Anche per oggi la notte è sconfitta
di Tommaso Metonda
con premessa di Giorgio Cavallini
Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2009
Collana Ardeur
ISBN: 9788895881089
Numero di pagine: 76
Costo: 8,00 €
Recensione a cura di LORENZO SPURIO
Collaboratore di Limina Mentis Editore
Ci accostiamo a questo libro con alcuni enigmi che, forse, l’autore non ha nessun desiderio di svelare nel corso del suo libro: la scelta di una copertina con un disegno stilizzato che fa pensare alle prime incisioni dell’era primitiva (si tratta di una copertina curata da Nicola Oliveri) e il titolo, Anche per oggi la notte è sconfitta, altrettanto criptico e difficile da intendere a una prima lettura.
Inoltrandoci nelle numerose poesie che costituiscono questa apprezzabile silloge di un autore il cui nome non è altro che uno pseudonimo, ci si rende conto che l’intera poetica è giocata su di un continuo richiamo alla luce, alle varietà cromatiche o al buio. E’, pertanto, una poesia di luci e buio, un carosello continuo tra spazi pieni di bagliori e riscaldati dai raggi dorati, altri invece indistinti, pregni di nebbie e foschie che non permettono all’occhio umano di vedere oltre. Questa isotopia di luce e ombre è forse esplicitata nella poesia “Ombre” che gioca sul richiamo di elementi e immagini antagonistiche: da una parte il “raggio di sole”, “la luce fioca d’un lampione” e dall’altra “l’ombra”, “l’inquietudine”, i “bui arcati”, quasi a volerci ricordare che il mondo è fatto di opposti, di doppi e che la mancanza dell’uno, di colpo equivarrebbe anche alla mancanza dell’altro. E’ una logica e una posizione questa di Tommaso Metonda che potremmo avvicinare al neoplatonismo shakesperiano: luci ed ombre, sole e luna, notte e giorno, bianco e nero. Ritorna, forse con maggior forza nella lirica “Rugiada”, i cui versi iniziali danno il titolo all’intera silloge:
Ancora per oggi
la notte è sconfitta
l’alba pungente l’ha ferita a morte
trapassando rosata le tenebre.
Stille di sangue argentato
e freddo luccicano a terra
imprigionate su impermeabili steli (p.27).
Stupenda l’immagine che il poeta ci consegna, quella della Notte e del Giorno personificati, come due entità materiali, che si rincorrono, si battono, si scherniscono e alla fine si distruggono. E’ la notte a essere sconfitta e a grondare sangue, per il momento. Alcune ore più tardi, però, anche se l’autore non lo dice, sarà il giorno a fare la stessa fine. Ma poi tutto si ripeterà e ritornerà ciclicamente descrivendo così un interminabile carosello di vita e morte, di luci ed ombre.
Le varie poesie che compongono questa raccolta derivano da momenti vissuti dallo stesso autore e sono proprio per questo molto vivide e introspettive, ricche di ricordi (ad esempio
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il ritratto della nonna), di momenti vissuti, di speranze che poi sono andate disfacendosi. Centrale in tutto questo è la considerazione stessa che Tommaso Metonda ha di sé come poeta, colui che “con unica parola sola/ può l’inesprimibile esprimere”, il cui compito nella contemporaneità è “tracciar segni arcani/ su carta arcaica/ ormai incomprensibili” (p. 38). Da questa definizione capiamo che è dato al poeta dell’oggi esprimersi in modi poco usuali, utilizzare un linguaggio poco comprensibile, manifestazione della complessità – e forse del vuoto intellettivo- nel quale si trova a vivere.
Tommaso Metonda mostra interesse per la realtà che lo circonda, non mancando di individuarne perplessità e più spesso è chiara l’impostazione cattolica della liriche non solo nel suo continuo riferirsi a Dio, alle messe, alle orazioni o ai Rosari (pp. 57, 60, 68), ma nella sua convinzione che ogni cosa “è dat[a] da Dio” (p. 54), dimostrando così riconoscimento, senso di moralità e devozione.
In “Progetti di vita”, la poesia che apre la raccolta, il poeta si descrive come semplice oggetto animato dalla società, come burattino in mano a un qualcuno oppure come spettatore delle vicende altrui viste a distanza. Chi è l’uomo d’oggi? E’ lui a decidere la sua vita e il suo futuro o sono gli eventi e le persone accanto a lui che dettano il suo destino? Metonda conclude la lirica: “Sì, sarò Tiresia/ superbo osservatore cieco” (p. 17). Non è necessario avere la facoltà della vista per rendersi conto della bellezza o della crudeltà del mondo che ci avvolge, lo può fare benissimo anche un cieco, come Tiresia, essendo saggio. Ma Tiresia è anche espressione di un ermafroditismo che gli consente di sperimentare la vita dell’uomo e quella della donna, manifestazione dunque quanto mai eccentrica e coniugante dell’essere umano.
Complimenti a Tommaso Metonda per avermi dato la possibilità di riflettere su varie questioni.
scrittore, critico-recensionista
Collaboratore di Limina Mentis Editore
Chi è l’autore?
Tommaso Metonda è trentenne. Vive a Varazze, in Liguria. Ha ceduto per la prima volta alla tentazione di pubblicare alcune poesie, che si limita a definire (tele)grammi d’impressioni. Lontano per formazione e attività lavorativa dal mondo della letteratura, ha affidato ai versi stralci del suo vissuto e della sua terra, affrontando il giudizio dei quattro lettori che decideranno di dedicargli un po’ di quel tempo che non è solo denaro.
E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O RIPRODURRE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE E/O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.
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