domenica 3 settembre 2023

Dove l’acqua si fa cerchio: Carla Malerba, “La milionesima notte”

recensione/intervista
a cura di Giovanni Fierro



Forse il contare la milionesima notte è vivere sempre la prima meraviglia, che poi nel tempo trova forme ed occasioni per manifestarsi, sempre uguale a sé, sempre diversa da sé, in un appartenere alla propria vita che si fa intreccio di attenzioni e memoria, sentimento che non diventa mai polvere.
E proprio questo è il presente continuo che Carla Malerba testimonia con queste sue nuove poesie, raccolte nella conta de La milionesima notte, lavoro che vive di fragilità e intuizioni, occhi chiusi e sguardi necessari.

Proprio quando “la notte era flusso/ di maree/ si consumava l’amore/ fino all’alba/ le barche parevano/ smarrite in alto mare”; il distacco da ogni certezza che è stato bello averlo vissuto, prova inconfutabile di avere radici profonde in questo mondo.
Carla Malerba costruisce un luogo dove l’attesa è un compimento dell’essere, dove “tremano/ le foglie di maggio/ a questo vento invece/ che è autunnale/ e soffia contro i vetri/ per entrare”.
Il suo è un dire del ‘fuori’ per raccontare il ‘dentro’, per mettere in dialogo più dimensioni possibile, nel creare così un sentire che si fa più assoluto nel suo bisogno di particolarità.
Un luogo sì, dove si incontrano le sue necessarie provenienze, la natura e la notte, le stagioni e l’acqua.
Ma anche la presenza dell’altro, a volte confronto diretto altre scia stellare di un qualcosa che non è rimasto.
È una spiritualità che trova la forma della poesia quella contenuta in questo libro, per mostrarsi sempre in una sua differente definizione, anche quando si è immersi in “questa città assorta/ e queste strade/ che segnano invisibili confini/ tra noi e l’oscuro tempo/ che assedia i giorni”.
Certo, il nostro presente è ormai una promessa di brutto tempo, ma di certo è sempre meglio “che rombi di motociclette/ disturbino il sonno/ piuttosto che il sonno/ ci annulli il domani”. Basta avere il talento dell’accorgersene.
E l’oggi è solo oggi, quando “l’ombra richiama/ alle misure imposte,/ ai limiti da non oltrepassare”. E forse proprio lì, nella certificazione di un confine si può riconoscere una luce che sa nascondersi bene, necessaria e desiderata, spinta universale all’accensione di ogni primo respiro: “scrivo parole/ che la mente illumina/ e guida la mano/ il pensiero del nulla che siamo”.



Dal libro: 
Carla MalerbaLa milionesima notte, pp. 54, 12 euro, Fara Editore 2023


L’attesa
è fatta di luci
che spandono il giallo
sui vetri
e di un cielo
che sembra caduto
su questi destini.
L’attesa che incombe
distrugge:
che passi,
che torni
la notte a vociare
richiami,
che rombi di motociclette
disturbino il sonno
piuttosto che il sonno
ci annulli il domani.

*

Se dopo la notte
ci fosse un giorno estremo
desolato e solo
che in strada lunga
come via del cielo
in totale silenzio si snodasse
e sola mi trovassi
senza amore
né sogni né parole
mi afferrerebbe lo sgomento
di una vita-non vita
di una pena
e il desiderio di notti di veglia
ad ascoltare
il percettibile schiudersi di un fiore.

*

L’oro dei girasoli
mi hai portato
invade la stanza
riverbera di luce
tra pareti che sanno
quanto vorremmo
per un giorno almeno
essere girasoli
in mezzo a un campo.

*

Ad Alfredo R.

Nel giorno aperto
nella gran luce bianca
il fiore sente
che lo stelo reclina
il fiore sente
che la linfa non scorre.
È l’ultimo giorno
avido di vita.
Quanto vicino al nostro
il morire del fiore
quando sapremo
di quell’ultimo giorno
l’estremo suo fulgore.







Intervista a Carla Malerba:

Tutta La milionesima notte è anche un parlare della poesia, del suo significato, della sua identità. Ecco, quale il compito della poesia oggi?

Certo, la raccolta nasce dalla profonda necessità di voler capire perché la poesia fa parte della propria vita: avresti potuto essere un medico, un musicista, un botanico, invece sei stato investito da questa propensione dell’animo che in qualsiasi momento della giornata ti fa pensare poeticamente, ti fa osservare quanto ti circonda con occhio meditativo, con l’occhio del poeta, come si scrive di solito.
La scelta di studi letterari accentua poi l’inclinazione, anche se la produzione poetica non dipende sempre dall’appartenenza al corso di studi che viene seguito, come mostrano esempi illustri della storia letteraria.
Ma al di là delle solite asserzioni, non credo, giunta all’età che ho oggi, che tutto sia leggerezza e gaudio, ispirazione potente ad ogni ora del giorno, ma piuttosto, tolto il fecondo momento del primo verso che affiora alla mente e al cuore e che bisogna fermare sulla carta, penso che fare poesia sia un impegno con se stessi e con i propri interlocutori da non sottovalutare.
Poesia è messaggio da condividere, è affiorare della parola giusta – non ricercata – è stesura ripetuta più e più volte, è fatica e smarrimento, consapevolezza della propria finitudine di fronte all’ambito dell’irraggiungibile sublime.
Ecco, ritorno quindi al cuore della domanda: tutto “La milionesima notte” è anche un parlare della poesia, del suo significato, della sua identità.
Quello che dalla mia sesta raccolta scaturisce e si intravede nasce in un tempo storico tragico durante il quale gli eventi si sono succeduti con rapidità, dapprima la pandemia e successivamente la guerra.
Lo sbigottimento e il senso di incertezza procurati dalla prima facevano presagire tutta la drammaticità della seconda. Il bisogno pertanto di un senso di fratellanza, nell’essere qui, su questa terra uniti da comuni destini, fa scaturire la parola poetica come antidoto al male e al dolore, come forza rimasta all’umanità, non rifugio, ma unica reazione possibile per dare significato a un progetto di rinascita.
In questo l’identità della poesia si fa luce e richiamo: “Non ti ricorderai/ di chi l’ha scritta/ ma sempre e perdurante/ il senso dato” e ancora in un frammento successivo: “Al buio scrivo parole/ che la mente illumina /e guida la mano/il pensiero del nulla che siamo”.
Significato e identità della poesia, a mio avviso, coincidono e si definiscono in quanto compiti, funzioni di testimonianza e di ricerca interiore perché la poesia è filosofia dell’esistenza che resiste alle mode, alle divagazioni. Chi scrive poesia si protende verso la difficoltà e il dovere di ricordare: “Dipinte in queste rive/ son dell’umana gente/le magnifiche sorti e progressive” e di aspirare ad una parola che unisca e non divida.
La progettualità della ricerca poetica si basa sulla definizione dell’iter e dei suoi temi ricorrenti e universali insieme, per trovare in questo percorso una strada verso il significato e l’identità della stessa al di là dell’inesorabilità del tempo. Il compito della poesia oggi rimane quello di proiettare messaggi nel futuro se si compie nell’universalità della condivisione dei suoi valori.

Queste pagine sono anche la costruzione di un “luogo” dove poter stare, dove poter incontrarsi. Si ritrova in questo?

Sì, senza dubbio. Mi è capitato, più d’una volta, di trovarmi in una piazza, una sera d’estate, a parlare e a leggere poesie. E di capire quanto sia fondamentale avere un interlocutore che rappresenta poi quel “tu di montaliana memoria”, con cui il poeta si trova a dialogare (citazione dalla prefazione a “Poesie future”, di Ivan Fedeli).
Sia la piazza che la rete possono entrambe avere la funzione del “luogo” fisico o virtuale dove parlare, dove poter stare a farlo riducendo la portata dell’io per favorire con il “tu” lo scambio della parola poetica essendo la reciprocità il bisogno elementare su cui poggia le sue basi la versificazione.
Mi ritrovo pienamente sul concetto di luogo dove incontrarsi, credo anzi nella necessità dell’incontro, della consapevolezza che esso possa sollevare dalle angosce affidando al verso la funzione cui accennavo. Mi chiedo però se questo accada sempre.
Nel consorzio umano e letterario la costruzione del luogo non deve essere platea, ma spazio in cui avviene l’affidamento del proprio sentire all’altro, agli altri, in un proficuo interscambio di creazione e di fruizione, non atto di vanità, ma di generosa condivisione di pronunciamenti di pensiero, il proprio con quello di chi ascolta e ritrova in sé le espressioni poetiche inespresse o in atto di sbocciare.
Non si dimentichi tuttavia che la definizione di poesia è arte, non solo mero sfogo dell’animo. Arte che non può prescindere dalla correttezza linguistica, dalla cura della parola non esacerbata da una ricerca esasperata dell’inusuale, dal ritmo, da alcune regole fondamentali e ineludibili. Ma che è soprattutto un dono, da scambiare perché poesia è, come Ghiannis Ritsos scrive, qualcosa in cui credere: “Credo nella poesia, nell’amore, nella morte, perciò credo nell’immortalità. Scrivo un verso, scrivo il mondo; esisto; esiste il mondo. Dalla punta del mio mignolo scorre un fiume. Il cielo è sette volte azzurro. Questa purezza è di nuovo la verità prima, il mio ultimo desiderio”.

In questo suo fare poesia la natura è presenza importante. Come mai? E in che modo fa parte della sua poesia?

La natura fa parte del ciclo delle stagioni sulla nostra terra pertanto rispecchia sentimenti e stati d’animo che ad esso sono legati. Il variare di quanto ci circonda, il meraviglioso alternarsi della luce e del buio rappresentano miracoli da osservare e lo stupore che suscitano in noi diventa desiderio di possederne la bellezza. Così la poesia si profonde e si leva altissima nei grandi spiriti che ci hanno preceduto: basti ricordare Shelley la cui Ode to the West Wind rappresenta uno dei canti più potenti rivolti alla forza della natura.
Certamente alcune letture giovanili hanno lasciato segni nella mia vita, in particolare certa grande letteratura romantica ha accresciuto in me il senso della bellezza nel suo perenne confronto con la caducità della natura umana. Ne La milionesima notte si avverte già dalla ripartizione delle sezioni un particolare intento a soffermarmi sulla ciclicità del tempo, quasi a voler ricostituire un ordine che i fatti hanno sconvolto: “Sembra caduto il cielo/ su di noi/di valli d’ombra/ si è coperto il sole/ gli astri disseminati/ per misteriose strade/ non sostengono le nostre speranze”.
È sempre molto incisivo il riferimento alla natura se riferito al proprio stato d’animo. L’estate, che in poesia rappresenta generalmente il tripudio della bella stagione, può diventare un’estate ‘muta, senza suono’, dove il mare è ‘perfidamente bello’: effetti dello sconvolgimento dei giorni subiti in cui solo il dono di un girasole fa sì che l’anima si riconcili con la vicenda umana.
La natura entra nei miei versi attraverso lo stordimento che può dare ‘l’assoluta azzurrità’ dell’oceano, attraverso la parvenza che ‘le isole belle’ si muovano, che l’oro dei girasoli invada la stanza e che “al raggio di sole/ che s’infiltra fra i rami/ e crea sospese/ cattedrali di luci” si unisca il volo delle api.

Se c’è una presenza significativa, di sicuro è quella di una certa spiritualità, che in queste sue poesie respira e si fa raccontare. È un qualcosa che ha “scoperto “scrivendo poesia dopo poesia, oppure è un qualcosa che c’era già all’inizio de La milionesima notte?

Mi piace che si parli di spiritualità nella mia poesia e in particolare in La milionesima notte, come già accadde a seguito dell’uscita di una mia precedente raccolta quando in “Coltivar cultura”, rubrica a cura di Lucrezia Lombardo in Arezzo Notizie la pagina dedicata alla mia poesia titolava: “La poesia spirituale di Carla Malerba, versi in cerca di un futuro di speranza”.
La curatrice si era proprio soffermata su questo aspetto della mia poesia. Dunque ripeterei, come allora, le mie stesse parole: “Se la poesia rappresenta per l’uomo un’esperienza spirituale si può comprendere la grande suggestione che su noi esercita nel momento creativo. Ecco perché nel frangente in cui si addensano le ombre sull’incerto destino dell’essere, la poesia contemporanea si definisce come intuizione e ricerca di senso…”.
Questa tendenza alla spiritualità viene evidenziata nella presentazione de “La milionesima notte” da Francesca Ribacchi: “La profondità spirituale delle immagini simboliche, potenziata dalle parafrasi e metafore, concorre a raffigurare le storie dell’esistenza interiore, le emotività e le affinità delle passioni, gli attimi di riflessività come traccia indelebile del vissuto che si sublima nella poesia”.
Nella domanda a cui sto rispondendo la spiritualità presente nella raccolta viene colta come respiro, presenza che si fa raccontare. L’intervistatore mi chiede se l’ho scoperta poesia dopo poesia o se è qualcosa che c’era all’inizio della silloge. Propendo per la seconda ipotesi che è in linea con la mia poetica: la spiritualità presente nella raccolta è qualcosa che aleggiava fin dalla prima sezione e, guardando indietro, la si può scorgere anche in alcune delle raccolte precedenti, come caratteristica che determina il momento creativo, un momento di grande, assorta intensità.

Il libro si mostra e si racconta come un unico ‘presente’, dove il passato e la memoria si mescolano nello slancio verso il tempo che sarà. È un qui ed ora che raccoglie queste differenti provenienze. È così?

La milionesima notte presenta quattro sezioni, quattro momenti che si intersecano tra loro. Nella prima di esse intitolata ‘Attese’ appaiono situazioni legate a tempi e stagioni diverse. Unico conforto la notte, compagna di una surreale situazione, che nel tempo avuto e nel tempo contingente prepara gli eventi futuri. Proprio come scrive chi ha pensato la domanda cogliendo la tensione iniziale della silloge.
La dimensione del tempo, quando eventi straordinari mettono in bilico le certezze finora possedute, spinge la poesia a creare una volontà ricostitutiva di un presente distrutto, espropriato attingendo a un ‘qui’ che offra maggiori garanzie per il futuro.
Al tempo ancora indistinto della terza sezione, quella predittiva, nella quale si può compiere il vaticinio del nulla, della guerra mentre si affacciano immagini che anticipano visioni, profezie e speranze, si affiancano le considerazioni finali. E se nelle notti di veglia era insorto il rimpianto per la felicità di ieri – “quando si consumava/ l’amore fino all’alba” – adesso nel qui che raccoglie queste differenti provenienze, si definisce l’unicità del presente che in sé riassume il desiderio del passato e l’incertezza del futuro nel rapido fluire delle ore che non permettono di progettare: “qui tutto è fermo,/ è un giorno già finito/guardarci attorno/ non ci basta a vivere”.
Ho pensato a un tempo umano recuperabile, nella sua precarietà e nei suoi slanci, ma soprattutto regolato dalla poesia che si fa testimone costante della vita nel dolore e nella speranza.




L’autrice: Carla Malerba è nata a Tripoli (Libia), ma dal 1970 risiede in Italia. Nella città natale pubblica, giovanissima, i suoi primi versi. Iscritta alla Facoltà di Lettere Moderne a Catania, interrompe gli studi universitari a seguito di eventi politici. Si laurea presso l’Università degli Studi di Siena. Ha insegnato Lettere ad Arezzo, città nella quale vive.
Nel 1999 pubblica la sua prima raccolta “Luci e ombre”, seguita nel 2001 da “Creatura d’acqua e di foglie”.
Con le raccolte “Di terre straniere” e “Vita di una donna” (pubblicate con La Vita Felice, Milano, 2010 e 2015) riprende i temi del viaggio esistenziale e degli affetti. Nel 2020 ha pubblicato “Poesie future” (Puntoacapo).

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