Cos’hai fatto Dante,
cos’hai fatto Dante,
cos’hai fatto
Dante?
Questo mi chiedo
dal giorno in cui
divenni persona.
Non una risposta,
solo un seguito di giorni
più o meno bislacchi
tremanti
nella quiete apparente.
Fui lo stacco dei ghiacci
precipitati a primavera,
la rovina dei boschi,
la muffa
d’un muro maestro
malato.
Un vuoto camminare
di passi senza passi,
tanti boschi lontano
da un cielo
che sapevo essere solo,
lassù,
oltre le vette dei monti.
Non è più un canto
il querulo della poiana
e nemmeno dicembre
ha il sapore del bianco,
del Bambino che nasce.
Quante volte,
ho camminato
i sentieri del vero?
Quante
mi sono fatto vento
e mani nelle mani
ho atteso
il passare della tempesta?
Anche oggi mi chiedo:
cos’hai fatto Dante,
cos’hai fatto?
C’era la neve
sotto le piante nude
e l’inverno soffiava
tutto il dolore
riposto
nel tronco d’ulivo.
Non sapevo
del pianto celato.
Passai oltre,
senza fermarmi un istante
e pensare a quello sfacelo.
Nelle urla di Roma
capii l’inizio e la fine
senza sentire
l’aurora dei giorni
che stavano in mezzo.
Tempo senza tempo,
essere senza essere,
Re senza Regina.
Tra le acacie
refoli osceni,
odore di terra,
di miele e voli d’api
dopo i tuoni
a primavera.
Tutto questo c’era,
senza capire che in fondo
non tutto era perduto.
Ho calpestato
pavimenti precari,
vacillato
dai monti alla pianura.
In alto il cuore.
Nella casa dell’amico fedele
il fuoco sicuro
illuminava la luna
che lieve svelava
il profilo
del monte Pastello.
Furono giorni
d’angoscia e bonaccia,
una piccola croce portata
con l’aiuto d’un cireneo
conosciuto
nella vigna di giugno.
Non posso morire per l’uomo,
devo vivere per l’Uomo
e non sia l’abbandono
motivo di gelo.
Passerò oltre le ombre
settanta volte sette.
Senza rancore.
Torneremo a danzare
come contadini nei campi
dopo la tempesta.
Acini maturi
per il vino nuovo
d’ottobre.
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