domenica 31 gennaio 2021

’O sogno e’ nu space luntan

Carmine De Falco, Meduse di Dohrn, Bertonieditore, ottobre 2020, pp. 118)

recensione di AR




Italiano, inglese, napoletano e tocchi di francese e danese si mescolano, a volte, in questo libro, quasi a performare la frammentazione affettiva, mentale e sociale di questa nostra epoca. Pur l’autore dichiarando  trattarsi di “un’opera interamente Covid.free, che si è stratificata negli anni (…) fino al termine dell’anno 2019” (Ringraziamenti, p. 117), vi troviamo considerazioni e “rappresentazioni” che preannunciano con poetica incisività il periodo che stiamo vivendo: “Sarà colpa di questo smartphone che non rimbalza e che hai rotto / e che rimanda radiazioni cosmiche e riempie di dolore la testa. / (…) / O sarà per l’impossibilità del controllo, questo aver delegato / l’esperienza con la sfiducia / Sarà che dovremmo tornare allo scorrere del tempo medievale, / liberarci dai progetti, volgere i passi a un pellegrinaggio più lungo (Sezione III, “Sature”, p. 102).

Siamo immersi in un mondo digitale ricco di nozioni e condivisioni, capace però di asfaltarci, di omologarci, di profilarci togliendoci l’anima, di depistarci con fake news (“Deep fake face metto / la faccia che meglio mi dona…”, p. 14). Ci è richiesta un’etica della responsabilità che tendiamo ad eludere per non fare fino in fondo i conti con noi stessi: “È così facile che gli altri smascherino / Le nostre imposture soprattutto quelle / Che non abbiamo mai saputo di avere” (ivi, p. 98).

La sezione centrale, “Quadre danesi”, si chiude con una ironica canzone napoletana il cui ultimo verso recita: “ca stu munno ’o stammmo sfracellanno” (p. 76). Più a monte troviamo questi versi: “Solo le pause dal vivere ti fanno vivo veramente” (p. 73); “La poesia non sa più raccontare” (p. 66); “L’acqua è da sempre la protezione / che cerchiamo. La rottura iniziale, / che ci ha gettato a terra a fare danno” (p. 61); “Non si può vivere il luogo che vogliamo / Se la somma della sua desiderabilità / È data dalla distanza per la differenza” (p. 57); “Bisognerebbe abolire l’avversativa, la sua pretesa di innocenza / Congiunzione preferita di un popolo subordinato, ma” (p. 53).

Risaliamo alla Sezione I, intitolata “Poesie dei dopo disastri annunciati”, e vi troviamo l’urlo pacato di un essere umano che desidera scuotersi e scuoterci dall’apatia: “Carichi un altro pezzo di te / un tratto di pelle più nudo del nudo // immaginando il tempo che saremo / pensieri che compiono // resti intrappolato qui / in uno qualsiasi. In uno dei corpi possibili. / Che pesca e non può non disattendere / quest’ansia di eternità” (p. 47). A p. 46 c’è il verso napoletano con inserto inglese che ho scelto a titolo di questa recensione: è una immagine stupenda,  mi ricorda Borges per la sua icastica pregnanza che non ha bisogno di commenti. Così non hanno bisogno di glosse i distici che chiudono le poesie a p. 43 – “non ci sarà nessun altro davvero / nessuno vero” – e a p. 35 – “È tutto uno sborrare di macchine / che consolano voluptas dolendi”.

Carmine è ben conscio del cambiamento climatico (“Sempre più la terra preda trasformata”, p. 13), degli ingiusti squilibri economici e delle guerre fomentate che portano alla fuga masse di migranti costrette a rotte pericolose, violente e mortifere. 
Della transitorietà (distruttiva se attenta solo ai privilegi arroccati di pochi, preziosa per il bene che possiamo attuare) della condizione umana, dei limiti dello scientismo: “Ma l’oltremondo che pianifichiamo con la scienza / È troppo di là da venire per poterci salvare” (p. 15); “Nel lungo l’umano è destinato / a non ritornare, solo resta il divino” (p. 19); “La decrescita avverrà per disfunzione. / La nostra razza non sa tornare indietro nel tempo” (p. 21).
La scrittura di Carmine ha non di rado una scansione prosastica giocato su versi anche molto lunghi: io la preferisco quando si concentra su versi che non superano le dodici sillabe (quasi tutte le citazioni fatte qui sopra rientrano in questo limite) perché mi è più facile entrare in sintonia con il ritmo cardiaco, emozionale e incisivo, della sua poesia. 
Dopo aver letto la Prefazione di Luca Ariano (curatore della collana “PoesiaLab”), potrebbe essere utile leggere subito anche la postafazione di Ferdinando Tricarico: entrambe danno utili ed empatiche coordinate per assaporare al meglio questa raccolta dallo stile inconfondibile. 
Qui www.youtube.com il video della presentazione del 12 dicembre 2020

Il titolo fa riferimento alla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e a una specie medusa capace di ringiovanire, come la poesia. 

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