martedì 2 maggio 2023

«il magistero del cielo / impone gentili inchini»

Adriano Engelbrecht, la tramontanza, Edizioni Diabasis, 2023, con interventi critici di Enzo Campi, Silvia Manzi e Giovanni Ronchini

recensione di Giancarlo Baroni





Nella Postfazione intitolata Postille in (dis)ordine sparso, l’artista e poeta Enzo Campi scrive a proposito della recente raccolta di Adriano Engelbrecht (Diabasis, 2023): «la tramontanza è un libro di interrogazioni. Ci si pone, tra le altre, la questione della parola per soppesarne l’efficacia nell’immanenza e l’eco nel divenire». 

I versi che aprono il libro recitano: «al cospetto di un silenzio despota / smisi di professare un’alterigia / di sguardo imparziale / poiché appuntito si fece il cuore / ficcato nel cesto di premute memorie». Il tempo («le premute memorie») è, come inevitabilmente avviene in letteratura (che è essa stessa un capiente archivio di selezionati ricordi), il protagonista taciturno ma sensibilmente presente di questa raccolta. Non viene raffigurato come un uroboro, cioè come un serpente che mordendosi la coda forma un cerchio dove fine e inizio coincidono, bensì come una “tramontanza” simile alle foglie che in autunno cadono ovattate le une sopra le altre. In primavera ritorneranno a coprire rigogliose le chiome degli alberi, ma non saranno più le stesse di prima e delle precedenti. Il tempo fluisce, ma la consapevolezza del suo inesorabile e ineluttabile trascorrere non lascia nei versi dell’autore tristi impronte, non deposita perfide tracce e orme traditrici.  

Nella Prefazione, intitolata Nel segreto cambiare delle cose, con la consueta eleganza e acutezza il critico Giovanni Ronchini scrive: «”la tramontanza” allude a un processo lento, come può essere quello dell’invecchiamento […] quasi impercettibile nella lunga teoria di istanti in cui accade, come avviene per le foglie […] che ingialliscono, si staccano dal ramo, scivolano nell’aria e si adagiano sul terreno». Aggiunge la giornalista Silvia Manzi nella sua nota critica: «Ma non si arrende alla tramontanza chi si nutre dell’altrove, scuce gli occhi e li apre alla poesia». 

Il rumore delle foglie mentre cadono è quasi impercettibile, non disturba l’orecchio, confina con il silenzio senza esserlo e diventarlo, allo stesso modo i fiocchi di neve si appoggiano bisbigliando un bianco mormorio: «avessi lieve la tramontanza di foglie / il loro scindersi / o le fioccature di nevi / che adagio posano grazia / a coprire asfalti e manti».

Engelbrecht ci ha abituati a un linguaggio sperimentale che anche questo libro conferma: forzature grammaticali, sintattiche, lessicali e grafiche, accostamenti arditi, neologismi creativi. Ma queste trasgressioni e sregolatezze non eccedono mai il limite del garbo, della grazia e della pazienza, non si propongono come sfregio, violazione, oltraggio. In maniera eloquente e chiara l’ultima poesia del volume rivela una scelta allo stesso tempo stilistica ed etica: «il magistero del cielo / impone gentili inchini // un rito composto di gratitudine // e fioriture spontanee». 

L’autore preferisce i toni bassi al chiasso e agli stridii, un canto ammaliante e sommesso («far cantare l’appartato / circostante»), «rallentando e diminuendo» i gesti, in attesa che qualcosa nasca e si manifesti, che le parole  come gemme sboccino nel candore («lo bianco spazio») della pagina («di minuzia posate / le une accanto a l’altre»). È attratto da ciò che si nasconde («ma segrete sillabe nutro») subito dietro la realtà, dal «mistero indicibile che le parole non possono svelare perché connaturato in esse, ficcato nella parte più insondabile di ciascuno di noi», sottolinea Ronchini. 

Sembra che  grazie ai suoi versi Engelbrecht cerchi  in qualche modo di rimettersi in contatto con l’infanzia e con il proprio passato («oh! filastrocche ventilate raso sabbia /[…] oh! canti infanti »).



Nessun commento: