giovedì 17 luglio 2008

io (alla deriva) nello specchio poetico


recensione di Emilia Dente

… amo e odio gli specchi, li cerco, li attraverso, veli lucenti li indosso, in essi raccolgo il mio pensiero liquido e la mia poca verità. Lo sa Alessandro Ramberti che si è specchiato nei miei occhi nel breve incrocio dei nostri passi, conosce Alessandro la mia passione e il mio tormento per il riflesso specchiato e l’amichevole e provocatorio omaggio di questo Specchio poetico ha la pericolosità e il fascino di una rete sottile tesa all’agguato… mi piacciono le sfide… imbraccio la mia sacca da viaggio – dentro solo poco pane e la voglia di ascoltare – e mi imbarco sul mio malconcio vascello di emozioni (non c’è spazio – non in questo naufragio – per armi affilate e strumentazioni complesse, nemmeno una bussola per orientare la rotta, nulla, solo il nulla a cui aggrappare brandelli di pensieri) alla deriva tra onde increspate di sentimenti e parole, silenziosamente alla deriva in un oceano blu notte.
Sulla tela dei marosi dipinti di vita, chiudo gli occhi assaporando i pensieri, mi invade la sensazione dell’acqua che inabissa la mente tra i volteggi e le contorsioni di trame poetiche vicine e distanti nelle intenzioni programmatiche (quando e dove ci sono programmi), nei percorsi lirici, nelle scelte metriche; testi, frammenti ricamati su tessuti esperenziali differenti, a volte antitetici, verbi estranei che si incontrano e scontrano in dimensioni lontane in cui il diverso non esiste e l’abbraccio dell’essere avvolge e riscalda tutti nel tepore della poesia.
… alla deriva… nel silenzio rivoli caldi fluiscono dai versi di Andrea Parato e mi lascio lambire, compagna nell’ombra di una stanza bianca dove la terapia del dolore brucia la mente e il cuore sussurrando la verità del pianto nell’urlo muto della poesia… è eco lontano e conforto la voce di Daniele Botturail solo modo di fare pace col passato è scrivere, che sembra essere il solo modo per parlare –. È lunga la terapia del dolore, attraversa i nodi delle stagioni e le camere del buio inseguendo la morte, scrutandola nel tumulto dei sensi, duellando con lei per ri-avere la vita… e la vita, col suo frastuono, con il suo disperato bisogno di presenziare il tempo mi travolge, cavallone inaspettato e potente, dai versi liberi ed inquieti di Carmine De Falco che vaga sicuro in intricati labirinti lirici seminando parole e schegge appuntite di vita e realtà che feriscono il lettore, lo lasciano stordito sul baratro dell’oltre... incalza furioso il vento e mi trascina tra gli scogli ruvidi dei versi di Paolo Fichera in insidiose acque verdi, torbido il fondo nella verità delle pietre e vivo come coltre di cenere che cova semi di fuoco… sulle labbra corallo lasciano un sapore salmastro le riflessioni stillate dal Romanzo di Adriano Padua nel riflesso forte di un dialogo specchiato tra l’uomo e il poeta alla ricerca dell’essere vita… nuda, prepotentemente sanguigna mi avvince la carnalità di Paola Castagna che, nella sua esasperata necessaria autenticità femminile racconta l’unicità e la contraddittorietà dell’io e dei sentimenti. Ammiro il suo indomito coraggio tra i flutti dell’essere. Navighiamo, naufraghiamo, troviamo riparo, Paola ed io nelle acque calde del “placido mare” di Davide Romano che imbavaglia la luce nella tessitura armoniosa dei versi, laddove nemmeno la sofferenza e la rabbia che squarciano la tela dei ricordi macchiano la serenità del cielo azzurro che l’uomo e il poeta sanno dipingere… tumulto… ancora tumulto di parole e passione, un salto improvviso, un tonfo, sull’orlo di alte cascate, trascinata ancora dal bagliore volubile della versatilità poetica ed esistenziale, un attimo, un alito di vento, si infrange lo specchio e la parete lucente si incrina nel groviglio di sillabe e pensieri di Pietro Pancamo che con le parole, seriamente divertito, ci gioca, costruendo e distruggendo il suo l(')abile castello di emozioni. È il sincero inganno del giocoliere il suo poetare ma nella parata dei versi con la poesia no, non ci gioca, e al lettore che non si lascia fuorviare dalla sua ironica giostra con(sonantica) offre gemme colorate di speranza… con lui a braccetto, su sentieri di lettere smarrite, immagino Daniele Bottura che, con la saggia leggerezza del dire aforistico, ci racconta e si racconta la vita. Io, cauta li seguo da lontano, arenandomi a tratti nella sabbia fine e profonda dei loro pensieri.

Nell’alchimia misteriosa dell’incontro, nei colori accesi del ricamo che le mani esperte dell’editore-ricamatore hanno saputo fecondamene intrecciare, al fondo, nella deformità e nella trasparenza della fragile parete dei sensi, si incarna il riflesso luminoso che è poesia.

Montefusco, 13 luglio 2008

Nessun commento: