domenica 18 settembre 2022

“sai che il tempo è sabbia / gettata sul cuore”: il crocevia dell’esistenza

Luca Pizzolitto, Crocevia dei cammini, peQuod 2022

recensione di AR


“Nello spazio sacro della sera, / nel volgere a compimento / di tutte le cose, / scenda ancora su noi la grazia / una dolce benedizione. // A Te giunga il canto / di questo inquieto esistere, / a Te giunga il grido / che non trova pace, ragione.” 

Con questi splendidi versi/preghiera della poesia eponima si conclude Crocevia dei cammini, un’opera di tono intensamente elegiaco, onestamente dialogico: “… il tuo cuore si spezza / e capisci che niente ritorna, / niente può mai durare davvero.” (p. 102); “S’alza in me il desiderio / di essere vento, / il livido candore dell’assenza.” (p. 98); “il mio consueto esistere e non restare.” (Quando tutto brucia, p. 95); “Dalla bocca di pietra zampilla / il tempo e ciò che resta / delle mie rovine.” (p. 92); “Il mio cuore è un cane stanco / che si trascina, a fatica, / sotto il sole.” (p. 82).

Il poeta si denuda, si offre con amore e timore alla persona che ha accanto, a un Tu con la maiuscola, come anche a chi lo ascolta, sapendo che ogni slancio può essere rifiutato, ogni amplesso ha qoheletianamente bisogno di un periodo in cui è necessario astenersi dagli abbracci, ogni relazione corre sempre il rischio di interrompersi se non è costantemente alimentata, ogni azione può avere un esito inatteso o frustrante o felice: “il mio dolore è sete.“ (p. 61); “Nell’ostinato silenzio di Dio, / nel tuo sguardo breve / di madre trova riposo / ogni mia lontananza.” (p. 11); “quale libertà, mi dici, quale libertà / è questo nostro stare, inquieti, / inchiodati // nello spazio senza rumore / di un istante?” (p. 12); “Tutte le cose passano: / la fede nel niente che rimane.” (p. 24); “Ogni gesto, / lo vedi, / ogni gesto è solo / uno spostarsi verso nuove, / crocifisse lontananze.” (Dalle stazioni di cuori stanchi, p. 22). 

Cosa resta? Cosa ci trattiene dal baratro dell’oblio, della banalità, della sciatteria? Come affidarsi a un Dio che pare a volte insabbiare il nostro cuore, mettere in stallo il nostro pensiero, eludere il nostro bisogno di sentirci al centro delle sue attenzioni? Luca ci dice: “nelle preghiere stanche / e nel canto, / nella chiesa vuota // – mi sopravvive il tempo / ed ogni carezza.” (Veglia, p. 19);  “Vorrei vivere sempre come / un qualcosa di prezioso e / dimenticato tra le mani di Dio.” (p. 76); “Senti come trema la voce / di questa fede immatura, / senti l’invisibile crepa / che avanza nel nostro domani.” (p. 29).

La tensione fra il già e il non ancora, fra conquiste e perdite, fra bellezza e impermanenza pervade tutte le cinque sezioni di questo Crocevia che si conclude con quella suggestivamente intitolata “Il vuoto e altre forme”. C’è questo desiderio di dare forma anche a ciò che non è raffigurabile, di portarlo in quella zona razionale che possa in qualche modo dargli dei confini. E così anche la relazione con il Trascendente cerca con-forme intellegibili, sapendo di rischiare semplificazioni o proiezioni confuse e grossolane. Allora dobbiamo affidarci all’Altro che si fa prossimo a questa nostra grana ferita, dubbiosa, sporcata e al contempo unica e preziosa. È quella stessa grana imperfetta e sballottata a dare valore al nostro atto di fede, a spingerci con speranza a proseguire il cammino, ad accogliere quell’amore grande, gratuito e misterioso che riempie ogni vuoto e mancanza: “Nello spegnersi del giorno / è terra fertile l’attesa / – il tuo cuore così simile / all’inverno. // È note, si riempie di cielo / la mia lontananza.” (San Miniato al Monte, p. 41); “dal sangue innocente di Dio / nasce la nostra misera fede.” (Un cieco restare, p. 42); “Guardi il vuoto, / silenziosa presenza: / niente cede, / niente muore davvero.” (p. 51); “La verità è un passo breve, / l’istante esatto in cui / l’eterno si posa e attraversa.” (p. 78)

PS I versi che intitolano questa recensione sono tratti dalla poesia a p. 70, seconda della sezione “Appunti dal deserto” che ha per esergo questi versi di D.M. Turoldo: Fammi dono di essere / uomo libero / consumato nel canto.

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