lunedì 10 febbraio 2025

La latitudine del silenzio

Max Mazzoli, La latitudine del silenzio/The latitude of silence, Prefazione di Paolo Polvani, collana PoesiaLab a cura di Luca Ariano, Bertoni Editore 2025



recensione di Giancarlo Baroni


Il tempo e lo spazio sono concetti e argomenti fondamentali nei versi del poeta e scrittore Max Mazzoli, che è nato Parma nel 1963 e vive tra la cittadina emiliana e Cambridge. Il tempo e lo spazio vengono declinati nei suoi versi sia come concetti  con una connotazione filosofica e in parte astratta, sia come luoghi, posti, periodi, momenti, più legati e riferibili a una pluralità di fatti concreti della vita, a esperienze perfino autobiografiche. Chi ha letto le dieci raccolte di poesie in italiano e in inglese di Mazzoli fino ad ora pubblicate sa che tempo e spazio sono nominati  frequentemente non solo nelle singole  poesie ma anche nei titoli delle raccolte: Nella flagranza dell’istante (2005), L’altra metà del tempo (2007), Poesie del Bosforo (2009), Oltre Questi Luoghi (Spazio e Tempo di un Luogo Presente) (2014).

Da pochissimo è stata stampata la sua ultima opera in versi: La latitudine del silenzio. The latitude of silence (Bertoni Editore 2025, pp.194, opera in copertina di Max Mazzoli, collana “PoesiaLab” a cura di Luca Ariano). Il titolo poetico oscilla fra una dimensione metafisica e un lessico geografico; leggendo le pagine ho quasi provato la sensazione di aggirarmi all’interno di una mappa concettuale ed esistenziale dove realtà e sogno si intrecciano. Con eleganza e acutezza scrive nella Prefazione il critico e poeta Paolo Polvani: «Il silenzio vanta una stretta parentela con la parola poetica, ne costituisce il confine naturale, perché è dal silenzio che scaturisce il verso, ed è nel silenzio che il verso s’immerge, s’inabissa, scompare. Persino a livello visivo è al silenzio che allude la pagina bianca, e al silenzio tende la sospensione, la cesura, il ritmo stesso del verso risulta abbracciato al silenzio».


Tempo e spazio assoluti, che sfuggono ad ogni misurazione, rimangono avvolti nel mistero, risultano incomprensibili alle limitate menti umane; entrambi invece si presentano intelleggibili e decifrabili  se considerati nella loro specificità. Il quando e il dove non formano, nel mondo della nostra esperienza,  due entità isolate e separate ma un intreccio inestricabile, due facce della stessa medaglia che si sfiorano in prossimità di un impalpabile confine. «Da qualche parte , sia est o ovest, / », scrive Mazzoli, «Qualcuno va o viene / Circondato da persone / O nella propria ineluttabile solitudine…». E ancora «ma ho imparato che con il tempo / il corpo e la mente accumulano imprecisioni, / e tutto quello che si modifica tende verso nuove direzioni». Due versi della raccolta mi sembrano particolarmente significativi raffigurando in modi icastico e pregnante questa compresenza e coesistenza duale di tempo e spazio: «Essere qui, essere stati qui, / E poi non essere più».

Lo spazio ci contiene e nel frattempo il tempo dentro lo spazio fluisce («le cose e le vite passano verso nuove direzioni»), scorre, scivola via con una implacabile regolarità: ieri oggi e domani, il passato il presente e il futuro («Futuro e presente si nutrono del passato»), l’evolversi puntuale della stagioni, l’accumularsi degli anni, il ciclo di nascite e morti dove «l’addio assomiglia all’oblio». Sparire, svanire, restituire la propria vita, tornare al mistero da cui proveniamo, avere consapevolezza dell’inesorabilità del destino che procede in modo non rettilineo ma circolare: «Il verso di apertura è il verso di chiusura, / E il verso di chiusura è il verso di apertura».

 

La memoria conserva ricordi che ritornano «A misurare il tempo di una vita, / A scandire il senso di un’esistenza» e finché possibile li preserva dalla dimenticanza: «Ecco, il giorno è svanito indifferente / accumulando detriti e ricordi / che diverranno il pane di memorie, / il segno forgia-impronte del passato».

Anche la poesia ha la missione di preservare la memoria individuale e collettiva e i versi del libro di Mazzoli («dove l’endecasillabo comanda» e dove la doppia versione italiana e inglese amplia e arricchisce il respiro e la portata delle parole poetiche) hanno il compito  di convertire situazioni problematiche «in odi sensate», in liriche.

Mentre leggevo The latitude of silence mi sono venuti in mente sia i celebri versi di Eliot «Time present and time past / Are both perhaps present in time future, / And time future contained in time past» (Quattro Quartetti) sia questa parole di Borges «Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre […]. Il mondo, disgraziatamente, è reale; io, disgraziatamente, sono Borges». Lo scrittore argentino, in un testo suggestivo ed erudito intitolato Nuova confutazione del tempo, deve alla fine arrendersi all’evidenza irreversibile e drammatica del divenire e della morte.

    

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