Claudia Piccinno, Sfinge di pietra – A Stone Sphinx, Il Cuscino di Stelle, ottobre 2020
Prefazione di Dante Maffia
Nota critica di Brunello Gentile
Postfazione di Francesca Ribacchi
Quarta di copertina di Nazario Pardini
In copertina Ipazia di Alessandria di Immacolata Zabatti
recensione di AR
Questo libro-confessione dove l'io e il tu sono polarità fluide, mutevoli, in dolorosa e al contempo desiderata trasformazione – perché l’amore e la sapienza implicano lo scavo di sé per donarsi e per accogliere l'altro e non sempre si vieni accolti o si desidera fare i conti fino in fondo con sé stessi – si apre con la poesia eponima. Splendida: “Se un microbo ti trascinasse via / su altri lidi / dove non sono ammessi interlocutori, / sfinge di pietra mi murerei. / Piovono parole nuove / senza alcun senso, / a dare misura di questo vuoto / che parla sospeso / in attes di un verso” (p. 16).
Se alcuni versi di questa raccolta hanno il sapore di un diario di vita che fotografono un sentire non ancora completamente elaborato, ne apprezziamo la verità, l'onestà, l'empatia. Claudia Piccinno si interroga come poeta, si espone come donna con la sua sensibilità, la sua capacità di cogliere senza infingimenti la qualità delle relazioni, la constatazione che amare non è cosa semplice (“Divenni bava di lumaca senza guscio, / maschera di dolore sorridente, / ho finto indifferenza /sanguinando fiori”, Aspettando primavera, p. 41) e che ci sono blocchi che nessuna dedizione riesce a smuovere (o forse sì, ma in maniera non immediata e così i rapporti finisicono per mancazanza di coinvolglimento, oppure perché, per malattia o vecchiaia, ci lasciano gli affetti più cari).
Allora a cosa serve la poesia? Claudia ci ricorda che la poesia è memoria che connette le anime (anche quelle delle cose), è “l’intimo codice / di pensieri nascosti” (XXV, p. 98). E ancora: “Sono nei libri ce ho letto / e nei versi chi ho scritto, / nell’incauto ardire dei miei alunni” (Sono vetro I, p. 44); “tendo la mano a chi mi legge / senza giudicare” (IV Rami di quercia, p. 50); “è la memoria la pietra miliare / di questa esistenza / il prima e il dopo / del prorpio ponte Morandi” (VIII Il tichetttio di un’abitudine, p. 60); “eppure nell’anima / degli oggetti si cela / il prima e il dopo / della creazione“ (IX Panta Rei, p. 62).
Troviamo in queste pagine versi di una bellezza forte e scuotente, la voce della poetessa non può murarsi, impietrirsi. La sua stoffa è una pelle che sussulta, esprime, rivela… uno sguardo puntato sempre oltre, capace al contempo di ascoltare (“Come insetto / intrappolato nell’ambra”, XXXIX Le parole che non dico, p. 126) e di abbracciare con immagini avvolgenti, ironiche, taglienti: “Stalattiti di vecchi dolori / incontrarono le mie stalagmiti / in umidi abbracci senza sole” (XXXVI, p. 120); “Eppure non è in te / l’ostacolo della meta, / è nel congiuntivo / degli indifferenti” (XXXIV, p. 116); “Pesa molto di più / su chi tace, / il silenzio” (XXVIII, p. 104); “ho visto credi sgretolarsi / dentro dogmi perfetti, / io credo alla liturgia / dell’imperfezione” (VI In fase di imbarco, p. 56).
Una Sfinge di pietra ardente e viva che può tacere o parlare, ma solo per amore: una tappa importante e significativa del cammino poetico di Claudia Piccinno.
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