lunedì 7 febbraio 2011

Su Comedìa di Dante Alighieri

cura del testo, note e commenti di Massimo Sannelli, FaraEditore, Rimini, 2010
recensione di Luca Ariano

Di edizioni della Divina Commedia ve ne sono state numerose nei secoli e forse altrettante ve ne saranno con una bibliografia sterminata, perché dunque pubblicare oggi una nuova edizione? A questa domanda vogliamo rispondere parlando dell’interessante operazione fatta da Massimo Sannelli pubblicata per FaraEditore con illustrazioni di Francesco Ramberti. Già dal titolo Comedìa ripreso dall’originale di Dante comprendiamo in quale direzione vada Sannelli. Vi sono critici che, durante tutta la loro vita, si sono dedicati agli studi danteschi e rimaniamo sorpresi come un giovane studioso (1973) abbia potuto concepire un’opera simile. Non tragga in inganno l’età di Sannelli, questa edizione ha alle spalle un lungo lavoro con una nuova punteggiatura come dichiara il curatore nella nota al testo: “La base del testo è nell’edizione a cura di Giorgio Petrocchi: il lettore vi è abituato anche per il ricordo della scuola, che non ha ancora accolto – e forse non potrà mai farlo – le edizioni Lanza e Sanguineti.” (pag. 21). Non vi sono note testuali, ma solo introduzioni alle tre Cantiche e ad ogni Canto così da lasciare il lettore davanti al testo; troppo spesso infatti, dinanzi a tante note, si rischia di perdersi, invece è bello “perdersi” seguendo il ritmo e la poesia di Dante. Numerose sono le citazioni di autori letti e approfonditi da Sannelli, alcune delle quali farebbero storcere il naso a molti dantisti, come Roberto Benigni e Giovanni Lindo Ferretti, ma quelli che ritornano spesso sono Giovanni Testori, Luigi Valli e Witold Gombrowicz oltre a poeti come Mario Luzi e Piero Bigongiari. Molto vi sarebbe da scrivere sul commento di Sannelli, ma preferiamo lasciare al lettore il gusto di immergersi in questa nuova edizione di Dante.

[…]

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello! 78

Quell'anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa; 81

e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra. 84

Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode. 87

Che val perché ti racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz'esso fora la vergogna meno. 90

Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota, 93

guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella. 96

[…]

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