Svenimenti a distanza (il melangolo, 2018) di Mario Fresa (nella foto) si apre con un capitolo ben
preciso, sia per la scrittura in prosa sia per il titolo “convalescenza” , che
potrebbe lasciar sospesi gli incipit di qualunque racconto per muoversi
coraggiosamente sul piano dell’imprevisto e del sussurro . Così la figura che
si staglia, seminascosta nel gusto della sorpresa, sembra occhieggiare tra le
gemme di pareti inconsistenti ed il fogliame vigoroso della brughiera , tra le
improvvise siluette tratteggiate e le foto accantonate nel cassetto. Questi
ventisei paragrafi non sono un racconto , bensì coloratissimi interventi del
pensiero vagante, che ha il sapore delle scelte impegnate per la esplorazione
improvvisa delle inquietudini e delle timidezze d’amore, o le stranezze
insolite d’una visione televisiva materializzata in vocaboli che imitano
movimenti e difetti. Come sveniva Lucia ? In una specie di vertigine , in un
vortice di fuoco che tenta di allontanare la tristezza. Il diverbio ha scatti e
note che esprimono con eleganza la premura del confronto , fra due personaggi
reali (?) o fra evanescenze metaforiche (?).
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