Mario Fresa |
Su Pangea, un saggio di Vincenzo Gambardella, Siamo carnivora felicità, dedicato alla scrittura poetica di Mario Fresa: «Ecco la bellezza del darsi, di dire una parola armoniosa, nel pieno dei nostri tempi, imbozzolati nella paura di dire e di vivere. Leggo subito Bestia divina, lo divoro per non lasciarmelo scappare. Di Mario Fresa sorprende la compattezza dell’opera, del linguaggio, pur nell’estrema varietà dei registri, e la sicurezza dell’uso che ne fa, che non è mai frutto di tentativi, bensì di consapevolezza espressiva. Il dettato è limpido sebbene misterioso, grondante ubbidienza, nella tensione che serve l’ascolto al verso, la precisione della sua musica; forma che si torce per dire il vero, il senso della parola-abisso, il senso novecentesco della parola nascosta, ardua, che forse indica un’offerta di sé, giacché, scrive il poeta: “La buona notte è degli altri e mica tua”; oppure nelle tenebre della poesia si compie un sacrificio? “Anzi si spacca sul vetro fino, diresti, / a non essere più”. Come per essere solo quello che porta il peso della poesia, che regge il corpo di un malato grave, che non si tiene più in piedi, e il poeta desidera portarlo alla fine, condurlo alla salvezza (già, la salvezza!, ce l’eravamo dimenticata). Troia è in fiamme, Enea si carica sulle spalle il padre Anchise, sebbene sia vecchio, cieco, malandato e: “Lo ricorda perfino il medico, / scuotendo la sua coda: non può mica migliorare”»….
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