“Tu sei la ritrovata unica strada / del faticoso accesso al vero / che mai per sé pretende o sogna / d'essere gli unici i soli, che solo insieme è percorsa / in profondità / pure col diverso e il lontano”
Non
esiste metafora più efficace per descrivere la Fede che quella del viaggio, di
un'inesauribile strada da percorrere ed esplorare.
E' di questa immagine che Matteo
Bonvecchi si avvale nella raccolta di poesie Le odorose
impronte per raccontare la sua esperienza con il Divino ed invitare il
lettore a viverne una altrettanto intensa.
Leggendo le poesie siamo immersi nei
ricordi che l'autore riporta alla sua memoria con un linguaggio pacato e
tuttavia decisamente coinvolgente, grazie al quale la nostra attenzione
non si perde per un istante.
Nei testi non mancano riferimenti
culturali che ci forniscono un'idea delle molto vaste conoscenze di Matteo,
contrapposte ad immagini concrete e abituali che fanno sentire il lettore a
proprio agio: come afferma Salvatore Ritrovato egli utilizza “un registro che
sa alzarsi ed abbassarsi, dal lirico all'epico, senza snervare il verso che si
irrobustisce di un'esperienza attentamente filtrata dalla letteratura”.
“Solo questo ora resta / di vivere Lui serenamente / fin dentro la fragile carne / della quotidiana banalità / almeno fino al dissolversi del vacuo / nel tremendo e splendente / volgersi dei cieli / quando per il varco aperto / sgorgherà / l'effluvio potente dell'acqua / e del sangue / (…)”
L'autore, avendo intrapreso il cammino
che ogni credente percorre, non è più in grado di abbandonarlo e sente un
continuo ed incessabile desiderio di godere nuovamente del “difficile e
necessario miracolo” dell'amore.
Ed è così che il credere in Dio si
trasforma in una vera e propria esigenza di abbandonare interamente sé stessi
alla Fede, dove la morte non è altro che il luminoso traguardo del viaggio che
in vita sembrava così distante.
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