Francesco Marotta
L’irrequietezza che assilla e incalza la scrittura di Francesco Marotta sembra esprimere una deliberata sfiducia nelle «capacità» della stessa parola: questa, infatti, è avvertita come strumento di provvisoria e precaria indeterminatezza, risultando, alla fine, soltanto un’eco, parziale e opaca, delle estreme tensioni del pensiero. La lingua verifica il proprio limite nel suo essere legata al mondo, appunto, del dicibile e del possibile: e il doloroso senso di inadeguatezza che ne consegue è cagionato dalla distanza della parola dall’immediatezza dell’esistenza (la parola, infatti, non è ciò descrive). La scrittura di Marotta desidera, perciò, liberarsi di sé; essa, allora, aspira a una congiunzione assoluta di canto e di corpo, di luce e di materia, mirando alla distruzione del concetto di servile «rappresentazione» degli eventi e mostrandosi propensa a una ideale identificazione con le medesime forme della vita. Colui che scrive percepisce la presenza della lingua come un ostacolo: e il verso stesso corrisponde a un confine, a una soglia da oltrepassare, al fine di ricuperare l’esatta convergenza di «soggetto» e di «oggetto», di unità e di molteplicità, di «io» e «dio». Ciò consente, dunque, l’attuazione di un gioco ineffabile e trasfigurante, nel quale si succedono precipitazioni e risalite, accecamenti e visioni dilatate, catabasi e risurrezioni che denunciano l’illusività di una «volontà» personale o di una effettiva, stabile «identità». La scrittura, così, ci suggerisce Marotta, non è davvero nulla rispetto all’esperienza di cui parla: i versi, infatti, non attendono di essere letti; ma chiedono, al contrario, di essere autenticamente vissuti nello splendore di quella irriferibile visione che atterrisce ed esalta chi voglia interrogarne l’immisurabile potenza.
l’inganno delle labbra
offre in tragitti di parole
occhi stranieri agli orizzonti
in fuga della sera, all’onda
il corpo minuzioso
della luna che si acquieta,
vento per dissetare
il rovescio del suo incendio,
la sua vertigine che tace
in liquide parabole
di luce malata: -
tu domanda alla pietra
che paralizza il volo
in cumuli di schegge calcinate,
quante nuvole stupite,
quanti oceani di neve
ha navigato la sua ombra
salpata in lame
aguzze di tramonto –
quale altra voce, severa
risonanza di edere e di calce,
ha smesso di esistere
nel suo spazio di fiamma,
planando nel senso turchino
di un mandorlo esploso
nell’attesa
(poesia tratta dalla raccolta Per soglie d’increato, Edizioni Il crocicchio, 2006).
Francesco Marotta è nato a Nocera Inferiore (SA) l’11 marzo 1954. Ha compiuto studi classici, si è laureato in Filosofia e in Lettere Moderne e oggi vive in provincia di Milano, dove insegna Filosofia e Storia nei Licei. Ha tradotto Bachmann, Bonnefoy, Char, Celan, Jabès, Sachs. Suoi testi sono apparsi su alcune riviste, tra le quali «Dismisura», «Anterem», «Convergenze». Tra le sue pubblicazioni in versi: Le Guide del Tramonto (Firenze, 1986); Memoria delle Meridiane (Brindisi, 1988); Alfabeti di Esilio (Torino, 1990); Il Verbo dei Silenzi (Venezia, 1991); Postludium (Verona, 2003, vincitore del Premio Lorenzo Montano, sezione inediti); Per soglie d’increato (Bologna, 2006); Hairesis (e-book, 2007); Impronte sull’acqua (Sasso Marconi, 2008). Cura, in rete, lo spazio www.rebstein.wordpress.com.
5 commenti:
una ottima presentazione per poeta, francesco marotta, che sa ben rendere le forme fluttuanti della poesia con leggerezza e intelligenza, poi trovo il suo sito, riduttivo definirlo blog, di classe altossima.. con stima
r.m.
sono particolarmente contento di questo post dedicato a Francesco Marotta, uno che stimo particolarmente. Concordo in molte parti con quanto scrive Mario, ma non sono tanto d'accordo sulla sfiducia che Francesco avrebbe nei confronti della "capacità" della parola. Al contrario, se sopratutto si pensa alla capacità come una misura di contenuto del senso. Curiosamente, in un post dedicato a Marotta su Imperfetta Ellisse (http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/197-Francesco-Marotta-da-Impronte-sullacqua.html
parlavo al contrario di testi "edificati appunto sulla fiducia nella capacità della parola di ricostruire la realtà a partire dalla sua frantumazione, nel tentativo eroico del dire", per quanto con un uso del linguaggio teso "a significare che nemmeno la convenzione, il codice della lingua è un dato certo, e non bisogna farsene illusione". bIn altre parole, "è lo stesso linguaggio che dipinge a larghi strati la complessità del vivere, la difficoltà dei rapporti, l'ardua decifrazione del mondo".
Comunque sia, la cifra di Francesco è densa e particolarmente significativa, e certamente degna di tutta la nostra attenzione.
Mi scuso per le autocitazioni e saluto con affetto Francesco e Mario
G.Cerrai
Un saluto affettuoso a Mario, Roberto e Giacomo, che ringrazio per l'attenzione critica e gli interventi, e al gentile padrone di casa.
Un abbraccio.
fm
Un saluto affettuoso a Mario, Roberto e Giacomo, che ringrazio per l'attenzione critica e gli interventi, e al gentile padrone di casa.
Un abbraccio.
Francesco Marotta
Grande poeta e ottimo recensore.
Un grazie anche a Giacomo Cerrai per lo stimolante commento.
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