Griselda Doka (Terpan Berat, Albania, 1984) ha pubblicato Soglie (Aletti, 2015) e Solo brevi domande esiliate (Fara, premio della critica al Poem Award Academy, Napoli, 2016). Dimentica chi sono, uscita sempre per Fara, è la sua ultima raccolta di poesie, un poema immersivo e scabroso che ci ha fatto immediatamente venire voglia di porre alcune domande alla sua autrice.
Mi piacerebbe sapere le ragioni della suddivisione in quattro parti del tuo libro. Senti il bisogno di segmentare un discorso comunque molto unitario, rinunciando a un unico flusso verbale e narrativo?
È vero, la silloge si può inquadrare come un discorso unitario, un canto, aggiungerei, un unico canto sofferto con pause indispensabili. L’ho suddiviso in sezioni, successivamente, durante l’ultima revisione. Mi sono accorta che, effettivamente, c’erano momenti e tappe diverse nel respiro dei versi, pensati come voci corali, a volte anonime, altre ben precise, come fosse una pièce di teatro o un’opera musicale. Un’altra lettura potrebbe essere anche quella delle cadenze stagionali, intese come fasi della vita di ciascuno di noi.
Ho trovato molto provocatorio il titolo che hai voluto dare alla tua raccolta: Dimentica chi sono. Come un invito alla rimozione posto all’inizio di un testo che invece è profondamente radicato nella memoria (personale, ma anche politica e forse addirittura di specie).
Onestamente parlando non ho potuto trovare titolo migliore per rendere giustizia a quel respiro d’insieme. Pensavo alla precarietà dell’esistenza, alla fragilità, alla violenza e alle umiliazioni che molti subiscono senza poterlo raccontare. D’altra parte, dimenticare è necessario come è necessario il dolore che diventa maestro di vita. Quindi, sia per dare voce a chi voce non ne ha, sia per ripartire da dove ci si è fermati, il titolo Dimentica chi sono, credo possa essere idoneo come un invito alla scoperta e riscoperta.
Scrivi direttamente in italiano o traduci dall’albanese? La tua lingua mi sembra estremamente pura, senza frizioni o sporcature, il che mi fa pensare che abiti la lingua italiana da molto tempo e con grande consapevolezza.
Abito la lingua e la cultura italiana da più di 15 anni e ho studiato qui, ma la mia passione per l’italiano è antica. Ho studiato italiano anche nel mio paese. In realtà non traduco mai le mie poesie, sono i luoghi e le situazioni che cantano direttamente dentro di me, dunque, da quando vivo qui, scrivo esclusivamente in italiano, e ogni volta che torno nel mio paese, la poesia mi bussa anche in albanese. Questo bilinguismo poetico non è una scelta, è proprio naturale.
Sei d’accordo nel definire “politica” la tua poesia?
Sì, definisco politica la mia poesia proprio per scelta, perché non posso scrivere se non sono coerente con ciò che penso e faccio quotidianamente. Mi indigna ogni forma di disuguaglianza, violenza e ingiustizia e non posso far altro se non trasmettere tutto questo nei miei versi.
Quanta importanza dai al tema del corpo? A me sembra che Dimentica chi sono fonde in modo molto forte corporalità e spiritualità, come se a ogni azione si accompagnasse immancabilmente un sentimento o una sensazione (penso al primo testo del libro dove il femminile viene connotato da subito dall’odore del sesso).
In effetti, penso che questa silloge sia molto più istintiva e carnale della prima, Solo brevi domande esiliate. Io credo che l’arte in generale sia un’esperienza fisica e spirituale nello stesso tempo. L’artista patisce fisicamente il processo della sua creazione di pari passo con lo spirito. D’altra parte credo che l’energia femminile sia un motivo di conoscenza straordinaria, di vitalità e di riscatto e una volta che si scopre questo potenziale, non si può fare altro, se non celebrarlo.
Nell’ultima sezione c’è una vera e propria esplosione di punti di vista, come se il canzoniere che abbiamo letto fino a quel momento si sciogliesse in linguaggi fra loro diversi, allusivi e mimetici di qualcosa d’altro da te. Che peso e spazio hai dato all’autobiografia in Dimentica chi sono?
Dimentica chi sono è autobiografia, ma anche biografie diverse, come accennavo sopra. Le voci di quelli senza voce si uniscono alla mia se non proprio per riscatto, almeno per senso di appartenenza e comunione. Sì è altro, già nel momento in cui si prendono le distanze da ciò che ci potrebbe rendere disumani e apatici. Si è altro se non si impara granché dal dolore, sì è altro necessariamente se si perdono la fede e la dignità. Per me è fondamentale la scelta tra ciò che dovremmo abbracciare e difendere e ciò che dovremmo ripudiare e combattere, mettendoci la faccia.