martedì 27 giugno 2023

Profondo commento poetico al profeta biblico


recensione di Vincenzo Capodiferro
pubblicata su Insubria Critica


Figli di Qohèlet. Monologhi sul margine del Libro è una raccolta poetica di Gianpaolo Anderlini, edita da Fara, Rimini, 2023. Scrive Alessandro Ramberti nella "prefazione": «Profondo conoscitore del pensiero ebraico e appassionato studioso del Primo Testamento, Gianpaolo Anderlini si (e ci) immerge nel libro più pirronista della Bibbia, noto per due icastici adagi: “Vanità delle vanità, tutto è vanità” e “Niente di nuovo sotto il sole”».

Forse siamo l’immagine del nulla.

Gianpaolo Anderlini sa tradurci in passi poetici connotati da una sconvolgente attualità verità eterne, antichissime, contenute nei testi sacri. Gianpaolo è intriso di quel Verbo, che a principio era “presso Dio”. È la prima Parola: il Vecchio Testamento, che egli definisce giustamente Primo Testamento. D’altronde la Parola antica è la prima espressione della “Poesis” originaria, la creazione, la poesia di Dio. La poesia di Dio è creatrice ex nihilo. Dio crea il linguaggio originario, da cui sono derivate tutte le lingue. L’uomo, animato da “ubris”, superbia, ha cercato di ricreare quel linguaggio originario, ma invano (Babele). Ed in termini moderni tradurre il messaggio del profeta Qoèlet significa parlare di nihilismo e di scetticismo (“pirronismo” come lo definisce Alessandro Ramberti).

Sette squarci di nulla (quasi nebbia
evanescente) irrompono nel seme
nero del tempo (quando non è notte
e non è giorno, quando il sonno è vigile
e il sogno sembra costruire mondi…


Sono versi intensi, difficilissimi da interpretare, profondi. Ricorre il sette, numero divino ai Pitagorici, apoteosi della temporalità (la settimana santa della creazione originaria che indica il primo ciclo del tempo, il primo nietzschiano “eterno ritorno”). Si fa riferimento a quello stato crepuscolare dello Spirito, di schellinghiana, romantica memoria, al confine tra Notte e giorno, tra sonno e veglia, ove sogno e realtà coincidono. Molto forte è l’espressione “seme nero del tempo”. Il tempo è come il seme che ancora è nella terra e deve diventare ciò che è. Divieni ciò che sei! Il richiamo alle parabole evangeliche granarie è evidentissimo: i semi sono le ragioni seminali degli Stoici e di Agostino, intrisi appunto di questa poesia originaria.

La poesia di Gianpaolo Aderlini è una versificazione che ci invita a riflettere, a meditare sul testo sacro, quindi ha un valore altissimo, euristico, ermeneutico. Quella parola è anche il seme che il buon Seminatore getta in noi, a volte dure pietre, a volte spine, a volte terreno buono.

(continua su Insubria Critica)

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