martedì 13 giugno 2023

“Sul cuore ho tracce / di millenni di tenerezze”

recensione di Franca Canapini 

a La Milionesima notte di Carla Malerba



Dopo Poesie future torna ancora la poetessa CARLA MALERBA con la sua parola lieve e i suoi versi raffinati e malinconici che vanno a comporre  la nuova silloge intitolata La milionesima notte. 

Titolo suggestivo nella sua iperbole, a suggerirci in metafora - lo intuiamo già dalle prime poesie - che sono espressioni poetiche sgorgatele dal cuore durante il lungo periodo della pandemia, dal quale per fortuna dopo lunghi patimenti stiamo uscendo.

Leggendo, vengono in mente i versi di Quasimodo “Ancora un anno è bruciato, / senza un lamento, senza un grido / levato a vincere d’improvviso un giorno” (da Salvatore Quasimodo, Già la pioggia è con noi), con i quali il poeta esprime la monotonia dei giorni vuoti e il senso di tristezza che ne deriva per il tempo sprecato mentre passa inesorabilmente. Così Carla. Anche lei è in attesa di un grido che scuota il tempo inerte, di un cambiamento repentino, di una fine e un nuovo inizio, per poter “dispiegare le note della gioia”, come afferma nell’exergo o come chiede con forza ne L’attesa


che passi,
che torni
la notte a vociare
richiami,
che rombi di motociclette 

disturbino il sonno 

piuttosto che il sonno
ci annulli il domani.  


Mi piace immaginare queste sue poesie come la spuma luminosa prodotta dall’ondeggiare della anima nell’oscurità di lunghe notti di veglia solitaria. Notti (e giorni) di attesa incerta di poter riprendere a vivere normalmente; notti insonni dentro i confini abbastanza sicuri della casa dove però si sta stretti, come stretti nei vasi sono i fiori in veranda; notti di lucine azzurre del modem che in un accenno di presenza /assenza confortano la veglia pensierosa; notti angosciose di rare finestre accese in abitazioni, dentro le quali si stanno consumando eventi drammatici tanto che il vivere e il morire sembrano estratti da una lotteria


Da quella finestra
che rimane accesa
fino a che la sirena si allontana

solo parole e pianto
a sostituire ogni amoroso slancio 

come fosse la regola
l’antidoto trovato
l’accettare
.


Notti e giorni di forzato isolamento durante i quali, e forse grazie ad esso, la poesia accade, perché come dice Milo de Angelis: “L’isolamento è fondamentale per la Poesia. (…) scendiamo in fondo a noi stessi e raggiungiamo un luogo interiore dove quello che ci minaccia e che ci circonda non conta più nulla…” (dall’intervista a Milo de Angelis di Antonio Gnoli, La Repubblica- Robinson, sabato 3 giugno 2023).  

E così nella notte, nell’attesa, nell’incerto, d’improvviso si produce uno squarcio nel presente e da quel “luogo interiore” vividi emergono i ricordi del bel tempo passato, regalando al lettore perle  di poesia come queste che mi piace trascrivere per intero.


Di quelle estati
non ricordo
che sandali portavo
ma solo il fruscio
degli eucalipti
e quei balli campagnoli. 
L’odore del mare
e il suo parlare
e noi per ore
a districare
matasse di pensieri.
La notte era flusso

di maree
si consumava l’amore
fino all’alba
le barche parevano
smarrite in alto mare. 



 

Come nel quadro di Boccioni 

pieno di squarci di colore
la folla si muoveva
in diagonali rapide 

sui marciapiedi
sull’asfalto della strada
fino ai gradini d’accesso
di Villa Bellini.
Di notte
tra luci e caseggiati dalla fama oscura 

per consumate storie d’amore e morte 

ci avvolgeva la nostra gioventù 

in turbini di vita
onde magnetiche
flussi di energia.
Era il 1968. 


Nel presente, invece, anche l’amore si è fatto cauto, non c’è più la spontaneità della giovinezza e una vita tutta da inventare, ora c’è la stanchezza e forse il disincanto, tuttavia nell’intimo di Carla è chiara la consapevolezza di sé e della sua capacità, tutta femminile, di amare

 

Sul cuore ho tracce
di millenni di tenerezze
madre compagna
sorella sposa
respiro parole
che sanno di levante e di ponente 

e di lidi da dove si dipartono 

strade verso il deserto. 


Qui non odo fragori di guerra. 


Una donna ama e accudisce, una donna genera e persegue la pace, una donna scrive poesia al femminile. Ed è una poesia squisitamente femminile la sua, che mi ricorda la voce di Antonia Pozzi; una poesia che non si impone, ma si propone; che ti entra lentamente e lentamente si lascia assaporare nei condivisibili assunti e nelle scelte parole. La poetessa ci immerge nel suo “patire le cose” che è amore-dolore per la vita e con levità ci trasmette un senso di dolorosità esistenziale che trasferisce anche alla natura con versi di rara bellezza: “l’ombra percorre i fossati / scivola lungo gli argini”;

“sembra caduto il cielo su di noi / di valli d’ombra si è coperto il sole / gli astri disseminati / per misteriose strade”; “come accade nei boschi / quando la nebbia invischia / i tronchi e ci confonde”; “quando equinozio sbalestra / nel vento le marine”; “al raggio di sole / che s’infiltra tra i rami / e crea sospese / cattedrali di luce”.

È un vagare poetico quello di Carla Malerba, sussurrando a sé stessa, tra presente e passato, luoghi e persone care, ville abbandonate dove si è consumato un amore e voci poetiche risonanti, consapevole che ciò che dà senso alla sua vita è soprattutto la Poesia, che le sgorga dall’intimo e la permea di emozioni buone.

 

Al buio scrivo parole
che la mente illumina
e guida la mano
il pensiero del nulla che siamo. 


La poesia non salverà il mondo, ma sicuramente giova ai singoli individui che la “fanno” e la donano come a coloro che la ricevono, in un interscambio di pensieri e sentimenti che ci fa sentire in sintonia tra noi e in pace con il mondo. Perciò grazie a Carla per la delicatezza e la sapienza con le quali ha tessuto i suoi versi, donandomi/ci verità e bellezza.

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