della casa dei primi anni
un ricordo di vetri rotti nelle stanze
sentore di ghiaccio triturato
non per la cura di un male, ma inciampo liquefatto
fino alla porta del salotto chiusa a chiave.
E la figura in chiaroscuro del padre
che dice alle spalle – non guardare –
alla bimba che corre nei vuoti contorni
cade e lo chiama
e ai piedi della scala demarca il suo passaggio
lungo la linea di un perimetro invisibile.
*
il profilo di lei che alza il capo appena
e guarda il sole in alto
più in alto del pino
e sibila – è bello –
senza più forze né respiro
tanto che il corpo si adombra
in posa d’abbandono
e si stende al suolo incompiuto.
*
Il garbo della notte
cade sulle note della radio accesa.
Nelle ore di buio persiste il rumore
frammisto ai mugolii del sonno
per non sentire urla
per non sentire conati di spasmo
a due passi dalla porta della stanza.
*
La bimba gioca sulla porta di casa.
Non si allontana.
Dentro, un’abitudine di pose misurate –
la frutta nel vassoio al centrotavola
le pentole lasciate su un ripiano ad asciugare.
Fuori, tramestii di motori, versi di animali
voci da fiera.
La bimba resta sulla soglia
gioca un gioco che chiamano campana –
un piede dentro, un piede fuori
l’area della mattonella.
*
Nell’acquaio gocciolante di fiori
sciacquavo le stoviglie quella sera
nell’istante della tua dipartita.
Al getto del rubinetto tendevo
il braccio, mentre un’altra mano, di sopra
ti stringeva il polso – e tu, non vista
di là della finestra ti scioglievi
in una venatura d’aria.
*
Liberarti dai graffi di terra
che ti porti addosso, quando ti giri
e nulla posso se non stringere a te lo sguardo.
Convincermi che è un demone bugiardo
la paura, che tanto più chiama
quando una fede si affaccia incrollata.
Quando
per far entrare luce dal balcone
ti sporgi un poco e tiri
su un punto malcucito di sutura.
*
Piove così leggero
che ti svuoti a guardare attraverso.
Il peso dei nomi delle cose
lascia un solco di detriti siderali
memorie intraviste nell’opale degli specchi
mentre baccanti infuriano
sui coperchi di scatole di pietra
e il pantano raccoglie una propaggine
di te che ti fai buio
e ti rannicchi nella tana.
Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). Laureata in lettere classiche, è dottoressa di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica.
Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (Il Filo 2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (Manni 2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (Edizioni Progetto Cultura 2007), Cerimonia del commiato (Edizioni Progetto Cultura 2012), Non chiedere parola (Edizioni Progetto Cultura 2019), Canto del vuoto cavo (Transeuropa 2021); la plaquette Formulario per la presenza (Edizioni Progetto Cultura, Quaderni di poesia Le gemme, 2022); il saggio Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (Eum 2011); i romanzi brevi Sole di stagione (Prospettiva 2018) e Diario di una stalker mancata (Edizioni Progetto Cultura 2022). Nel 2023 è uscita in Romania la plaquette bilingue Halou de toamnǎ/ Alone d’autunno per Edizioni Cosmopoli di Bacǎu.
Per Edizioni Progetto Cultura ha diretto una collana di poeti esordienti, «La scatola delle parole», tra il 2007 e il 2012, e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole», della rivista online «Poesia del nostro tempo» e collabora con vari blog letterari con recensioni e articoli sulla poesia greco-romana e contemporanea. Ha ideato e dirige il Premio di poesia Paesaggio interiore ed è direttrice artistica dell’omonimo Festival.
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