Recensione di Nicola Vacca pubblicata in nicolavacca.splinder.com
In questi tempi caotici il poeta deve saper leggere le cose del mondo. Lo scrittore di versi ha il dovere di tuffarsi nella vita vissuta per chiedere conto alla realtà di tutti i dilemmi dell’essere.
Stefano Bianchi si interroga con ironia sulla quotidianità, entrando con la schiettezza della parola nuda nel mondo malfermo delle relazioni umane, sempre minacciate da una precarietà che disarma.
Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d’inverno (Fara Editore pagine 52, 9 euro) è il suo nuovo libro che consiglio vivamente di leggere a tutti coloro che hanno un rapporto embrionale con la poesia.
Stefano attraversa il vissuto con una rara naturalezza di poeta che spiazza il lettore. La sua poesia funziona. Noi che la leggiamo siamo da subito parte integrante di quel vissuto che il poeta fotografa, non smettendo mai di essere guardiano interiore dei fatti, della realtà e di quell’essere tempo che scorre.
Mi piace moltissimo la poesia di Stefano Bianchi perché egli sa sporcarsi le mani con la vita. Nasce da questa commistione con un quotidiano fatto di persone e sentimenti l’autenticità di Stefano Bianchi che scrive versi umani troppo umani per inventare gli stati d’animo che ognuno di noi prova nella vita che siamo costretti a consumare per sopravvivere. «Il mattino mi sveglia, / il lavoro le altre cose mi chiamano / di corsa coi compagni / dell’usato sogno / che da sempre ci imprigiona».
La parola per il nostro poeta è il modo più efficace per fare i conti con la sostanza dei giorni che viviamo.
Bianchi invita i suoi simili ad aprire gli occhi sulla vita vissuta. Perché se dimentichiamo che siamo fatti di ricordi e di memoria, il nostro presente non ci dirà mai realmente chi siamo e chi saremo.
Se il grande Ungaretti ci diceva che la morte si sconta vivendo, Stefano Bianchi ci racconta che soltanto la semplicità di un gesto potrà condurci alla salvezza.
Nessun commento:
Posta un commento