martedì 29 gennaio 2019

Chi è, oggi, il poeta?

Giuseppe Iuliano:  Parva materia, Edizioni Delta3, Dicembre 2018. 

recensione di Vincenzo D’Alessio & G.C.F. Guarini 



Siamo da diciannove anni nel terzo millennio, considerando la nascita di Gesù Cristo, e i mezzi di comunicazione di massa: parlo in primis degli iphone, della televisione, dei quotidiani, della radio e della pubblicità sui prodotti che acquistiamo nei supermercati, condizionano la gran parte dell’Umanità.
Chi è, oggi, il poeta?
La gran parte dei poeti vengono scoperti dopo la loro scomparsa. I più fortunati mentre sono in vita, molti attraverso la divulgazione delle loro poesie pubblicate nei libri e nei testi scolastici.
Giuseppe Iuliano, per molti di noi Peppino, ha scritto diverse raccolte poetiche e Parva materia, sua ultima raccolta, cattura gli occhi dei lettori come un antico codice miniato di sillabe metriche incandescenti composte di terra / di carne: quasi materia.
Le dodici poesie in verso libero contenute in questa raccolta sono sorrette da una energia profetica: il verso cavalca secoli in nome della filosofia vichiana dei corsi e ricorsi delle epoche: dodici tavole della legge: il più forte e i deboli.

“Gridiamo per entrare nella storia / porta chiusa a spranghe a catenacci. / Testardi infiliamo scarpe di pazienza.” (pag. 8)

Il significante riverbera, sillaba tonale, nell’espressione “rabbia” che compare in quattro delle dodici composizioni accanto all’espressione giustizia:

“(…) Casa dispensa di vino e pane / conti rughe e pianto al vero peccato / giustizia di conversione che tarda / a saziare inquietudine pena e fame.” (pag. 7)

Entriamo così nella vera identità poetica di Iuliano, quella raccolta dallo scrittore Pino Aprile nel suo volume Giù al Sud (Piemme Edizioni, 2011): “(…) Il tono, le azioni, sue, di Iuliano, degli altri (Cap. 36: “I poeti estinti”), non sono dolenti e rassegnati, anzi! Sono combattivi e fantasiosi, sanno di essere pochi e di piccola voce, ma hanno coscienza del valore di quel che fanno e usano la poesia come arma” (pag. 325).
L’energia che muove i versi del Nostro, dai suoi primi scritti ad oggi, è codificata in questi dodici “profetici componimenti” riassunti nel titolo. La scelta e l’uso della lingua latina richiama il desiderio taumaturgico della poesia da millenni: Exegi monumentum aere perennius (Orazio, Odi).
Iuliano testimonia mentre vive il nostro tempo, le nostre inquietudini, il torpore famelico delle terre del Sud, l’infelicità connessa alla perpetua logica delle partenze dei giovani (e meno giovani) senza più ritorni: 


“(…) A passo d’uomo muoviamo dal Sud / verso rotte anonime di stelle / carovane obbligate delle vie celesti / che dolenti trascinano aromi e ricordi / fiori di zagare e bergamotto / stipati come reliquie in valigie di sogni.” (pag. 5)

La malvagità di coloro che perpetuano quella che Banfield definì “familismo amorale  e patriarcale, sfogando il loro desiderio in “questa terra guardiana di mangiatoie” (pag. 6), condannano le migliori intelligenze all’emigrazione: 


“(… È attesa inutile l’aiuto degli uomini / sordi rancorosi malati di astuzia / contenti di dividersi qualcosa / fosse solo un granello una briciola./ Di rimando non seppelliamo gli odi / ma il perdono l’amore la pietà.” (pag. 6)

Voce stupenda che si leva, nel coro, a superare i cancelli dell’Irpinia per echeggiare nel cuore dei figli europei, dei nipoti che tornano alla ricerca delle origini, carichi di benessere assetati di memoria.
L’intera raccolta vibra di poesia, come acqua sorgiva parla d’Amore, quello sincero che nutre ancora il petto e il cuore: quattro componimenti in cui compare l’Io poetante amante inquieto e schietto, giovane nella virtù degli anni: 


“(…) Una donna è sempre meraviglia / grembo che m’accoglie e dona / ombra e datteri quiete e mistero.” (Malamore, pag. 8)

“(…) Ghirlande e tazze colme di vino / colori e allegri per festa di borgo / ubriacano i fauni e le loro pretese. / Confuso aspetto il tuo cenno / perché sobrietà di voce reclami amore.” (Mescolanze, pag. 9)

Le metafore richiamano miti greci, delle vicine città di Posidonia ed Elea, scuole di pensiero, che da più di duemila anni hanno intriso le fonti della conoscenza nella gente del Sud.
Richiami di attualità, nella raccolta, sono il terremoto dell’agosto 2017 ad Ischia (pag.10) e la sorte dei profughi d’Africa dispersi in fondo al Mare Nostrum (pag. 5).
Lunga vita alla poesia, quando essa canta valori eternati già dai padri poeti del Novecento che si ritrovano nelle opere come questa del Nostro: mosaico policromo intessuto di realtà inconfutabile elevata dalla Poesia.
L’introduzione è stata affidata a Mariella Bettarini. Altre note critiche sono di Emilia Bersabea Cirillo, Claudia Iandolo, Daniela Monreale e Mariagrazia Passamano: “Ghirlande di giovani tralci” (pag.9) che allietano la lettura dei testi.
La scelta del verso libero, la scarsa punteggiatura, qualche rima e i titoli delle dodici poesie, assemblati come figure retoriche di suono, indicano la rotta ai lettori.
A pag. 12, il Nostro, richiamando Virgilio nelle Bucoliche, scrive: 


“La mia casa affacciata sul mondo / quattro finestre spalancate al sole / misura confini e sfondi terra / cielo / vedetta a scorgere ogni punto cardinale.”  

Alla sua limpida voce, noi associamo quella del poeta che amiamo e che quest’anno è più vicino all’Irpinia con la città di Matera “Capitale della Cultura Europea 2019”: 


“Come hai potuto, mia madre, durare / gli anni alla cenere del focolare, / alla finestra non ti affacci più , mai. / E perdi le foglie, il marito, e i figli lontani, / e la fede in dio ti è caduta dalle mani, / la casa è tua ora che te ne vai.” (Rocco Scotellaro: Casa).



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