mercoledì 5 giugno 2024

“le ore in curva dentro il tempo”

Nadia Maurizia Scappini, sul fianco del mattino, poesie 2003-2023, peQuod 2024, collana Portosepolto, volume a cura di Luca Pizzolitto


recensione di AR


I veri poeti hanno la capacità di incurvare il tempo (il titolo di questa recensione è tratto da parole piccole, p. 44) di rendere presenti i ricordi, di “avvicinare” il futuro  come i profeti, di scansionare la realtà applicando la logica quantistica dell’
entanglement. Nadia registra con cura in questa autoantologia i sommovimenti di una vita, canta quelle celiane svolte di respiro (“annodo i capelli come la parola in una svolta di respiro”, ivi) che sono le pietre miliari di ogni percorso di vita. Si tratta di quei fatti, di quegli accadimenti che lasciano una traccia indefettibile di sé non tanto e non solo nel momento in cui li ricordiamo, ma proprio nei recessi insondabili del nostro inconscio a cui può accedere, per canali misteriosi, giusto la poesia: “vedi è tutta qui la vita nell’odore di un ricordo” (p. 32). Essi lasciano comunque, anche a distanza di anni, segni corporali (cicatrici, rughe, capelli bianchi, piccole o grandi patologie…) che rivelano quanto anima, spirito e corpo siano, nell’essere umano, profondamente interconnessi: “quelle madri di montagna   ora che non hanno più denti  dentro le rughe conservano le stanze della gioia” (p. 38); “la (mia) carne è ricordo smisurato” (p. 17).

Nadia ci fa viaggiare assieme a lei con discrezione e onestà. Le sue parole, per lo più disposte in paragrafi elegantemente ritmati (lo stile mi rimanda a quello narrativo ma costellato di endecasillabi, settenari e altri metri, di Silvio D’Arzo) risultano così necessarie, intense, belle; sanno respirare “dentro il silenzio origine perché è lì che accadono le cose” (p. 48); ritrovano “la nonna silenziosa e bianca come una candela” (p. 51); “poesia, preghiera e profezia sono per me sorelle che ritrovo felici complici e compagne nel silenzio e nella solitudine”, confessa nella Nota conclusiva (p. 124); afferma che “in una curva di pensiero. c’è una bellezza della pazienza che ci unisce per un attimo” (p. 120); dichiara al compagno di vita “ci sei per abitare insieme dentro al mondo   la carezza lunga dell’amore. (…) È stare insieme che ci rende interi” (p. 104); desidera “curvare le parole verso un altrove” (p. 90); dedica a Renato Serra immagini potenti sulla guerra “è la pelle che parla non so più toccarmi   s’è sfatta mi sono sfatto. non so raccogliermi contenere le viscere schizzate nel cervello  nessuna cellula ritrova il posto dove sostare anche lo scroto è fatto bianco di paura. (…)  cado     insieme al sacco che sono diventato  giacere nella morte – questo vorrei” (p. 81); si appresta ad affrontare la “Sirena oscura” recitando le avemaria “come nel primo banco della chiesa da bambina frenando nell’incenso i tonfi del cuore.” (p. 61); e se un tempo pretendeva “la felicità. ora che ho smesso essa mi incalza a sorpresa” (p. 56).

Fra i compagni di viaggio (di prim’ordine) che Nadia menziona nella Nota finale, mi urge condividere la citazione di Pierre Teilhard de Chardin (“Tutto quel che ascende converge”) a cui Sufjan Stevens si è recentemente ispirato per questa struggente canzone

Consiglio di leggere “in anticipo” la splendida postfazione di Franca Alaimo che fornisce una miniera di spunti per calarsi con maggiore consapevolezza in questo libro pulsante di versi-vita.

Nessun commento: