lunedì 18 aprile 2022

«… un divieto invecchia? Si indebolisce o si rafforza? Si adegua ai tempi?»

Giuseppe Moscati, In bocca al gufo. Racconti brevi e brevissimi e qualche haiku
Prefazione di Sergio Givone
Postfazione di Francesco Pullia
Illustrazioni in copertina e nel libro di Marina Annie, Albachiara Rose e Gabriele Moscati
Mimesis 2022, pp. 168, € 14,00

recensione di AR


Una narrazione ironica, stuzzicante e piacevole caratterizza queste fiabe che ci rendono animali certi animali perlopiù bistrattati come ad es. le cimici dell’omonimo racconto (p. 56) o il ratto eroe Magawa (p.40) o magari oggetti buttati via come il “Nastro al sole” (p. 114), o strumenti d’uso come “Un giravite piuttosto alterato” (p. 137) e la “Temperata” che può dire: «Io l’anima me la porto sempre appresso» (p. 146).

Queste storie ci rivelano con amabile leggerezza la capacità di empatia dell’uomo e al contempo non ci nascondono i nostri difetti, le ipocrisie, gli atteggiamenti violenti e aggressivi nei confronti del prossimo e del creato che possono arrivare a torturare orsi per ricavarne bile (p. 76) mentre nel mondo animale «manca il bisogno di autogiustificazione che mi pare abbia il violento per sopportare, dentro di sé, il pensiero e la consapevolezza di quello che ha fatto o sta facendo o sta per fare» dice una cagnolina a p. 33. 

La penna di Giuseppe Moscati è ricca di fantasia, curiosità e di filosofia come possiamo verificare in più luoghi; qui ricordiamo la microstoria a p. 92 intitolata “Quasi una bufera” o quella più ampia – “Dal legno al cuore” – in cui troviamo questa splendida domanda (p. 99): «Ma l’anima è il prezzo della libertà o è la libertà?» o ancora ci piace fare riferimento a “La ricerca del treno” (126): «… può esserci una vita senza senso (qualcosa ho imparato dall’esperienza), ma non può darsi una qualche realtà senza vita». Questo sguardo dell’autore che ritrova in sé il fanciullino ci ammalia perché è capace di leggere la quotidianità con occhi creativi (cfr. ”In cammino, pp. 129-30): «… questa via e i piedi del vecchietto erano un tutt’uno. Si aveva l’impressione che l’una ci fosse in subordine agli altri, come se quei piedi avessero inventato di sana pianta (dei piedi, appunto) quel brecciolino.»    

Ci lasciamo con un haiku tratto dalla sezione finale del libro (p. 156): «Occhi di bimba / posati su un fiore / cambiano colore.»

PS Le domande del titolo di questa recensione sono tratte da “Il divieto e il lanario” (p. 27).

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