Enchiridion celeste di Alessandro Ramberti
recensione di Carla Malerba
La premessa iniziale della silloge Enchiridion celeste del poeta Alessandro Ramberti si incentra sul cammino individuale di ogni creatura su questa terra verso i luoghi dello spirito, ricerca che si pone al lettore fin dalla poesia d’inizio della sezio ne “Idilli” e che è già premessa di una via di fuga in opposizione ai vicoli ciechi di fronte ai quali ogni creatura potrebbe trovarsi.
La scelta, il libero arbitrio apre ad esperienze, a cambiamenti, ad essenzialità: arduo cammino, almeno così appare, ma intrinseco all’essere che si adopra a ricercare un senso e si affida, come scrive il poeta: fidiamoci dell’angelo / il nostro aggancio al dopo.
La raccolta è dunque percorso misto di poesia e afflato religioso, mistico: quello che più colpisce in questi versi così verticali, così protesi ad ascendere è la profonda vicinanza dell’uomo-poeta alla natura, una fusione che permette quasi di intravedere un’ottica di interpretazione del creato che si è spostata, che non è più solo umana, ma è anche quella dell’albero o del respiro della montagna come avviene nella lirica “Albero dolomitico “che rivela al lettore al culmine del percorso compiuto l’etica del buon cammino dell’uomo.
La raccolta, dopo una prima lettura, può essere ripercorsa dalle ultime alle prime poesie per meglio interiorizzare i limpidi richiami evangelici necessari alla comprensione del processo spirituale della creatura e del suo aprirsi all’esperienza dello spirito.
Noi, come scrive Ramberti, siamo: le ossa di un cranio / in cui risuona il cosmo.
Per compiere il percorso, Enchiridion alla mano, ritorniamo all’inizio, un inizio che è ricerca e scoperta di una via di fuga, consapevolezza della possibilità che l’intangibile compagno alato postoci al fianco ci fa intravedere.
E poi dà forza e fiducia al nostro cercare, porta verso la luce quella trama di progetti che fanno vedere più chiaro il tracciato da seguire, altrimenti saremmo spinti inesorabilmente verso il basso dall’errore.
L’Enchiridion invita a puntare al cielo, a guardare le costellazioni simili a foreste, ci induce ad andare verso quella bellezza che invita alle “corrispondenze”:
Consuonami se vuoi
ci accoglie un firmamento
di stimoli e sussulti
non sai che la bellezza
si dispiega-rifulge
se c’è una dedizione?
Ma la creatura che lotta per ascendere deve fare i conti con guadi – alvei ribollenti – da attraversare cercando pietre sicure su cui poggiare i piedi; deve conoscersi per donarsi in un’ottica di sublimazione del sé di matrice evangelica.
Ancora il manuale continua a suggerire al lettore, poesia dopo poesia, il sentiero da seguire soprattutto per ribadire che
I sogni hanno bisogno
del reale – la mente
non sussiste privata
dell’ossigeno né
il corpo senza il fiato
dell’amore (…)
La simbiosi tra creature, quando si compie, aiuta nel percorso: celeste è l’Enchiridion, celeste l’approdo, lo stesso celeste domina sulla copertina del libro.
Questi versi ci accompagnano, quasi conducendoci per mano verso una meta dapprima intravista, ma poi fortemente desiderata.
Alessandro compie in questo suo libro un cammino pieno di speranza e con l’efficacia della parola colta e musicale e del verso cesellato elegantemente, rafforza ad ogni passo il godimento della lettura.
Siamo, in questa raccolta, creature in cerca di consenso, talvolta di aiuto:
Se siamo tutti increduli
possiamo sempre dire
con la bocca di uno
della folla: Mi fido.
Aiutami Signore
Se io fatico a credere!
Siamo in ascolto.
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