Matteo Bianchi, La metà del letto, Barbera 2015, € 15,50
recensione di AR
Sono canti che mettono a nudo la fragile bellezza dell'essere umano: matassa di pulsioni e desideri, gomitolo di pensieri che danno energia alle azioni, anima che si forgia nel vissuto e si trasfigura nella musica dello Spirito (se ha orecchi per sentirne l'impalpabile brezza che soffia dove vuole e magari non dove vorremmo noi), corpo che cerca di riempirsi e di svuotarsi e porta sempre traccia di quello che fa, voce che vuole sempre di indagare in perenne tensione fra una visione panoramica e il focus chirurgico sul dettaglio più sfuggente, intimo, idiosincratico… C'è insomma, con la necessaria discrezione, con quel velo di pudore che dobbiamo a noi stessi e agli altri, tanta verità in questi versi a volte sentenziosi (“Il presente è volontà / di ciò che vorremmo essere, / l'ombra è gravità della luce.”, p. 104, da questa poesia è tratto anche il titolo di questa recensione; “noi siamo nel dolore / liberi davvero.”, p. 26; “l'amore risolto invecchia, / quello insoluto eterna.”, p. 36), altre riflessive (“Il ragno, magari, ignora / l'inquieta bellezza che ha creato // sul filo è necessaria la postura // ma tu non dimenarti / ascolta il tuo respiro / (…) / la tela, un volta tessuta e tesa / già non è più tua.”, p. 51, qui è evidente l'analogia ragno/poeta; “Il seme del mare assoluto / è sempre un seme indifeso / radicato nel mio ego: / concepire profondo.”, p. 69; “a nessuno piace una destinazione sola.”, p. 75, eppure abbiamo tutti la destinazione della morte da esorcizzare con il “lenzuolo” della vita), altre volte amaramente ironiche (“Una volta aperta la finestra / ho ricordato tutte le scuse / per cui non abbiamo fatto l'amore / e mi sono buttato, / ma stavi al primo piano. / Era misura distorta tutto ciò che ti riguardava.”, p 60) ed anche sensualmente estentuati (“Morire così incollati nudi / finendoci a vicenda in un rantolo, / un gemito prolungato di vergogna”, p. 89).
Non manca un anelito al religioso, al trascendente con riferimenti vividi ad alcuni personaggi dei vangeli (specie nella sezione “Ancora acqua alta”): “Gli lavavo i piedi impolverati e mal ridotti. / (…) / Lui, considerato da noi il più distante. /(…) / Camminava fino allo stremo.” (Maria Maddalena, p. 96); “Giuda aveva paura, / il mondo non concede un seconda chance. // (…) // Urlavano le poiane in volteggi, / schegge scagliate a spirale / sopra la valle, per lapidarlo.” (p. 98).
In alcuni casi le poesie contengono delle preghiere implicite: “Nati ultimi nel sole / diamo la luce per scontata: / ci alleniamo a morire.” (p. 111); “Sopra di me, dentro il Giudizio, / il tempo sudava dai loro corpi, / gocciolando, crepavano i colori.” (Il mio duomo, p. 113). Sì, perché la preghiera non è fatta di troppe parole, né può “accontentarsi” di mantra, litanie e giaculatorie; la preghiera che ci cambia fin nelle viscere, ci apre gli occhi e il cuore, è sudore dell'anima, è sfibrarsi del nostro corpo pellegrino che sa farsi duttile strumento a Mani amorose e creative: “Poesia è un soffio sui narcisi: / il mio legno diviene anima / e il mio sasso ragione. / Noi siamo / solo se accettiamo di non essere.” (p. 119); “Quando scrivi per gli altri / accetta di sacrificare / una parte di te.” (p. 121). In fondo ciascuno di noi (il poeta in primis) può trovarsi, crescere, realizzarsi solo rinnegando sé stesso, cioè aprendosi, ovvero non vivendo solo per sé, ma moltiplicandosi alle relazioni con occhio attento, cuore vigile e disponibile in grado accettare i propri limiti e quelli altrui, di porgere un mano d'aiuto e chiederla, di essere umile e sensibile voce di chi non può esprimersi in capitolo… Matteo Bianchi dà voce alla Metà del letto che è presente o assente, in noi e fuori di noi, mancanza e sostegno, pienezza e vuoto: “La sfida è essere altro nei miei panni / per dimostrarmi sempre vero, / ma come fossi sotto vuoto / la poesia mi tiene in sé / e resto intero. // Della vanità / non voglio fare a meno.” (p. 38), e la vanità è infatti anche quel vuoto, quel silenzio necessari a generare parole e azioni belle.
Molto utili e illuminanti, per le chiavi di lettura che offrono, la Presentazione di Anna Maria Carpi e l'Introduzione di Roberto Pazzi.
recensione di AR
Sono canti che mettono a nudo la fragile bellezza dell'essere umano: matassa di pulsioni e desideri, gomitolo di pensieri che danno energia alle azioni, anima che si forgia nel vissuto e si trasfigura nella musica dello Spirito (se ha orecchi per sentirne l'impalpabile brezza che soffia dove vuole e magari non dove vorremmo noi), corpo che cerca di riempirsi e di svuotarsi e porta sempre traccia di quello che fa, voce che vuole sempre di indagare in perenne tensione fra una visione panoramica e il focus chirurgico sul dettaglio più sfuggente, intimo, idiosincratico… C'è insomma, con la necessaria discrezione, con quel velo di pudore che dobbiamo a noi stessi e agli altri, tanta verità in questi versi a volte sentenziosi (“Il presente è volontà / di ciò che vorremmo essere, / l'ombra è gravità della luce.”, p. 104, da questa poesia è tratto anche il titolo di questa recensione; “noi siamo nel dolore / liberi davvero.”, p. 26; “l'amore risolto invecchia, / quello insoluto eterna.”, p. 36), altre riflessive (“Il ragno, magari, ignora / l'inquieta bellezza che ha creato // sul filo è necessaria la postura // ma tu non dimenarti / ascolta il tuo respiro / (…) / la tela, un volta tessuta e tesa / già non è più tua.”, p. 51, qui è evidente l'analogia ragno/poeta; “Il seme del mare assoluto / è sempre un seme indifeso / radicato nel mio ego: / concepire profondo.”, p. 69; “a nessuno piace una destinazione sola.”, p. 75, eppure abbiamo tutti la destinazione della morte da esorcizzare con il “lenzuolo” della vita), altre volte amaramente ironiche (“Una volta aperta la finestra / ho ricordato tutte le scuse / per cui non abbiamo fatto l'amore / e mi sono buttato, / ma stavi al primo piano. / Era misura distorta tutto ciò che ti riguardava.”, p 60) ed anche sensualmente estentuati (“Morire così incollati nudi / finendoci a vicenda in un rantolo, / un gemito prolungato di vergogna”, p. 89).
Non manca un anelito al religioso, al trascendente con riferimenti vividi ad alcuni personaggi dei vangeli (specie nella sezione “Ancora acqua alta”): “Gli lavavo i piedi impolverati e mal ridotti. / (…) / Lui, considerato da noi il più distante. /(…) / Camminava fino allo stremo.” (Maria Maddalena, p. 96); “Giuda aveva paura, / il mondo non concede un seconda chance. // (…) // Urlavano le poiane in volteggi, / schegge scagliate a spirale / sopra la valle, per lapidarlo.” (p. 98).
In alcuni casi le poesie contengono delle preghiere implicite: “Nati ultimi nel sole / diamo la luce per scontata: / ci alleniamo a morire.” (p. 111); “Sopra di me, dentro il Giudizio, / il tempo sudava dai loro corpi, / gocciolando, crepavano i colori.” (Il mio duomo, p. 113). Sì, perché la preghiera non è fatta di troppe parole, né può “accontentarsi” di mantra, litanie e giaculatorie; la preghiera che ci cambia fin nelle viscere, ci apre gli occhi e il cuore, è sudore dell'anima, è sfibrarsi del nostro corpo pellegrino che sa farsi duttile strumento a Mani amorose e creative: “Poesia è un soffio sui narcisi: / il mio legno diviene anima / e il mio sasso ragione. / Noi siamo / solo se accettiamo di non essere.” (p. 119); “Quando scrivi per gli altri / accetta di sacrificare / una parte di te.” (p. 121). In fondo ciascuno di noi (il poeta in primis) può trovarsi, crescere, realizzarsi solo rinnegando sé stesso, cioè aprendosi, ovvero non vivendo solo per sé, ma moltiplicandosi alle relazioni con occhio attento, cuore vigile e disponibile in grado accettare i propri limiti e quelli altrui, di porgere un mano d'aiuto e chiederla, di essere umile e sensibile voce di chi non può esprimersi in capitolo… Matteo Bianchi dà voce alla Metà del letto che è presente o assente, in noi e fuori di noi, mancanza e sostegno, pienezza e vuoto: “La sfida è essere altro nei miei panni / per dimostrarmi sempre vero, / ma come fossi sotto vuoto / la poesia mi tiene in sé / e resto intero. // Della vanità / non voglio fare a meno.” (p. 38), e la vanità è infatti anche quel vuoto, quel silenzio necessari a generare parole e azioni belle.
Molto utili e illuminanti, per le chiavi di lettura che offrono, la Presentazione di Anna Maria Carpi e l'Introduzione di Roberto Pazzi.
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