venerdì 15 luglio 2022

Questionario di Proust [14]


A cura di Mario Fresa

           

Le risposte di Gisella Blanco



               
Il tratto principale del mio carattere. 
 
Mi trovo sempre un po' a disagio a parlare di me stessa. La percezione che si ha di sé è inesorabilmente soggettiva ma, cercando di approssimarmi il più possibile al vero e documentandomi sulle percezioni altrui, sembra che in me siano preponderanti una certa propensione a voler empatizzare spasmodicamente con gli altri (e poco con me stessa), nonché una certa vena polemica che assume il ritmo intensivo del mio costante monologo interiore, non sempre estrinsecato.
 
 
La qualità che desidero in un uomo. 
 
Con gli uomini, nei rapporti professionali, amicali e sentimentali (menzionandoli nell’ordine di un climax ascendente per impatto emotivo) sono piuttosto esigente. Mi accorgo immediatamente della presenza di sfumature paternalistiche, che siano volontarie o involontarie e, per istinto e formazione, tendo a smorzarle. Apprezzo negli uomini, quando c’è, la capacità di intuire e interiorizzare il dialogo interpersonale, anche quando avviene con l’altro sesso. Apprezzo, soprattutto, la consapevolezza che le doti umane, intellettive, intellettuali, professionali ed emotive non dipendono dal sesso ma dall’evoluzione del singolo individuo.
 

La qualità che preferisco in una donna. 
 
Più o meno si tratta delle stesse qualità che apprezzo in un uomo, tradotte e modellate per le donne. Non sopporto il paternalismo, ancora più subdolo e più vischioso se agito dalle donne verso le altre donne. Parallelamente, non concepisco una superiorità presunta e preconcetta di un genere rispetto a un altro. In una donna, amo l’immediata complicità senza retropensieri e, se ciò non è possibile, preferisco la schiettezza di una sana, reciproca antipatia (gestita con educazione e buon senso) che la profusione di atteggiamenti esteriori che non combaciano con un reale sentire.
 
 
Quel che apprezzo di più nei miei amici.
 
L’amicizia è un sentimento, per me, totalizzante. E, per questo, risulta molto complesso e controverso. Una delle più belle speculazioni definitorie sull’amicizia, per me, è quella del filosofo francese Maurice Blanchot: “Dobbiamo rinunciare a conoscere coloro a cui ci lega qualcosa di essenziale; voglio dire, dobbiamo accoglierli nel rapporto con l’ignoto in cui essi ci accolgono, anche noi, nella nostra distanza. L’amicizia, rapporto senza dipendenza, senza un evento particolare e dove entra nondimeno tutta la semplicità della vita, passa attraverso il riconoscimento dell’estraneità comune che non ci consente di parlare dei nostri amici, ma solamente di parlare loro, non di farne oggetto di conversazione” (L’amicizia, Marietti 2021). Questa riflessione, contestualizzata dal filosofo nella circostanza della morte di un amico caro, credo che valga anche in vita e che sia alla base di un rapporto amicale realmente intimo e profondo. L’unico modo di accogliere nella sua totalità la coesistenza della personalità dell’amico a fianco della propria è quello di non sostituire l’alterità con l’individualità (e il conseguente individualismo). Personalmente, ritengo che l’amicizia, molto simile all’amore, sia un moto di reciproca commozione nell’accezione letterale di muoversi-con qualcuno che sappia, a sua volta, agire e percepire in sincronia. Forse mantengo un concetto troppo idilliaco di questo sentimento e, per questo, difficilmente realizzabile, se non per brevi indimenticabili segmenti di vita.


Il mio principale difetto.
 
È difficile stabilire quale sia il mio principale difetto, nel magma delle mie ossessioni e delle mie fragilità. Ultimamente ho riflettuto su come il mio entusiasmo, talvolta prorompente, sia recepito dall’esterno nei modi più disparati e meno positivi. Sono anche piuttosto permalosa e mutevole negli stati emotivi. Succede che mi infurio davanti ad alcune precise circostanze e, come accade per tutte le passioni troppo forti, non è mai cosa buona e giusta.
 
 
La mia occupazione preferita.
 
Rischiando di cadere nella scontatezza, la mia occupazione preferita è leggere. Amo anche viaggiare, mangiare e dormire. E bere un calice di vino rosso mentre rifletto, scrivo o faccio editing.
 

Il mio sogno di felicità. 
 
Sono scettica rispetto alla felicità, penso che sia un concetto abusato e sopravvalutato. La famosa frase “di fronte al mare la felicità è un’idea semplice”, per me è aberrante: non sopporto il mare né l’idea che la felicità possa risultare semplice. La felicità non può che essere dilaniata, contorta, sofferta, squarciata, mangiata, sbranata. E noi siamo i suoi irrisolti carnefici.
 
 
Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia. 
 
Proprio perché è così grande, non ne parlo! In ogni caso, non è difficile ipotizzare le mie molte ossessioni dai miei testi (forse perfino da quelli critici).
 

Quel che vorrei essere.
 
Vorrei essere moltissime cose, a partire da quello che già sono o per contrasto da come sono. Anche questo, però, essendo un bagaglio di obiettivi, progetti e aspirazioni più o meno ambiziosi, stravaganti e anche antinomici, lo terrò per me. D’altronde credo che sia chiaro ciò che amo fare.
 
 
Il paese dove vorrei vivere. 

Non mi sento un individuo particolarmente territoriale. Anche se l’accento tradisce la mia provenienza natale e la mia modalità di scrittura risente del secondo Novecento italiano, il regionalismo non mi appartiene. Sono nata a Palermo, vivo a Roma e non vorrei abitare in altre città ma amo ritrovare piccoli tratti di me nelle città straniere, con un sentimento di smarrimento e ritrovamento di caproniana ispirazione.
 
 
L’animale preferito. 
 
Senza nessun dubbio e da sempre, i gatti. Riesco a individuare un miagolio nella confusione cittadina con la stessa velocità e la stessa istintualità con cui sento e distinguo la voce di mio figlio. Il binomio poesia e gatti, molto ricorrente in antologie di vario tipo, è sempre una interessante suggestione, benché ne riconosca limiti e occasionalità.
 

L’oggetto cui sono più legato. 
 
Non ce n’è uno solo ma sono tanti. “Ogni cosa è illuminata dalla luce del passato” recita un bel romanzo di J. S. Foer. Sono particolarmente legata alle fotografie: ne scatto molte, le stampo, le conservo. Sono dei veicoli fisici con cui provare a conservare sprazzi di passato. Sono molto legata anche ai libri di poesia di mia madre che, dopo la sua scomparsa, mi sembrano dei cordoni venosi (e non esattamente ombelicali, per specificare che non mi rendono dipendente ma sanciscono una continuità esistenziale necessaria) attraverso i quali continuare con lei un dialogo silenzioso. Il simbolismo dell’oggettualità è una dimensione molto illuminante.
 
 
I miei autori preferiti in prosa. 
 
Amo la saggistica filosofica e la critica letteraria. Blanchot, Ortega Y Gasset, Berardinelli, Pasolini saggista, Heidegger, Nancy sono alcuni esempi. Alle storie e ai dialoghi preferisco le speculazioni, i ragionamenti, l’analisi antropologica, linguistica ed ermeneutica di un altro testo, di un fatto o di un fenomeno umano.
 
 
I miei poeti preferiti. 

Sono molti, molto diversi fra loro e tendono a cambiare. Anne Sexton, Amelia Rosselli, Milo De Angelis, Giorgio Caproni, Alfonso Gatto, Paul Celan, Anna Maria Farabba, Julio Cortàzar e la sua Alejandra Pizarnik, Pier Paolo Pasolini (che, per me, è poeta anche e soprattutto nella poesia, a differenza di quanto ha sostenuto un altro grandissimo poeta che amo molto, Giovanni Raboni). La lista sarebbe ancora molto lunga e, di fatto, più mi approccio a nuovi testi e più trovo stimoli intellettivi, vivendo dei veri e propri innamoramenti platonico-letterari.
 

I miei eroi nella finzione. 
 
In realtà non amo gli eroi. Preferisco l’eroismo della normalità, che è una delle cose più faticose che ci sono. Certamente, però, i miei eroi della finzione sono tutte femmine.
 

Le mie eroine preferite nella finzione. 
 
Ho risposto involontariamente (o provocatoriamente?) già prima. Per esempio, trovo sobriamente eroica la Belle che legge per strada e sembra strana a tutti (forse mi ricorda quando, da piccola, venivo bullizzata a scuola: mi dicevano che a colazione “mangiavo pane e dizionario”. Questa cosa, con una certa ironia della sorte, capita tutt’oggi, in altri contesti). Anche la protagonista di Kill Bill ha il suo fascino, benché io preferisca reazioni forti ma pur sempre pacifiste.
 

I miei compositori preferiti. 
 
Sono affascinata da Für Elise di Beethoven. Ci sono momenti in cui mi fa piangere, evento molto raro per me che non amo questa esternazione.
 

I miei pittori preferiti. 
 
Impressionisti ed espressionisti in primis. Munch soprattutto. Chagall mi piace molto. Amo riconoscere il dramma nel tratto del pennello, così come nella parola.
 

I film più amati.
 
Non guardo molto spesso film. E’ un mio limite legato agli orari e alla stanchezza. Ho una serie di film che rivedo ogni anno in certi precisi periodi. Tra questi, Dracula di Bram Stocker (Francis Ford Coppola) e Nightmare before Christmas (Tim Burton). Preferisco i film simbolici e visionari a quelli particolarmente realistici.
 

I miei eroi nella vita reale.
 
Mi sembrano eroiche tutte quelle persone che mantengono un progetto di vita etico e che promuovono una socialità collettivizzante. I genitori che ammettono le loro fragilità e non giudicano l’operato degli altri; le persone che hanno più lavori e hanno cura per la famiglia; chi non cede a compromessi e non modifica la propria etica per ragioni di utilitarismo. La storia è piena di eroi ufficiali e ufficiosi. La madre di Peppino Impastato, Felicia Bartolotta Impastato, è stata una protofemminista di fatto, in un contesto sociale difficilissimo (bellissimo il libro “Io, Felicia – Conversazioni con la madre di Peppino Impastato, a cura di Mari Albanese e Angelo Sicilia, Navarra 2021).
Anche il concetto di eroe, spesso, è usato impropriamente e in modo commerciale.
 

Le mie eroine nella storia. 
 
Le femministe, quelle conosciute e quelle sconosciute. Le scienziate, le filosofe, le educatrici, le politiche, le letterate che fino al Novecento non ricevevano spazio e rispetto (interessante, a tal riguardo, il saggio “Non per me sola” di Valeria Palumbo, Laterza Edizioni 2020). Le streghe messe al rogo perché curavano la gente con le erbe. La lista è lunghissima e dovrebbe rientrare, con urgenza e necessità, nei programmi scolastici.
 

La riforma che apprezzo di più. 
 
Il suffragio universale femminile e l’elettorato attivo e passivo per le donne, celebrati definitivamente con la promulgazione della Costituzione Italiana del 1948, con le relative implicazioni sociali e culturali, sono state tra le riforme a mio avviso più rilevanti. La legge n. 194 del 1978 sull’aborto e quella n. 898 del 1970 sul divorzio sono state conquiste dolorose quanto necessarie, e ciò è evidente dal fatto che tutt’oggi sono oggetto di dibattiti.
Più di recente, la conversione del decreto-legge n. 93 nella legge n. 119 del 2013, che riguarda il femminicidio, è un passo fondamentale per la tutela della donna e della società in generale.
Avendo una formazione giuridica, comprendo bene quanto sarebbero importanti alcune riforme implicanti molti aspetti del vivere comune, come quella a tutela della maternità e del lavoro femminile, quella a tutela dell’ambiente e degli animali, quella a tutela dell’infanzia e della senilità. C’è ancora molto da fare, in ottica nazionale e sovranazionale.
 

I miei nomi preferiti. 
 
Al concetto di nome dedico molta attenzione. Certamente amo il nome di mio figlio, Riccardo. Trovo peculiare che il proprio nome sia scelto da altri. Posseggo un nome vero, anagrafico, e un nome d’invenzione con cui mi conoscono tutti, da sempre. Questa dicotomia è molto particolare e ha importanti implicazioni emotive.
 

Quel che detesto più di tutto. 
 
La violenza, in tutte le sue forme. È una delle cause principali per cui mi infurio ma, nella mia incapacità di essere violenta, confrontarmi con l’aggressività altrui mi porta a vivere una tensione dilaniante e non sempre pacata.
 

Il dono di natura che vorrei avere. 
 
Ho una certa difficoltà a desiderare cose impossibili, preferisco concentrarmi su ciò che c’è e che si può implementare. Vorrei, ad ogni modo, essere fisicamente instancabile per fare ancora più cose.
 

Se avessi un milione di euro.
 
Un attico con veranda sul Tevere, vicino a Castel Sant’Angelo.
 

Come vorrei morire. 
 
Non voglio morire!
 

Stato attuale del mio animo. 
 
Riporto una poesia di Anne Sexton che amo molto, dal titolo “Frequentando gli angeli” (si trova in Poesie su Dio, a cura di Rosaria Lo Russo, Edizioni Le Lettere):

Ero stanca di essere donna, 
stanca di cucchiai e pentole, 
stanca di bocca e seni, 
stanca di cosmetici e sete. 
C’erano ancora uomini alla mia mensa, 
seduti in cerchio attorno alla coppa dell’offerta. 
La coppa era piena d’uva nera, 
e le mosche ci ronzavano attorno per l’odore, 
e venne anche mio padre in candida erezione. 
Ma io ero stanca del sesso delle cose. 
La notte scorsa ebbi un sogno, 
e gli dissi:
“…tu sei la soluzione, 
tu sopravvivrai a mio marito e a mio padre”. 
Nel sogno apparve una città di catene, 
dov’era messa a morte Giovanna vestita da uomo, 
e la natura degli angeli era inspiegabile, 
non c’erano due ad una maniera, 
uno aveva un naso e un altro un orecchio sulla mano, 
uno masticava una stella misurandone l’orbita, 
ognuno una poesia che obbedisce alle proprie leggi, 
svolgevano le funzioni di Dio, era un popolo a parte. 
“Tu sei la soluzione” dissi, ed entrai.
Giacqui alle porte della città. 
e fui messa in catene, 
e persi il buon sesso e l’aspetto finale. 
Avevo Adamo alla mia sinistra, 
ed Eva alla destra, 
entrambi in contrasto con il mondo razionale. 
Ci stringemmo le braccia, 
e cavalcammo sotto il sole. 
Non ero più donna, né nessun’altra cosa. 
O figlie di Gerusalemme, 
il Re mi ha condotto nella sua stanza. 
Nera è bello. 
Sono stata aperta e spogliata. 
Non ho né braccia né gambe. 
Sono in un’unica pelle come un pesce. 
Non sono più donna di quanto Cristo fu un uomo.
stanca di cucchiai e pentole, 
stanca di bocca e seni, 
stanca di cosmetici e sete. 
C’erano ancora uomini alla mia mensa, 
seduti in cerchio attorno alla coppa dell’offerta. 
La coppa era piena d’uva nera, 
e le mosche ci ronzavano attorno per l’odore, 
e venne anche mio padre in candida erezione. 
Ma io ero stanca del sesso delle cose. 
La notte scorsa ebbi un sogno, 
e gli dissi:
“…tu sei la soluzione, 
tu sopravvivrai a mio marito e a mio padre”. 
Nel sogno apparve una città di catene, 
dov’era messa a morte Giovanna vestita da uomo, 
e la natura degli angeli era inspiegabile, 
non c’erano due ad una maniera, 
uno aveva un naso e un altro un orecchio sulla mano, 
uno masticava una stella misurandone l’orbita, 
ognuno una poesia che obbedisce alle proprie leggi, 
svolgevano le funzioni di Dio, era un popolo a parte. 
“Tu sei la soluzione” dissi, ed entrai.
Giacqui alle porte della città. 
e fui messa in catene, 
e persi il buon sesso e l’aspetto finale. 
Avevo Adamo alla mia sinistra, 
ed Eva alla destra, 
entrambi in contrasto con il mondo razionale. 
Ci stringemmo le braccia, 
e cavalcammo sotto il sole. 
Non ero più donna, né nessun’altra cosa. 
O figlie di Gerusalemme, 
il Re mi ha condotto nella sua stanza. 
Nera è bello. 
Sono stata aperta e spogliata. 
Non ho né braccia né gambe. 
Sono in un’unica pelle come un pesce. 
Non sono più donna di quanto Cristo fu un uomo.
 
Parafrasando questo testo, ricco di una simbologia forte che adopera l’erotismo per trattare di antropologia e di politica, ciò che ultimamente provo spesso è una sensazione di estenuazione rispetto alle dinamiche intersoggettive che si disorientano in frizioni tra generi e all’interno di uno stesso genere, degenerando in un’indolenza imperdonabile e immotivata.
 

Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza.
 
Tendo a rintracciare la fragilità che si cela dietro ai difetti e alle incongruenze comportamentali e ideologiche mie e altrui. Ciò mi porta a essere tendenzialmente indulgente, nel tentativo di relativizzare i fatti e soggettivizzare le reazioni. Mi irrigidisco davanti alla carenza o alla mancanza di rispetto, al decisionismo sfrenato in assenza di dialogo, alle rimostranze violente e gratuite. In ogni caso, l’indulgenza mi è più istintiva verso gli altri che verso me stessa.
 
 
Il mio motto. 
 
In cat we trust.


[In alto, Arranging di Isabel Emrich]