LA PAROLA INTERIORE Ma il cielo ci cattura di Ardea Montebelli [Fara Editore, 2008] ARDEA MONTEBELLI è nata a Rimini il 5 marzo 1956 e in questa città vive e lavora come insegnante. Si occupa di poesia e di fotografia ed è giornalista pubblicista. Ha pubblicato: nel 1989 Alchimia dei sentimenti e Laudato sii, e nel 1993 Pietre di paragone, tutti per i tipi delle Edizioni Forum di Forlì; nel 1996 L’anima del mare (Panozzo Editore, Rimini); nel 2001 Il paradosso della memoria, una meditazione in versi sulle lettere di S. Giovanni (Fara Editore, Rimini), nel 2002 un catalogo fotografico dal titolo Cari, vecchi frammenti (Ed. Giusti, Rimini); nel 2005 Ma tu non dartene tormento, una meditazione in versi sulla Shoah (Guaraldi Editore, Rimini). Nel 2008 esce Ma il cielo ci cattura edito da Fara Editore. Giorgio Bárberi Squarotti presenta la raccolta di Ardea Montebelli La poesia di Ardea Montebelli è oggi l’esempio più alto e luminoso della rappresentazione e della celebrazione del sacro. Abbandonata ogni enfasi, lasciata da parte la ripetizione delle lodi di Dio, evitato ogni rischio di pietismo, respinto ogni patetico, essa aspira all’essenzialità assoluta del rinnovamento della teologia che si nutre e si accende di altissime predicazioni del divino nella purezza del concetto. È come se Ardea volesse fondare un discorso poetico teso alla più sicura proclamazione della verità di Dio, e al tempo stesso, dell’esistenza e del creato, non descritto, ma colto nella sua pienezza intrinseca, che è il frutto dell’opera del Verbo. Il titolo è subito estremamente efficace: il Cielo davvero ci cattura, e, del resto, sappiamo che il Cielo è dei violenti, non dei tiepidi. Penso, di fronte al primo componimento della raccolta, all’idea che Dante esprime della parola poetica: che è una perpetua metafora, perché soltanto attraverso i sensi gli uomini possono conoscere e di lì giungere alla contemplazione e al vero e tradurla e comunicarla poi non nella pienezza, perché è impossibile, ma per lo strumento della metafora: “Che cos’è la verità? / Un abisso che si veste di metafore”. Ed ecco, allora, la sigla di gioia sublime: “Nel volgere ignoto / di un respiro di luce / l’ultima conoscenza / pare scandire: / la morte, la vita”. Significativamente, prima viene la morte, poi la vita, perché questa, dopo che il Cristo l’ha cancellata, dura la vita eterna, e ogni modo del vivere, qui, sulla terra, non è che l’immagine di quella certezza. IL DOLCISSIMO SPESSORE DELLA VERITÀ Voci in ascolto della poesia di Ardea Montebelli Un libro originalissimo, che alterna suggestive immagini degli eremi in bianco e nero degli Abruzzi a brevi componimenti poetici, a reciproco sostegno nel viaggio verso la verità, “un punto di domanda / misterioso e fragile”. Scrive Kafka: “Esiste la meta, ma non esiste la via”. Nella sua fatica letteraria Ardea Montebelli sottolinea invece non solo che la meta - cioè la verità - esiste (“Una e una soltanto / è la verità / cui tende il nostro amore”), ma pure che c’è la via per raggiungerla; una via accidentata certo, piena talora di tormento (“… sul mio tormentato credo / per qualche tratto / il mistero si dissolve”), ma “la traccia della rivelazione” prima o poi si svela se il cuore sta in posizione di attesa. A conferma i bellissimi versi: “Lo udremo mormorare / tra le foglie / il senso delle cose / rapiti dalla bellezza”. C’è come un tremore talora, ma non il dubbio; il tremore di chi ha incontrato la verità, ma ancora non la possiede, è il già e non ancora. Una verità comunque percepita non come sogno o come semplice proiezione astratta di un desiderio. Lo intuisce chiaramente nella profondissima prefazione al volume Paolo De Benedetti, quando scrive:”la verità non è il prodotto del nostro pensiero…, la verità è una persona; non è una scoperta dell’intelletto, ma il fidarsi di una voce”. Un libro agile, ma non per questo leggero. Una lettura piacevole, ma densa di domande e di risposte che poggiano su una speranza certa. Uno squarcio di luce in un mondo della poesia che sempre più si concentra sui drammi del vivere, rinchiuso in un nichilismo senza speranza. Franco Casadei La sua è una voce asciutta, vibrante e senza orpelli, credo che la sua opera possa essere definita una scultura che dà spazio al silenzio, al nucleo più autentico ed essenziale dell’uomo, ai suoi errori che possono essere occasione di riscatto e salvezza, alla sua presenza in cui è nascosta una scintilla di divino. Più che poesia religiosa quella di Ardea Montebelli è veramente una poesia biblica nel senso anche profetico del termine. Alessandro Ramberti Un libro particolare, scorrevole alla lettura, che resta ben impressa nella mente, una lettura che purifica l’anima. Un libro che porta speranza in maniera delicata e continua. Guido Passini È la scrittura elegante, dovuta al rispetto del tema trattato, la massima espressione di Ardea Montebelli in questa opera, preziosa e chiara, intima e comprensibile ad altri nello stesso tempo; di scritture ne ha impiegati due tipi: quella della penna che sulla carta ha lasciato un testamento di quello che era e la speranza di quello a cui aspira, ed un’altra quella che la luce ha per lei scritto sulla pellicola contenuta nella sua fotocamera, compagna fedele ed àncora di conferme, nel suo peregrinare di eremo in eremo. Insieme a lei, quella fotocamera, ha interrogato pietre ed antri, amboni ed altari, luci filtranti e luci apparenti nell’ombra dello spirito. Anche per questa scrittura Montebelli si è avvalsa del metodo più complicato tecnicamente, ma atto a restituire una metonimia di rapporto con la luce variata, diffusa, modificata tramite l’impiego della pellicola all’infrarosso, croce e delizia di ogni fotografo, ma calzante sintassi nell’ulteriore modo espressivo dell’autrice, la fotografia, altro amore non celato di questa artista. Sono gli stupendi bagliori, la profondità del grigio dei cieli, nel portentoso linguaggio del bianco/nero, ad avvicinare l’essenza delle parole al sentire fotografico che usa gli stessi termini concettuali. Nulla si può svelare se non ricercato con forza e vigore, la forza dell’onesta volontà e la vigoria delle energie da dedicare alla ricerca, quella che passa dentro di noi, si deposita nell’anfora della nostra anima per poi versarla nel lago del nostro essere, depurato dalla ricerca e bonificato nella purezza delle acque prima palude ed ora fluente speranza. Carlo Ciappi |
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