martedì 12 luglio 2022

Diario de “L’albero” avellanita

Fonte Avellana, L’ALBERO

8-10 luglio 2022





Ho raccolto i miei pensieri per quella tre giorni di immersione totale, tra persone conosciute e mai incontrate, in quella cornice mistica del Monastero, tutti preparati su quell’unico soggetto, programmato da un anno: L’ALBERO.

Come sempre Alessandro riesce ad essere puntuale e a gestire queste circa 60 persone che intendono conoscersi e riconoscersi, che chiacchierano, si scambiano i convenevoli, titubanti sul come, “ti abbraccio?” “meglio di no”, “sì, sì, ne ho bisogno!”, “stiamo un po’ lontani”, e via discorrendo, ancora con le sirene delle ambulanze nelle orecchie, ancora con quel desiderio di uscire, di venir fuori da questa odiosa epidemia che ha separato anche gli affetti.

Siamo davvero tanti, qualcuno comincia a porsi domande del tipo “riusciremo a parlare tutti?”, ma Alessandro tranquillizza, come solo lui è capace di fare. Ci rassicura e ci chiede di essere puntuali e rispettosi verso chi ci dovrà seguire nelle presentazioni.

Comincia puntuale alle 15 di venerdì Tomaso Marazza: “l’argomento dell’albero, su internet, è il più vasto”. Ed è un susseguirsi di considerazioni che conducono a “ma cosa dice a noi l’albero?”.

Nel suo breve elenco ci comunica che l’albero è una condivisione degli alti e bassi della vita, come per esempio il salice piangente. L’albero come evocatore di sensazioni.

Segue il saluto di Dom Gianni Giacomelli che, dopo il benvenuto, ci stimola con una domanda: “qual è stato il vostro primo albero?”. Nei due giorni successivi tanti hanno risposto a questa domanda. Tra gli interventi, il mio è arrivato tra gli ultimi e me ne ero persino dimenticata. Dichiaro qui, ora, che il mio primo albero è stato un nespolo giapponese, insieme ad un albicocco e a due caki infruttiferi.

Luigino Bruni propone una visione dell’albero da un’altra prospettiva, quella economica. Si potrebbe partire dai due alberi dell’Eden, quello della Conoscenza del bene e del male e quello della Vita, tra loro ci sarà stata una cooperazione. Oggi siamo certi di questo: le piante dialogano tra loro, soprattutto tra specie uguali, partendo dalle foglie, una sorta di meccanismo digitale. L’albero non è gerarchico. Cosa succede in una comunità carismatica quando il socio fondatore muore? Dovrebbe passare da una conduzione animale ad una conduzione “vegetale”: ogni suo componente potrebbe avere un compito che va ad integrarsi con i compiti di tutti gli altri; inutile cercare un sostituto, sarà impossibile, c’è solo bisogno di una trasformazione, con la distribuzione dei centri vitali.

Natascia Ancarani ci spiega che la dimensione dell’anima è più vasta della psiche e che non sono i nostri stati d’animo a dare un’anima ad un luogo, ma piuttosto il luogo ci viene incontro e invita a fare un’esperienza.

“Tutto ciò che ci circonda è funzionale, cioè morto”. Cita Guerra e Pace, raccontando di un brano che richiama la sua esposizione e in questo modo rinnova l’importanza di una letteratura russa che si vuole a tutti i costi dimenticare, in questi nostri giorni tribolati.

C’è chi legge poesie, in endecasillabi, per esempio Davide Vallecchi, dal titolo Oltrepassato l’albero finale. Panorami dell’infanzia, degli alberi incontrati sul cammino.

Maela Bertazzo viene sostituita da Antonia Gualtiero, che legge un suo racconto “Dove il tronco è privo di corteccia”. Segue poi il suo intervento, alcune sue poesie che, dichiara, arrivano spontanee e improvvise.

David Aguzzi proietta l’immagine di un quadro di Frida Kahlo L’albero della speranza e descrive il disegno, la simbologia, tesse le lodi, come non bastassero mai, di questa donna che ha tanto sofferto, ma che ha fatto parlare molto di sé, scrittrice e pittrice eccelsa. 

Non riuscirò a scrivere di tutti, forse mi limiterò ad un mero elenco, ma ad un certo momento, gli interventi erano così pregnanti che la mia attenzione è stata completamente assorbita e ho necessariamente accantonato l’idea di scriverne, tanto era il desiderio di comprendere fino in fondo ciò che ci veniva comunicato.

Monica Fabbri ci ha letto Piccoli alberi crescono, poi Alberto Fraccacreta ha citato Philippe Jaccottet, poeta che ha narrato gli alberi ed era così schivo e umile da dichiarare: “più invecchio e più cresco in ignoranza”, frase che ho memorizzato e che faccio mia.

Un intervento che mi ha particolarmente colpita è quello di Subhaga Gaetano Failla. Cominciato dolcemente, ci ha condotti alla comprensione di un grave torto che ha subito l’umanità, in special modo noi italiani. Le sue motivazioni sono tali e tante che è impossibile non dargli ragione. Questa epidemia, dall’origine ancora incerta, ha lasciato profonde ferite tra le persone, non solo fisiche. Il termine “green pass”, secondo lui, è più corretto se scritto “greed pass”, avidità di corpi umani.

È la volta di un entusiasta degli alberi, tanto da arrampicarcisi ovunque, in tutto il mondo, persino oggi, all’età di 72 anni, senza timore, con reverenza, con affetto. Cesare Sartori ha illustrato tutto il suo percorso tra i giganti verdi e ha classificato certi alberi che gli suggerivano gli stati d’animo.

I gelsi sono gli alberi della solitudine; i carpini neri quelli dell’amicizia; i tigli e gli aceri sono gli alberi dell’impegno sociale e solidale, mentre il faggio australe è l’albero dell’avventura, infine l’ulivo che è l’albero dell’amore. Curioso e lodevole tutto il suo percorso, anche per l’impegno sociale.

Fabio Cecchi ci parla della poesia e storia della poesia in John Claire e Marceline Desbordes.

Poi è la volta di Caterina Trombetti che dichiara tutta la sua gioia per questi incontri annuali che la fanno sentire tra simili. Lei, amica di Mario Luzi, col quale ha collaborato a lungo, ha imparato ad apprezzare questi incontri che consentono a tanti amanti della letteratura di confrontarsi. Legge una sua poesia Un albero a febbraio.

L’interveto di Stefano Martello verte a suoi ricordi, momenti che ha fissato nella memoria e che ha elencato e raccontato elencando questi quattro punti fondamentali, che ricordano altrettante figure importanti della sua vita:

  1.  L’uomo dei boschi
  2.  La donna delle lettere
  3.  L’uomo dagli occhi verdi
  4.  La donna del sorriso e della risata

Queste figure hanno dato, di volta in volta, nella sua vita, un cambiamento importante, percepito in seguito, ma che ha contribuito alla sua formazione adulta.

Mirca Carrozzo dichiara che l’abete bianco è il suo albero, il confidente e legge suoi brani.

Salvatore Ritrovato, per poter introdurre il suo intervento, ha perimetrato gli stimoli sul tema e ha citato Arboreto salvatico di Mario Rigoni Stern, spiegando che non è silvatico, né selvatico, ma salvatico per un motivo ben preciso. Cita film e autori importanti, come Primo Levi e uomini che hanno lasciato un’impronta nella storia degli alberi, anche se inascoltati, come Chico Mendez. Graziella Sidoli, oltre a parlare del suo libro Il male dei tigli, coinvolge i presenti nella lettura di alcune poesie, creando un momento di scambio tra di noi.

Massimo Pulini, ex assessore di Rimini, illustra, anche con proiezioni, l’opera meravigliosa di Marilena Pistoia, che ebbe la fortuna di conoscere e con la quale condivise l’impegno lavorativo. È la volta di un intervento singolare: una famiglia si mette in gioco leggendo le caratteristiche di diversi alberi: quello genealogico, quello di Pitagora, quello della pace, il caki, che è alto, ha una bella chioma, non è invaso da parassiti e tra i suoi rami nidificano diverse specie, le foglie sono decorative e quando marciscono nel terreno diventano un ottimo concime naturale, mentre se bruciato, il legno, sprigiona un buon aroma.Nell’elencazione partecipano mamma Silvia, papà Mirco e Andrea.

“Come un albero”, similitudini, di Gianni Iasimone e poi Antonella Giacon che ha proiettato opere di bambini, dei quali è insegnante, sull’argomento alberi.

E che dire dell’Albero di Lorenzo? Gianni Criveller ci mostra il suo albero genealogico, risalente al 1500, che si materializza in un albero vero dedicato al padre, intorno al quale, ci racconta, ogni anno si riunisce tutta la sua numerosa famiglia. Durante l’epidemia, costretto coi suoi seminaristi alla quarantena in seminario, decide di dedicare a Etty Hillesum l’albero al centro del cortile, L’albero di Etty.

Nino di Paolo, lombardo, impegnato nel sociale quale amministratore, ci spiega che la vita che nasce è ben rappresentata dall’albero, che prosegue nella sua riproduzione attraverso i rami, mentre le radici affondano ancora in quel brodo primordiale che le ha viste generarsi.

Un invito a tornare al canto da Gianpaolo Anderlini, intima essenza di ogni vita e ogni cosa. L’uomo deve imparare dall’albero e il suo primo albero è il melograno.

Giorgio Iacomucci racconta che il verde è la speranza e che ha realizzato un giardino in nome della compagna scomparsa, Daniela Marcolini; di questa esperienza racconta nel suo libro Un giardino per Daniela.

E seguono Giorgio Pisano, sacerdote, racconta e illustra i simboli del pellegrino: la bisaccia e il bastone. Mettersi in cammino vuol dire aprirsi al mondo, aprire la mente, altrimenti si rischia di diventare campanilisti, nazionalisti e razzisti.

“La meta è partire”. Cita l’amarezza di Primo Levi in Se questo è un uomo, dove si può leggere: “voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case…”.

Altri importanti interventi dei quali mi sono gustata la narrazione senza prendere appunti, come quello del Priore Gianni Giacomelli. Le letture di Silvia Favaretto e Cristina Bovolenta in “Floema Poema”, o le splendide citazioni di Massimiliano Bardotti e Gregorio Iacopini. Che dire delle sempre spassose performance di Roberto Battestini che cerca, con l’ironia di guarire ancora vecchie ferite. 

La domenica è giunta in fretta e mi ha fatto conoscere Sergio Fabbri, discreto e un po’ schivo, che ha raccontato qualcosa sulla sua recente conversione, rimandando ad un librino da lui pubblicato volutamente senza l’autore in copertina. E ancora Manuel Cohen con la sua saggistica poetica e alcune letture in italiano e in dialetto campano. Alessandro ha coinvolto Gregorio per leggere L’albero dolomitico, una delle sue ultime poesie. 

Io stessa, tra tanti interventi ricchi e importanti, ho esposto il mio, sempre timorosa di rubare tempo agli altri, spero sia stato apprezzato. Il mio rammarico per non aver potuto ascoltare nel pomeriggio di domenica l’intervento di Andrea Parato e infine quello di Claudio Fraticelli, che sicuramente leggerò dall’antologia, pronta a breve dal nostro Alessandro.

Mi scuso se ho dimenticato qualcuno o qualcosa di importante, come, per esempio, il balletto del Tempo favorevole dedicato al Verde e alla natura e la bella mostra di opere realizzate in argilla da Lorena Tiezzi ed esposte nella sala di accesso allo scriptorium.

Un grazie di cuore a tutti per la splendida esperienza. Aspetto il titolo del prossimo anno. [È stato scelto quello proposto da Silvia, Mirco e Andrea: Fonte/Sorgente, nde]


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