Lina Maria Ugolini, Abitare gli abiti. Bucato in versi, Edizioni del Foglio Clandestino 2022, in copertina Nel vento… di Monica Auriemma
recensione di AR
“Tornano sul filo / a volte gli antichi panni / abiti smessi / riposti nel cassetto / ritrovati a un tratto /sciolti dalle pieghe / annusati per constatare / che sanno troppo di passato.” (sul filo antichi panni, p. 82).
Con sartoriale maestria siamo condotti a visionare cassetti, armadi, casse (da morto), stendini, cestelli di lavatrice, panni appesi al vento… gli abiti prendono vita e quando chi li ha indossati non c’è più sentono la nostalgia di membra, corpi, respiri, sudori, “abitudini”: “Lei è tornata stamattina / per curare le piante dei vasi / dare acqua con l’innaffiatoio / senza che nessun lo sappia. / Faceva così quella vestaglia / quando aveva un corpo vivo.” (anche la vestaglia era fatta di rosa, p. 89).
Il linguaggio è intriso di ironia, venata dalla constatazione che anche ciò che si indossa lascia su di noi traccia: “Quando di lei tutto sarà finito / torneremo nudi per strade / sbendati per essere riconosciuti / figli illegittimi di una colpa mai commessa // sulla pelle l’impronta di una certa cicatrice / ruga quanto runa” (dentro la mascherina, poesia che chiude la raccolta, p. 101).
Vividi e pulsanti i ritratti di personaggi caratteristici: “Le mutande le metteva in testa / il matto del quartiere vecchio / se ne stava nudo sul balcone / vicino al volo delle rondini. // Quelle mutande erano bianche come nuvole / perché la testa non emette secrezioni / tutt’al più vento scomposto di pensieri.” (il matto, p. 64).
Lina Maria Ugolini ha uno sguardo acuto, filosofico, direi (estremo) orientale, sulla condizione umana: “Sussiste una congiunzione / tra ciò che inizia e che finisce / una legittima giuntura / estrema unzione di un conforto.” (lana cotta, p. 40); “A ragion veduta / la nostra lingua / chiama costume / l’indumento teatrale / capo oltre che moda / del simulato vivere sociale.” (costumi, p. 34).
Intense e struggenti le immagini che fanno rivivere i tempi andati: “I panni erano delle mani / nel tempo delle lavandaie / (…) / Le braccia andavano in su e in giù / passando il sapone d’oliva / scivoloso sull’ultima onda / immota, ammorbidita da un canto.” (p. 22).
Un libro che ci spinge a sentire l’odore di quello che indossiamo. Non possiamo che essere grati a chi l’ha scritto.
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