mercoledì 29 maggio 2013

Sulla silloge di Mariangela Ruggiu in Scelte vincenti

a cura di A. Ramberti, FaraEditore, 2013

recensione di Vincenzo D’Alessio



Al di sopra della miriade di sofferenze, sparse nel nostro contemporaneo, ci sono voci poetiche che si nutrono di profonda speranza. È un bene che ci siano,per non perdere definitivamente la rotta che in passato prevedeva la fine della Poesia. La Poesia è viva e vera:  nei versi, nelle poetiche, nelle raccolte. Dobbiamo molto alle poetesse, che già dal secolo scorso, hanno tracciato solchi che oggi accolgono nuovi filoni e vive contaminazioni.


La raccolta Mi hai lasciato uno scrigno di parole, della poetessa Mariangela Ruggiu, inclusa nell’antologia Scelte vincenti, compie questa congiunzione traghettando l’armonia della poesia del Novecento nelle sue composizioni recenti. Vibra nell’intera raccolta una musicalità che riprende motivi stilistici, uso dell’enjambement, delle similitudini, delle sinestesie, delle metafore, degli irrisolti interrogativi,  appartenuti anche a poetesse come Alda Merini. Nella poesia SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), che apre la raccolta la Nostra, scrive: “Dio, ti parlo con gli occhi che diventano / questa voce stridula che non mi appartiene / dimmi di questa vita, qual è la vita” (pag. 207). Scriveva la poetessa Alda Merini: “Padre, se scrivere è una colpa / perché Dio mi ha dato la parola / per parlare con trepidi linguaggi / d’amore a chi mi ascolta?” (da Ballate non pagate, Mondadori, 1995).

La figura del padre, dell’appartenenza ad un inzio, respira forte all’interno della poetica della Ruggiu: “Passa il tempo e non mi sei mancato / (…) perché mi hai riempito così tanto di te / nei gesti, nei pensieri, negli odori / che ancora non sono arrivata ai ricordi” (da  Padre, pag. 213), come legame sincretico con la propria terra, le tradizioni, le risorse sotterranee: tradite, impoverite, incenerite, dalla furia devastatrice dell’avere, degli uomini: “Pane, vino, carbone li puoi comprare / (…) polvere sottile di guerra che corrode da dentro, / ruggine nelle speranze tradite” (da Mio padre, pag. 217). C’è, nello sviluppo della raccolta, un racconto doloroso, uno sviluppo nel  presente proteso a esorcizzare il tempo che viene, che verrà, che apparentemente è vittima dell’ingiuria degli uomini: “Venne un giorno / che le parole di tutte le poesie caddero all’improvviso / e andarono in frantumi come bicchieri di cristallo, / (…) La disperazione, l’ingiustizia, la fame, / la violenza non si scomposero, / da sempre fanno a meno delle parole” (da Venne un  giorno, pag. 209).

Gli interrogativi sono tanti, e si dispongono agli occhi del lettore come sguardi lanciati nelle varie direzioni alla ricerca delle certezze, della possibilità di colmare desideri: “ quando vorrei una coperta calda di pioggia,/(…) o l’abbraccio di un silenzio senza domande” (da Inverno, pag. 208). La poesia non offre risposte concrete alla realtà fatta di sofferenze; aiuta a difendere “la bambina”, più volte richiamata dalla Nostra, aiuta a preservare il sogno da raggiungere, anche se fa esclamare alla Ruggiu: “La poesia, che verbo inutile!” (da Metto un punto, pag. 212). Sono convinto, come scrive di sé la poetessa, che: “le poesie, una volta scritte, diventino autonome dal loro autore, per questo sono felice di lasciarle qui, perché vadano da sole” (pag. 225).

Bella e completa è la considerazione che dà dell’intera raccolta della Nostra la componente della Giuria del Premio Pubblica con noi 2013, la poetessa Teresa Armenti: “Sono tanti i punti interrogativi che attendono risposte. E bisogna fare i conti con i sorrisi di circostanza, di compatimento, mentre si coltiva il dolore indeclinabile, compagno inseparabile di una vita” (pag. 18).

Ma è proprio per la forza sincera della Poesia; per l’inviolabile valore della parola poetica, che la voce di una poetessa diventa il coro capace di superare la precarietà dolorosa dell’umano, traghettando  l’anelito della vita verso “lo scrigno” dove trovare parole che diano “un colore per gli occhi” desiderosi di sogni.


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