Edizioni L'Arca Felice, 2010, con una litografia di Massimo Dagnino
nota di lettura di AR
Il dettato poetico di Matteo Zattoni è caratterizzato da un nitore espressivo e dialogante (l'interlocutore è in primis il nonno, scomparso eppure presente), da una intelligenza del verso che si insinua con efficace nonchalance nelle giunture del vivere, nelle articolazioni dell'anima: «conosci i nomi di piane / e fiori e di quali animali fidarti / non puoi, nella valle / non puoi perderti / avevi l'astuzia del ragazzino / di collegio che coi fucili / bombarde e quelle mitragliatrici / lassù sulla Bainsizza / aveva un grosso debito / inestinguibile» (p. 7); «(Chiudi gli occhi e ricorda / difendi il tuo cuore / con la memoria: la pendenza / di una salita e il podere / che campariva recintato: le sedie / i cani, il prato con l'erba appena tagliata, la tua / terra promessa è là, intatta.)» (p. 11). C'è una nostalgia che è coscienza di una storia, di essere grazie a chi ci ha preceduto, alla loro testimonanianza, alla loro saggezza concreta, al loro vivere in armonia con la natura (dell'Appennino) che è mutevole (transitorio) specchio o cappara di una bellezza misteriosa: «Vergine fedele / prega per lui / prega per Cicci / prega per noi / peccatori e dicci: / dove andarà a finire / il giallo delle giunchiglie / che inseguono il vento? // (le pendici e i calanchi / mentre scendiamo / sono accecanti / promesse vegetali…)» (p. 12).
Una plaquette dal timbro bucolico, ma declinato al presente: «la tua camera sono tre scatole / di tic tac, la foto dell'amata / nonna, la madonna degna d'amore» (p. 5).
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