Nuove anime di paesi vecchi
(Poesie di Vincenzo
D’Alessio, FaraEditore 2019)
recensione di Giuseppe Iuliano
In
una terra di gente persa e dispersa – Nikolaj Gogol avrebbe detto Le anime morte – terra stordita da una storia sempre uguale,
malata di indolenza e luoghi comuni, segnata da atavico fatalismo, la vita
sembra essere rimasta estranea, pur essa persa, anzi già morta, “schiava di
altra sorte”. Ma quivi dimora Vincenzo D’Alessio, poeta e testimone d’Irpinia,
sentinella di pazienza. Custode come uno dei Lari indigeni, protettore della
sacralità del focolare domestico, figlio dei “santi /padri contadini” (Scotellaro), anzi di più, difensore di casa/campi/borgo –
il suo, uno dei «paesi presepe», com’ebbe a qualificare i piccoli centri rurali
il meridionalista Francesco Compagna – ne è un insistente autorevole cantore.
Quei luoghi, un tempo sciami di borghi, con cime di campanili e tetti di coppi,
santuario di famiglie, tabernacolo di ostie, oggi sono irriconoscibili gobbe e lande
ferite da sconquassi, sfruttamento e profitti, che hanno lasciato il posto alle
invasione delle ortiche e delle malerbe, orde barbare ai raccolti e alla
desertificazione.
Questo
mondo, che è anche il nostro, povero di risorse, immobile nell’attesa, immagine
di abuso e devastazione, deve recuperare spazi fecondi di terra, palpiti di respiro
e convertire la tensione e l’indignazione in conquista di pace. In una parola
tramutarsi in anime vive. Qui, D’Alessio
attende l’avvento del fuoco purificatore, invoca la sorda giustizia e l’avvio di
tempi nuovi con occhio sognante e mendicante di sogni. Ancor più scruta orizzonti e lacerti; rammemora l’ora antica, l’ora senza tempo che scandiva i ritmi del mito,
della tradizione, della storia silenziosa. Gli sopravvive l’anima di guerriero,
inquieta, sofferente, voce senza eco, ora persino dimentica dei nomi.
La
moviola restituisce racconti sfocati e l’amarezza dell’amore negato. Anche una
fontana, sosta di transumanza, è polla che non soddisfa né sete né memoria.
Quel perdersi e ritrovarsi attiva inaspettatamente un processo vitale: combina
tessere sconnesse scolorite di un mosaico; accosta ricordi; cerca di ricomporre
casa e famiglia ma raccoglie cemento e polvere. Sono le fatiche del vinto ad inseguire
il passo dei progenitori, a modulare assoli o cori che ora assumono sembianze
materiche ora restano silenzi d’ombre. Avi nel nulla e occhi di bambini sono
diversità di folle che “ardono nelle voci dei cipressi”.
C’è
sapienza di canto che intona varietà di Ballata
per il Sud: epinicio, threnos, nenia, cantilena; pianto e
rimpianto; fili e intrecci di desiderio, malinconia e speranza. Qui i morti “ci
tengono per mano” e i “falsi amori” secondano l’“agonia del giorno”.
C’è
sempre un buio da penetrare che scaccia la vita nella fatica e nell’assenza. D’Alessio
cura, nella dissoluzione senza resa, parole suoni rumori afrori di “terre
antiche”. Terre universo di luce, alla mercé di astri e stagioni. Il rosso
d’autunno, crepuscolo di natura, è dispensa di castagne, ricami di pergole, specchio
di melograni. È l’Irpinia madre/terra, ma anche madre carnale, culla ed
abbraccio, senso di colpa di “non aver amato abbastanza”. Voce di rimprovero ed
espiazione che confonde i passi coi voli. “Voce della terra / che chiama per
nome / il cielo”.
C’è
un divaricatore che slega e disgiunge: da una parte vecchi con acciacchi,
solitudini e male di vivere, dall’altra figli che sfidano cammini, asperità e
neve. Figli, giovani del Sud “guerrieri di speranze” conservano fede e memoria
di patria, ma rimangono clandestini, persi nei libri di viaggio e nelle pagine
di storia. Prigionieri del vento dei ricordi e della sete di perdono.
L’osservatorio
di D’Alessio raccoglie favole, sogni, misteri del «C’era una volta» – promessa e
giuramento di un’età innocente – e grumi di vita. Di quel fervore primitivo,
sole sorgente, metronomo di giorni, ritmi e stagioni, c’è analogia meridionale e
meridiana con la raccolta Morto ai paesi di
Alfonso Gatto: cadenze elegiache, meditazione della vita e della morte,
intensità della realtà ed eguale corrispettivo nella sequenza di emozioni.
Altro
riscontro assanguante Le parole sono
pietre di Carlo Levi non in povertà ma nella miseria dell’abbandono. “Cose
semplici e modeste”, realtà e verità contadina che lasciano croste e ferite.
La
poesia di D’Alessio, poeta dell’impegno civile e della militanza – amara
sconsolata disarmante – si converte in
resipiscenza, risveglio, (r)esistenza. Tra le Nuove anime, compagna “partigiana” anche la mia, vagante affannata
delusa ma viva.
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