addis Abeba è la coerenza della tessitura che ricrea, senza strappi o sbavature, il disegno di un mondo a metà tra l’onirico e la fiaba, in cui – paradossalmente – emergono con più veemenza le leggi di realtà.
(Antonietta Gnerre)
Nella poesia la limpidezza dei ricordi scava con le mani la purezza del dialogo: “Sei venuta da me anche stanotte/ Con il tuo lungo pastrano scolorito/ Perché non riveli la tua vera identità/ dietro quell’ombra maledetta?”. Tracce incancellabili che riaffiorano dagli specchi dei desideri e dalle immagini non visibili.
Questa poesia è “sanguigna” viaggia come un corallo che si è caricato di un significato proprio, travolgendo il triste alone che si estende oltre l’intuizione dei propri passi. Le immagini sono cariche di luce anche di sera “Verso sera quando la luna/ È solo un ricordo/ Le ombre si dilatano/ E chiedono di te”. Questa poesia riesce inoltre a rappresentare vivamente situazioni e persone, penso all’amata figlia Alice fotografata con la penna così: “Ti sento e ti vedo nel coraggio dell’abbandono/ Nel tuono che porta il suo fresco respiro/ Sei dentro me e fuori me come semplice profumo”.
Andrea Lanfranchi è nato a Civitanova Marche nel dicembre 1968, ha conseguito il diploma di maturità presso l’Istituto Statale d’Arte U. Preziotti di Fermo, e si è successivamente laureato in Architettura presso l’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara. Ha prodotto alcune pubblicazioni scientifiche nel campo del restauro architettonico e si è poi dedicato alla professione di architetto e restauratore, lavorando tra l’Emilia Romagna e le Marche. Attualmente vive a Fermo dove, oltre alla sua attività professionale, svolge l’attività di pittore ed incisore, e collabora con associazioni culturali locali. Si occupa di poesia fin dai primi anni novanta, ma piuttosto recenti sono le sue prime pubblicazioni. Suoi componimenti sono stati inseriti in alcune raccolte antologiche, tra le quali ricordiamo, per Perrone editore (collana LAB): Pace. I grandi temi della poesia, Fili di parole, e l’antologia dei finalisti della III edizione del Premio Logos. Altri suoi componimenti compaiono nell’antologia del Premio Alberoandronico 2007 e del Premio Città di Empoli-Domenico Rea 2008 (Ibiskos Ulivieri editore). Con la raccolta inedita La Strada l’Attesa, risulta tra i poeti segnalati all’edizione 2008 del Concorso Pubblica con noi (Fara editore), e ha ottenuto menzione di merito al Premio Montano (ed. Anterem). Un suo racconto, risultato finalista alla III edizione di “Racconti alla Rovescia” 2008, organizzato dalla rivista ARGO e dall’associazione culturale NIEWIEM, è pubblicato On-line.
Incipit dell'opera
Sedimenta
Quando le guardi, vedi un lampo di magnesio nei loro occhi.
Un lampo, come un vuoto sordo.
Orbite scavate nella sabbia – pareti in continua rovina
Sguardi aperti sul nulla o sul tutto: come disporre due mani a conca
E attendere un vento (salvifico o crudele) che le disgiunga
… o un motivo apparente di disgiunzione
Quando c'è campo
Quando l'inciampo si verifica per interstizi (appunto, per disgiunzioni)
Quando lo scandalo ti rassomiglia e percepisci nella rete spazio in spazio
Scendi dal tuo volo di trapezio
Scava sino alla radice
Cova la tua ombra sul filo della luce
In un respiro calmo d‘iniezione, e profondo
Guarda dallo spiraglio
Come dentro una ferita: s'aprirà
Una finestra o un taglio
Respira dal tenero boccaglio
Per foce o per sorgente
Fa scandaglio…
I
Il cielo
Si è posato sulle loro facce avvizzite
Colte con le mani sprofondate nel ventre (come artigli)
Come a voler ritrovare l‘origine di una colpa e carpirla
Estirparla dalla memoria della loro stessa carne (del loro stesso sangue)
A ché nessun D-Io possa più esiliare i propri figli, sollevare le loro menti al cielo
E poi disinfettarle nel fango
Per innalzarle ancora più alte più vere più sue
Vorrebbero
I loro occhi
Le loro costole aprirsi al profondo respiro dei deserti
Salve
Ritrovare ai margini d'una soglia
Il colore nero delle forre in cui obliaronoi loro figli
In quello discendere e amare
La fiamma di voci generate dal loro stesso grembo
Dal loro interno mare
Motivazioni
(Alessandra Conte)
La raccolta si presenta sotto forma di magma, ed è una delle poche che presenti del materiale per niente scontato che trova vita in associazioni che generano scintille. Proprio per questo, e per la sua attualità, genera interesse.
(Matteo Zattoni)
Dettato oscuro, compresso, a tratti enigmatico; le poesie di Corpo di reato si impongono per sottrazione, seguono percorsi non lineari. Il verso è friabile, plasmabile, spesso conduce su false piste o si sfalda del tutto, frammentandosi in tante unità minime. Eppure, la fatica del procedere formale corrisponde necessariamente alla pena di un dire che non fa sconti. Immagini materiche e persino violente, legate ai guasti della corporeità, introducono il lettore nel cuore delle contraddizioni psichiche ed emotive dell’io contemporaneo.
(Federico Italiano)
Nutrita dai versi memorabili di alcuni classici dell’800, è soprattutto la dimensione visionaria a spumeggiare in questa poesia, dando brio e senso alle composizioni. Del resto, un po' più di disciplina potrebbe giovare a questa penna veemente.
Incipit della raccolta
# IPERTENSIONE VISIVA
Sul cavalcavia
il tuo viso che si frantuma
il tuo odore che si disperde sull’asfalto
ci lasciammo avvolgere da una nebbia lenta
sembrava normale
il mio cuore precipitò
guardandosi dentro
quasi non lo riconobbi
impermeabile
il mio cuore
proseguì lungo i binari
“Quello che cerchi non c’è
non lo troverai qui”.
***
Una nube tossica qui sopra
rossa nel cielo prospera
imploro il cellulare non so
sbatto la testa a zonzo
riuscirò a strozzare quel tuo collo morbido e idratato?
la notte dentro lo stomaco
forse la musica seguirà gli etilici
io se torno a casa non dormo.
***
Porno House
la confusione
speravo di vincerti
non ho avuto il tempo
tutti scorrono disciplinati i liceali
non hanno ancora scelto
rullo di tamburo
ti sono davanti
mi reggo in piedi
su di un comodo letto in lattice
quello che non vuoi sentire si può tacere.
Motivazioni
(Federico Italiano)
Siamo di fronte ad un vero libro di poesia. Può piacere o no, ma c’è tutto: sapienza grammatica, sensibilità ritmica, raffinata e accattivante intertestualità, pensiero, mondo, cattiveria. Andrebbe pubblicato – speriamo però che azzecchi il titolo!
(Carmine De Falco)
In Poesie raccolte l’autore non delinea tanto un disegno comune, quanto una serie di visioni, che una dopo l’altra selezionano brandelli di realtà, schizzando un’immagine attuale dello scenario italiano odierno. Immigrati e paesaggi industriali, termini tecnici e sintagmi poeticamente ritriti, che si condensano qua e là in immagini pregnanti, fanno da fondale all’ispirazione del poeta, spesso guidato da epifaniche apparizioni amorose. L’autore mantiene tratti di originalità, anche quando, come ne La fuga di Chiara, preferisce affrontare temi di maggiore lirismo, senza però ovviare del tutto ai rischi di cedere al “poetese”.
Tarassaco e viole di Emilia Dente (Montefusco, AV)
Emilia Dente è nata in Svizzera il 5 Luglio 1973, vive tra le colline irpine, in provincia di Avellino. Sociologa per passione, scrittrice di natura, operatrice socio-culturale per vocazione è specializzata nelle strategie di progetto per sviluppo locale e ha progettato e realizzato eventi socio-culturali per Enti pubblici e privati del territorio irpino. Ha collaborato al progetto Monitor – prima indagine conoscitiva inerente il fenomeno della microcriminalità – dell’Assessorato alle Politiche Sociali della provincia di Avellino, ha ideato e realizzato , per conto del Consorzio dei Servizi Sociali A/6, il progetto Diritti e doveri nel gioco della Vita, pubblicato nel testo Bambino di oggi, uomo di domani. Membro del Gruppo Culturale “F. Guarini” e già presidente della giuria tecnica del Premio Nazionale di poesia “Città di Solofra”, ha avuto numerosi riconoscimenti per l’attività letteraria in ambito nazionale. Ha pubblicato Cuore di donna – racconti e poesie – e ha curato l’edizione di due antologie poetiche. Svolge attività di critico letterario e cura la rubrica Rime e Prime sul sito web www.ilquaderno.it del settimanale omonimo di Benevento.
Incipit della raccolta
Non so morire
non so morire
tra mura di ardesia e cemento
tra campi rossi di papaveri e grano
non so morire
l’ora sterile del campanile
scorre lenta nelle vene
qui
ora
all’ombra del mio cuore
non so morire
***
SIAMO TUTTI CLANDESTINI
in una ragnatela
di sangue
e anemiche parole
***
a Vincenzo, vegliando l’alba
anime pezzenti
è nostro il sogno del mattino
nel buio della malanotte
e dell’eternità
pezzenti
scarniamo il volto e la parola
elemosinando l’aria
e sbarrando gli occhi chiari
anime
lunedì qualcuno pregherà per noi
Motivazioni
(Antonietta Gnerre)
In questa silloge, le parole e le idee, non tralasciano nulla al caso. Il dosaggio delle immagini ci arriva con le ferite ancora aperte “Nel mattone scheggiato si affina/ il graffio labiale del tempo// alle mura d’oriente/ affondo la mia voce”. Una voce che sfida con grande acutezza il senso di un cammino fatto di sofferenze e di riflessioni vive. Il gusto stilistico è intuitivo e ricercato, depurato ed equilibrato. Si potrebbe dire che sostanzialmente è poesia dell’anima. Poesia che ricerca storie vere, personaggi veri, racchiusi in destini che ci fanno riflettere esplicitamente – “Peppino cammina/ nel cuore dei coralli/ cento passi oltre la vita” – cento passi per non dimenticare chi ha saputo lottare con coraggio e determinazione le ingiustizie di questo mondo. Peppino Impastato, ci ha consegnato la sua vita in cambio del coraggio. Perciò questa scrittura mi è apparsa affascinante e ricca di ingredienti che scorrono perfettamente sulla pelle di chi la legge. La parola saltella e mostra con coraggio l’equilibrio emotivo della vera poesia.
Riccardo Burgazzi è nato a Milano il 13/02/88 e residente a Novate Milanese. Ha frequentato il liceo scientifico ed è attualmente iscritto al secondo anno di Lettere Moderne all’Università Statale di Milano. Alcune sue poesie si trovano presso il sito “Farapoesia” e, con altri autori, per Fara Editore ha pubblicato testi nell’antologia Il silenzio della poesia. Altre opere sono presenti nelle antologie dei premi Un fiore di parola (Via delle belle donne) e Filari in versi (Culturaglobale).
Incipit della raccolta
Introduzione
Me ne andrò in barca a remi
al triangolo delle Bermuda,
durante
la tempesta,
nel mezzo
della notte,
per essere sicuro
di perdermi
e trovare qualcosa per caso,
di poco valore,
ma che sia mia e parli
di conchiglie
e luci spente.
Non andrò da nessuna parte
per non diffondere solitudine.
Starò seduto su questo colle,
nel mezzo di un cerchio di pietre.
Attendo racconti dal Libro:
l’indice che può, ha voluto
l’universo tra le mani di un cieco.
Sifula
Seduto col sole sulle braccia,
ascolto gli uccelli.
Non ancora abbastanza caldo;
fischierei, ma ho lo sguardo perso.
Quante ore si possono passare
guardando una montagna?
Tamburellerei le dita,
come avrebbe fatto il nonno.
Rocca sul mare
Pietre roventi scrocchiano
sotto i passi a mezzogiorno:
nulla rimane dopo il saccheggio.
Pietre inumidite dalla lingua
delle capre per le briciole
da una tovaglia scossa.
Dall’alto di questa rupe
vedo gli scogli e non so più
da quanto il mare li circonda.
Una lucertola raccoglie quel sole
che annusava il respiro del vulcano
prima che le clave battessero le rocce.
Riprodurre la rete che intreccia
questi angoli, questi animali:
non trovo il superfluo da ignorare.
Cerco un nodo per non sentirmi estraneo,
per legarmi al filo che intravediamo
tracciato in un silenzio eterno.
Motivazioni
(Lara Lucaccioni)
L’opera è interessante per il suo modo di raccontare la natura e le forme con cui l’uomo ci interagisce, come uno specchio spesso fedele, conservando l’unitarietà di un corpus omogeneo, senza picchi di estrema originalità, ma anche senza scadere mai nel banale.
(Francesco Accattoli)
L'eleganza dei modi e la chiarezza della narrazione tracciano un dialogo continuo con la natura, ne fanno un luogo privilegiato di riflessione. La ricerca espressiva dei versi – numerose le figure di suono – conferisce alle liriche una valenza che oltrepassa il semplice gioco ritmico: è il senso pittorico a rendere vivo il continuo richiamo al mondo esterno, situazione ineluttabile affinché emergano – come da un silenzio indifeso – le ragioni del poeta.
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