giovedì 16 giugno 2016

Massimiliano Bardotti: Siamo sempre stati noi


http://farapoesia.blogspot.it/2016/05/gli-specchi-critici-il-beat-toscano-di.html

in AA.VV., 2016. La luminosità dell’ombra, Fara Editore
 

recensione di Vincenzo D'Alessio

Spero di avere qualche lettore che approvi, con me, il tempo di leggere questi fogli di belle Antologie della Casa Editrice Fara, dove approdano le voci sempre nuove e diverse dei poeti, scrittori, critici, musicisti contemporanei.
Proprio a quest’ultima categoria di blues man appartiene Massimiliano Bardotti qui inserito vincente con la raccolta poetica  Siamo sempre stati noi (pp.189-198). Un poema in versi lungo le rive del misterioso fiume dell’esistenza. Un soul man che ha vissuto con spensierata forza centripeta la bella gioventù ed oggi la canta alle generazioni del presente, con l’invito a sostare sulle corde del suo fantastico banjo.
La giovinezza dona le energie per raccontare alle generazioni contemporanee: “Abbiamo fabbricato il futuro senza usare le mani. Il / pensiero prigione rivolto al domani.” 

La sequenza degli anni della ripresa economica, che in Italia corrispondono alla fine degli anni Sessanta inizi anni Ottanta, ha significato: “(…) E la vita viveva in ogni angolo dell’Universo, anche una / sedia emana di sé…” 
Chi ha vissuto quegli anni, come il Nostro, ha raccolto tutta l’emozione dei sentimenti trasferendola in energia vitale: “(…) Si piangeva gioia e si rideva dolore / era sempre nulla di serio / lacrime d’acqua dolce”. In quel divenire musicale, dove i sogni erano reali: “(…) E non c’erano giorni che non potevano succedere / non c’erano lavori che non sapevi fare / solo non volevi.”
L’anafora “non”, presente in tutto il poema della gioventù, vuole indicarci il Nord della bussola chiamata vita. La ripetizione voluta per esorcizzare gli errori compiuti lungo la strada già fatta e indicare a se stessi, a chi legge i versi, che l’economia spezza le corde dello strumento : “(…) Credevamo a una gloria che aveva per nome / successo, fama, denaro.”
Molti miti di quegli anni sono crollati di fronte alle pulsioni del sopravvivere ai tempi successivi: “(…) A stento mi sento vivo. / (…) Poi torneremo a usare parole di Nietzsche / scoprire Schopenhauer Spinoza / e leggere Jung una volta per tutte / benedire Sabina Spielrein / compatire chi l’ha dimenticata./ Torneremo di nuovo a sperare / amare chi non ci conosce / avremo ancora una volta il coraggio di dirci poeti / guardandoci in faccia.”
L’ironia di oggi, contrapposta alla serenità di allora, regna nei versi come un ritornello, non un rimpianto ma la consapevolezza che quanto si poteva fare è stato fatto, quanto si poteva cambiare si è tentato di farlo: “(…) E c’erano ragazze con le gambe scoperte / gli occhi profondi / ferite che non volevi pulire. / (…) i pescatori tornavano a casa / la tristezza conosceva quei volti.” 

Sono soltanto due degli aspetti famigliari al poeta ripresi dalla memoria e confrontati con l’oggi.
Il passato rivisto come una pellicola in bianco e nero alla luce del colore della maturità risulta in alcuni tratti scolorita, diviene un mito, un rincorrere fantasmi di tempi che non durano se non nella mente nostra, protagonisti o comparse dietro una pirandelliana maschera anonima.
Una ballata stupendamente tenuta in armonia dall’enjambement che fa da padrone insieme ad un’appropriata rima saltellante per addolcire il suono della parola/ verso ben conosciuta: “(…) Dio ti manca oggi per paura / e ti chiedi se sei ancora in tempo / a inventarti una fede su misura. / Se vuoi ti accolgo fra le braccia mie di uomo / e ti offro la sola cosa che ho imparato: / Se cominci ad amare Dio, sei da Dio amato.”
I versi di Bardotti sono visceralmente sinceri, svuotano i simulacri del lontano Novecento che non è stato soltanto di formazione interiore ma anche di immense sofferenze nascoste in un altrove senza tempo: “(…) Ai nostri padri aggrappati siamo ancora / loro lottano oramai con innocenza/ sanno in fondo più di chiunque altro / che a chieder grazia otterrebbero rimorsi.”
Risento in questo passaggio bellissima la voce di un giovane poeta meridionale spentasi troppo presto. Ma si sa che i grandi quasi sempre muoiono giovani. La voce è quella di Rocco SCOTELLARO, oggi poeta nazionale per i temi trattati, grazie all’energia meridiana dello scrittore Paolo Saggese & fratelli, che nella poesia I padri della terra se ci sentono cantare annuncia la verità ripresa anche da Massimiliano Bardotti: “(…) Ma così non si piegano gli eroi / con la nostra canzone scellerata. / Nei padri il broncio dura così a lungo. / Ci cacceranno domani dalla patria, / essi sanno aspettare / il giorno del giudizio.”
Il Nostro, dopo aver posto all’inizio della raccolta la dedica agli amici di quel tempo ci pone di fronte alla sua scelta di cambiamento che si confronta con il reale vivendo: “(…) Ora colmi di una nuova commozione / guardiamo il giorno crescere dal basso / e la vita ci par bella.”

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