Donatella Nardin Primo Premio
XV Premio Letterario Internazionale Mario Luzi 2020
Note di Carla Malerba per Rosa del battito
Leggere i versi di questa pregevole raccolta è stato come entrare in una dimensione altra, dove tutto è lontano e ovattato, ma qualcosa certamente si compie (“Lei e lei”).
Grazie a momenti e luoghi dove si fa più forte la capacità immaginativa – quando più non saremo – ci si sente circondati da una luce viva e generosa anche se balenano immagini ancora fortemente terrene (le labbra voluttuose del mare che sfiorano appena le cose).
Poi, negli interrogativi di ”Una sera sul molo” (Prepara alla gioia il dolore? / Chissà di quanta vita è inzuppata / la gioia, di quanta il dolore) Donatella si sofferma a riflettere: mancare – dice la poetessa – è un’arte …
Così prende corpo la piena coscienza di come sanare l’attesa di ricongiungersi con l’amato:
bastava sanguinare leggera / le dolci allegrie che rendono / meno crudo il mancare.
In questo dolore espresso così pacatamente, senza esternazioni che vogliano colpire, si rivela la ricerca della delicatezza che incontra il tema del paesaggio veneziano, così caro a Donatella… una Venezia allindata dai cieli che le è vicina con la sua dolce malinconia. E poi nei temi dell’assenza l’acqua e l’alba fanno scaturire versi evanescenti… l’acqua insaziato ritorno e ancora l’alba come mancanza, cielo sgualcito, acqua che appare e scompare.
Si aggiungono al paesaggio talvolta consolatore, le presenze umane a scaldare il cuore magari portando un caffè o parlando con la lingua arcaica degli affetti.
La poetessa, a metà di questo percorso oscillante tra qualche tenue misura di conforto e la convinzione del nulla che la morte comporta, prosegue il suo iter in un tempo che mangia il tempo e che è la condizione nella quale siamo condannati a essere, ma a tratti ci regala delle oasi di respiro come il canto dell’usignolo … anelito d’altro / che all’infinito perduto // non cede.
Così le immagini dell’amore che si aprono con ineffabile dolcezza – le tue tenere mani di vento, / negli occhi una polvere lieve –
pur accettando la tristezza che si protende verso il nulla (perché la morte decreta: io sono, e per sempre, / l’eternità) sospingono alla lettura in quanto Donatella deve dirci ancora molto, esplorando i territori del dolore.
Trova a tratti lenimenti, scrive: E quello che eri / nell’aria riluce / fino alla fine del bene.
Ma le speranze sono bagliori spenti, pare certezza che il tu con cui dialoga sia un deserto diffuso, che il volto amato sia di neve, leggero.
La poetessa è sola: Porto la solitudine nei passi, ma ricorda l’amore con i suoi versi gentili – tacciono / i baci celati tra le carezze – mentre affiora l’analogia tra parole: vecchiaia e abisso, quasi sinonimi:
la vecchiaia è un vestito / inzuppato d’abisso …
Ma poi la silloge si apre improvvisa, si lascia alle spalle le immagini del dolore e in “Preghiera” ripone il canto della speranza là dove si palesa l’Eterno che in amore ci tiene stretti. L’amore per la poesia diviene
salvifica forza contro il dolore: e fa’ che tutto ciò che ho amato / in te si compia e perduri.
altro non resta se non l’amore / rosa del battito scrive Donatella nell’ultima, bellissima lirica di commiato.
Ed è davvero tanto.
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