lunedì 29 aprile 2019

“Suggestioni in versi” laconici, contemplativi e infiniti

Alessandro Ramberti, Vecchio e nuovo, Fara 2019

recensione di Vincenzo Capodiferro pubblicata su Insubria Critica



Vecchio e Nuovo” è una raccolta di versi di Alessandro Ramberti, edita da Fara, Rimini 2019: «Le poesie di Alessandro Ramberti non sono degli inni liturgici, ma mi pare pongano la questione come dire e come lodare? Come parlare del padre di cui cerchiamo le tracce (IV) – e come parlargli? Non sono degli inni ma sono le parole che si mormorano per intonare l’inno, per trovare la nota, per accordarsi, come fanno i musicisti. Sono dei brani musicali che provano di volta in volta diversi strumenti per trovare – se possibile – l’inno universale. E queste prove sono segnate da una grandissima discrezione, perché bisogna che la solennità dell’inno sia stata a lungo nutrita di discrezione e di silenzio,» scrive il Vermander (S.J., Professore di Filosofia, Università Fudan, Shanghai) nell’Introduzione, tradotta dal francese. Lo stile con cui solitamente Alessandro è presente nei suoi versi è ermetico (in senso mistico). Questo ermetismo si ricollega allo stile orientale: non a caso riporta i titoli dei versi in cinese, lingua di cui il nostro è innamorato. Il cinese è l’esempio di una lingua antichissima, che si avvicinava all’egizio, coi pittogrammi, ancora vivente. Le parole risuonano nel silenzio: c’è più silenzio che parole! La lingua è pittura, è arte! È una cornice nel vuoto che esprime un sussurro. La reductio stilistica rimanda inevitabilmente alla riduzione fenomenologica. La poesia diviene sussurro dell’anima, come nei mantra orientali, o nelle rune occidentali. La runa in antico significava sussurro. Il linguaggio è runico, simbolico. La poesia così diventa sempre dicotomica, come sottolinea sempre il Vermander: «“Ci troviamo a un bivio” … di quale incrocio, di quale crocevia si tratta? Il carme lascia aperta la pluralità dei sensi. È lì per quello … Tutto il carme è una sentinella che vigila affinché niente fermi il senso su sé stesso. Ma se dovessi dare la mia personale lettura dei testi di Alessandro Ramberti direi che qui si tratta dell’incrocio del linguaggio – e dell’incrocio fra le lingue». L’esistenza è tutto un bivio. Bivio è incrocio. La vita è croce, è scelta. Ed è soprattutto scelta tra orizzontale e verticale.

Vera è l’obbedienza
se sei scultura che si lascia
scavare flauto 

di canna vuota 

Noi siamo come canne pascaliane vuote, però l’aria (lo spirito, il soffio) che passa in noi risuona nel tempio dell’universo come melodia che si esprime nel linguaggio originario, quello della poesia-/musica/-ritmo. Il linguaggio poetico come sottolineava Heidegger nel suo Hölderlin, è sacro. È come diceva Padre Vermander un quasi-inno liturgico all’universo. In ciò si richiede la massima virtù dell’obbedienza all’universo. Le canne pensanti suonano come flauti: il pensiero si esprime soprattutto attraverso la vocalità, il suono, il linguaggio. Logos è pensiero e linguaggio. In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio… Il linguaggio poetico originario era di per sé liturgico, metteva in contatto col divino, con l’Essere. Siamo come statue viventi, non come gli idoli del salmo, che hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano… Non siamo la statua di Condillac che viene scolpita dalle sue sensazioni, o la statua di Leibniz che viene tratta dal marmo secondo le sue scanalature innate. Siamo statue viventi dell’Eterno. 

Basta quasi un niente 
per incrinarti l’universo 
cammello e cruna 
diaframma e apnea 
Iniziamo un discorso 

È il Logos originario: il discorso ha a che fare con scorrere, col “Panta rei” del profeta Eraclito. Il linguaggio risponde alla sacra respirazione: ispirazione ed espirazione… Tutta la cultura della meditazione orientale accentua il momento centrale della respirazione. I riferimenti evangelici sono sempre presenti: cammello e cruna. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago… D’altronde Alessandro incipit col passo marciano: Nessuno rattoppa un vestito vecchio con un pezzo di stoffa nuova…

C’è un rumore intorno
non percepisco di esser pronto
il cambiamento 
fa vacillare

Il cambiamento di per sé è fonte di incertezza. Se da un lato Alessandro si richiama a Gesù che segna lo strappo evidente tra le vecchie vesti farisaiche (Il velo del tempio si squarcia, come dire: il tempo si rompe. Il Cristo segna l’inizio dell’era nuova. Tempio… tempo…). “Vecchio e nuovo” sono le due realtà che consumano l’uomo. Spesso queste due istanze sono in lotta, non c’è sempre continuità. Il vecchio Adamo è perennemente in lotta col nuovo Adamo. La silloge alessandrina apre il sipario proprio con questo dualismo. Il tempo stesso è estasi, uscita-fuori-di-sé, ma proprio per questo l’essenza della temporalità è rottura del presente nel passato-futuro.

Facile è vedere
il poco resto di una vita
il nido fragile
in cui reagisce


L’uomo è fragile, come insiste anche Vittorino Andreoli. C’è un riferimento al nido pascoliano. La fonte della nostra parola, la sede di tutte le emozioni è il petto, il cuore. Questo cuore bolle, freme…

Ecco come Alessandro descrive la sua poesia: «Da anni amo scrivere ricorrendo a forme chiuse. Questa raccolta contiene 51 poesie (più quella in quarta di copertina) di tre quartine così composte: un senario trocaico (con accenti sulle sillabe dispari), un novenario giambico (con accenti sulle sillabe pari) seguito da due quinari pure giambici. Il titolo corrisponde al primo verso che viene tradotto in caratteri cinesi con traslitterazione in pinyin. Ogni poesia è conclusa da un titolo di coda: un settenario anapestico (accentato sulla terza e sulla sesta sillaba). È un piccolo canzoniere dedicato al nostro desiderio di eternità…». La poesia di Alessandro è classica, rispetta le regole, il ritmo. In un certo senso contravviene alle regole della poesia attuale, che si proclama libera… ma è prosaica. La poesia è musica, ritmo e perciò stesso aritmetica, ripetizione, ricorsività. Così ricalca Vincenzo D’Alessio nella sua epilogia: «Ramberti definisce questa raccolta: “un piccolo canzoniere dedicato al nostro desiderio di eternità”, e fa bene poiché la Poesia è l’olio che alimenta da millenni la fiamma del desiderio di superare i confini corporei e giungere al traguardo dell’appartenere alla luce dell’Umanità». L’eternità passa necessariamente attraverso la rottura del vecchio-nuovo. L’Eterno si fa tempo e il tempo, come sosteneva Platone, è l’immagine mobile dell’Eterno. Il momento della rottura è importante, come sottolinea Anna Ruotolo, in una delle epilogie dedicate all’autore, insieme ad altri, che non riportiamo qui: «È dal negativo che ci riviene indietro l’immagine sacra e luminosa della matrice di ogni paura che, in realtà, è il profondo desiderare, di ogni rabbia, che è la speranza ininterrotta, di ogni smarrimento che è la suprema sintonia col mondo». Il linguaggio della poesia è ritmico, rispetta in ciò il linguaggio della Natura, che si esprime come dice Galilei in formule matematiche semplici. Sempre Galilei afferma che Dio ha scritto due libri: la Bibbia e la Natura. I pitagorici riuscivano ad auscultare il moto degli astri. È una meraviglia che l’uomo di oggi, completamente frastornato, non può permettersi più. Possiamo fermarci però ad ascoltare il mistero profondo di queste poesie di Alessandro. Ogni elegia di questa silloge finisce in una chiosa, sintesi eterna di tempo ed atemporalità. Ogni chiosa è proverbio, stupore, meraviglia della vita, un mondo inchiodato. Il fiume scorre sempre nel suo letto. Il letto resta. L’acqua non torna mai. Le elegie di Alessandro somigliano molto ai frammenti dei presocratici: attingono all’esperienza originaria del Logos. Ci rivelano questo mondo ancestrale, sedimentato in ognuno di noi, in quello junghiano inconscio collettivo. Ramberti ci ricorda Turoldo (come sottolinea il D’Alessio):

è cimitero la memoria
e il cercare la lampada rossa
e cieca, cui la sola
grande morte porrà rimedio.


La poesia è il forte richiamo dell’Essere heideggeriano all’autenticità e questa si adempie solo nell’essere-per-la-morte. Questo è in poche battute il profondo messaggio di Vecchio e nuovo. Il lettore certamente saprà trarre profonde riflessioni esistenziali dalla poesia mistica di Alessandro Ramberti.

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