domenica 28 aprile 2019

“C’è sapienza di canto…”

Nuove anime di paesi vecchi
(Poesie di Vincenzo D’Alessio, FaraEditore 2019) 

recensione di Giuseppe Iuliano

http://www.faraeditore.it/vademecum/24-Nuoveanime.html

In una terra di gente persa e dispersa – Nikolaj Gogol avrebbe detto Le anime morte –  terra stordita da una storia sempre uguale, malata di indolenza e luoghi comuni, segnata da atavico fatalismo, la vita sembra essere rimasta estranea, pur essa persa, anzi già morta, “schiava di altra sorte”. Ma quivi dimora Vincenzo D’Alessio, poeta e testimone d’Irpinia, sentinella di pazienza. Custode come uno dei Lari indigeni, protettore della sacralità del focolare domestico, figlio dei “santi /padri contadini”(Scotellaro),  anzi di più, difensore di casa/campi/borgo – il suo, uno dei «paesi presepe», com’ebbe a qualificare i piccoli centri rurali il meridionalista Francesco Compagna – ne è un insistente autorevole cantore. Quei luoghi, un tempo sciami di borghi, con cime di campanili e tetti di coppi, santuario di famiglie, tabernacolo di ostie, oggi sono irriconoscibili gobbe e lande ferite da sconquassi, sfruttamento e profitti, che hanno lasciato il posto alle invasione delle ortiche e delle malerbe, orde barbare ai raccolti e alla desertificazione.
Questo mondo, che è anche il nostro, povero di risorse, immobile nell’attesa, immagine di abuso e devastazione, deve recuperare spazi fecondi di terra, palpiti di respiro e convertire la tensione e l’indignazione in conquista di pace. In una parola tramutarsi in anime vive. Qui, D’Alessio attende l’avvento del fuoco purificatore, invoca la sorda giustizia e l’avvio di tempi nuovi con occhio sognante e mendicante di sogni. Ancor più scruta orizzonti e lacerti; rammemora l’ora antica, l’ora senza tempo che scandiva i ritmi del mito, della tradizione, della storia silenziosa. Gli sopravvive l’anima di guerriero, inquieta, sofferente, voce senza eco, ora persino dimentica dei nomi.
La moviola restituisce racconti sfocati e l’amarezza dell’amore negato. Anche una fontana, sosta di transumanza, è polla che non soddisfa né sete né memoria. Quel perdersi e ritrovarsi attiva inaspettatamente un processo vitale: combina tessere sconnesse scolorite di un mosaico; accosta ricordi; cerca di ricomporre casa e famiglia ma raccoglie cemento e polvere. Sono le fatiche del vinto ad inseguire il passo dei progenitori, a modulare assoli o cori che ora assumono sembianze materiche ora restano silenzi d’ombre. Avi nel nulla e occhi di bambini sono diversità di folle che “ardono nelle voci dei cipressi”.
C’è sapienza di canto che intona varietà di Ballata per il Sud: epinicio, threnos, nenia, cantilena; pianto e rimpianto; fili e intrecci di desiderio, malinconia e speranza. Qui i morti “ci tengono per mano” e i “falsi amori” secondano l’“agonia del giorno”.
C’è sempre un buio da penetrare che scaccia la vita nella fatica e nell’assenza. D’Alessio cura, nella dissoluzione senza resa, parole suoni rumori afrori di “terre antiche”. Terre universo di luce, alla mercé di astri e stagioni. Il rosso d’autunno, crepuscolo di natura, è dispensa di castagne, ricami di pergole, specchio di melograni. È l’Irpinia madre/terra, ma anche madre carnale, culla ed abbraccio, senso di colpa di “non aver amato abbastanza”. Voce di rimprovero ed espiazione che confonde i passi coi voli. “Voce della terra / che chiama per nome / il cielo”.
C’è un divaricatore che slega e disgiunge: da una parte vecchi con acciacchi, solitudini e male di vivere, dall’altra figli che sfidano cammini, asperità e neve. Figli, giovani del Sud “guerrieri di speranze” conservano fede e memoria di patria, ma rimangono clandestini, persi nei libri di viaggio e nelle pagine di storia. Prigionieri del vento dei ricordi e della sete di perdono.
L’osservatorio di D’Alessio raccoglie favole, sogni, misteri del «C’era una volta» – promessa e giuramento di un’età innocente – e grumi di vita. Di quel fervore primitivo, sole sorgente, metronomo di giorni, ritmi e stagioni, c’è analogia meridionale e meridiana con la raccolta Morto ai paesi di Alfonso Gatto: cadenze elegiache, meditazione della vita e della morte, intensità della realtà ed eguale corrispettivo nella sequenza di emozioni.
Altro riscontro assanguante Le parole sono pietre di Carlo Levi non in povertà ma nella miseria dell’abbandono. “Cose semplici e modeste”, realtà e verità contadina che lasciano croste e ferite.
La poesia di D’Alessio, poeta dell’impegno civile e della militanza – amara sconsolata disarmante –  si converte in resipiscenza, risveglio, (r)esistenza. Tra le Nuove anime, compagna “partigiana” anche la mia, vagante affannata delusa ma viva.
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